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Ancora sul repertorio




Tempo fa abbiamo parlato da queste stesse pagine del repertorio dei concerti organistici. Oggi vogliamo riprendere quel discorso per arricchirlo di qualche nuovo spunto.
Avevamo detto allora che, purtroppo, nei programmi di sala dei nostri concerti le musiche degli autori italiani moderni e contemporanei erano pressochè assenti, e questo, con buona pace di tutti, è ancora totalmente vero, nè si vedono profilarsi all'orizzonte molte prospettive per la valorizzazione della produzione organistica italiana del Novecento nell'ambito delle nostre rassegne musicali, le quali, peraltro, tendono molto più spesso a cercare il "grosso nome" straniero che renda possibile riempire la sala e far allargare i cordoni della borsa agli sponsor, piuttosto che andare alla ricerca di quegli organisti nostrani (e sono moltissimi) che dedicano il loro tempo e la loro opera alla ricerca ed alla riscoperta della musica italiana ma che non "fanno cassetta". Questo fenomeno sta purtroppo quasi uccidendo la presenza della musica italiana moderna e contemporanea nelle nostre chiese e nelle nostre sale da concerto. Siamo consapevoli del fatto che, ora come ora, molta della responsabilità è di quelle cosidette "leggi di mercato" che ormai pare debbano diventare le uniche regole secondo cui debba dipanarsi la vita e l'attività dei poveri mortali, ma sinceramente riteniamo che la nostra musica organistica abbia un intrinseco valore morale, civile, storico e culturale di gran lunga più importante e prezioso di qualsiasi sponsorizzazione.
Ma in tutto questo conta anche molto quel diffuso sentimento di esterofilia che ha sempre caratterizzato il popoli italiano. Non siamo poi migliorati molto rispetto all' "Americano a Roma" magistralmente caricaturato da Alberto Sordi. Purtroppo, ed anche per ciò che riguarda la musica leggera, siamo sempre e comunque piuttosto "dipendenti" da ciò che succede al di fuori dei nostri confini.
Ritornando alla musica organistica, per rendersi conto di quanto gli altri Paesi tendano a valorizzare i loro organisti ed i loro autori è sufficiente dare una rapida occhiata ai programmi di sala degli innumerevoli concerti organistici che si svolgono nella vicina Francia, dove l'unico degli autori "esteri" rappresentato è quel Johann Sebastian Bach che, in effetti, musicalmente si trova al di fuori del tempo e dello spazio. Per il resto la presenza di autori italiani, inglesi, tedeschi ed altri è decisamente minoritaria. Sicuramente questo atteggiamento rispecchia quel sentimento generale di "Grandeur" che permea un pò tutti gli aspetti della cultura (e non solo di quella) francese, ma raggiunge perfettamente il suo scopo: valorizzare sempre e comunque l'organo e la musica organistica francese. Non si dice che qui da noi si debba adottare un similare atteggiamento, che non ci è consono e non appartiene alla nostra cultura, ma forse sarebbe opportuno che anche noi, una volta per tutte, ci decidessimo a riconoscere che molto spesso anche quello che organisticamente è stato fatto da cent'anni a questa parte, e si fa tuttora, nel nostro Paese non è poi da buttare via.
Ma c'è anche da dire, a questo proposito, che molta responsabilità è anche di tutti coloro che, dagli anni sessanta ad oggi, hanno demonizzato in ogni modo il periodo riformista della storia del nostro organo italiano. Sembra strano, ma ancora oggi ci sono autorevolissimi esponenti della cultura organaria ed organistica nazionale che ritengono che l'organo italiano (e la sua musica) sia morto con l'avvento della Riforma. Per costoro, infatti, gli ultimi organi italiani degni di questo nome sono stati quelli costruiti dai Serassi e, comunque, prima che le nuove idee riformiste prendessero attuazione. Da qui a demonizzare anche tutti quegli autori che per l'organo riformato hanno prodotto le loro opere il passo è breve. Questo, secondo noi, non è il metodo giusto per rendere giustizia alla storia ed alla cultura organistica italiana. Sicuramente la Riforma è stata, come tutti i cambiamenti repentini, abbastanza traumatica per l'organo italiano, soprattutto quando ne sono stati traditi (per ignoranza e convenienza) gli ideali ispiratori, i quali prevedevano che la tradizione fonica e timbrica dell'organo italiano dovesse rimanere come base di uno strumento musicale più moderno soprattutto per ciò che riguarda gli aspetti tecnici e di funzionamento. Rifiutare in blocco la Riforma è però un'operazione di ignoranza ed ottusità intellettuale, che può fare comodo ad un sacco di gente ma che non fa bene all'organo italiano, perchè lo priva di un periodo molto importante della sua storia, un periodo che, proprio per la sua contraddittorietà, ha fatto in modo che sia gli organari che gli organisti prendessero una coscienza più piena della vera essenza dell'organo italiano.
Ed allora, perchè le bellissime opere di Capocci, Bossi, Ravanello, Matthey e tanti altri non hanno diritto di cittadinanza nel loro Paese?... Uno dei maggiori addebiti che i critici muovono alla Riforma è di aver lasciato aperte le porte dell'organaria italiana all'invasione degli organari stranieri. Sarà anche vero, ma oggi sono gli autori stranieri che spadroneggiano nei programmi di sala dei nostri concerti, con buona pace dell'organo italiano e della sua musica.



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