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Col cuore e con l'anima




Abbiamo già parlato, da queste pagine, di un argomento abbastanza importante ma stranamente poco evidenziato dalle riviste, dalla critica e dagli addetti agli organistici lavori: l'eccessiva -a nostro parere- tecnicizzazione delle esecuzioni musicali e la conseguente perdita di una visione interpretativa unitaria a favore di un tipo di interpretazione molto raffinata e precisa ma povera di contenuti essenzialmente musicali. Non ripeteremo qui ciò che già abbiamo detto in quelle occasioni, ma affronteremo un aspetto "collaterale" di questo discorso.
Non più di una settimana or sono, discorrendo con un amico che era andato ad ascoltare un concerto organistico di musica italiana ottocentesca, costui, esprimendo la sua opinione sull'esecuzione, mi ha detto una frase semplice ma molto significativa: "... E stato un bel concerto, però si sentiva che mancava qualcosa... Si sentiva che non suonava col cuore!". Ecco, secondo noi questa frase esprime molto bene, senza peraltro scendere in disquisizioni tecnico-organistico-filologico-interpretative, quello che sempre più spesso si sente dire in giro.
Parliamoci chiaro: le persone che di solito usano queste frasi hanno ormai passato la Cinquantina (come chi scrive) e sempre più spesso vengono considerate mezzo rimbambite dalle nuove generazioni di musicisti, critici ed esperti. Ciò non ostante, capita anche a noi -e sempre più spesso- ascoltare giovani (ed anche meno giovani) organisti che sfoggiano splendida tecnica, eccezionale padronanza dello strumento e molto spesso anche un invidiabile background culturale e filologico circa i brani che interpretano, ma che ad un ascolto meno "tecnico" e meno "specialistico", rivelano una mancanza di approccio "emozionale" alla musica che suonano.
Per fare un esempio, rimanendo nel campo della musica italiana ottocentesca, potremmo parlare di un brano, a nostro parere splendido, di Felice Moretti (Padre Davide da Bergamo): "Le sanguinose giornate di Marzo, ossia La Rivoluzione di Milano". Questo brano, di carattere evocativo e didascalico, prende le mosse dalla sollevazione popolare di Milano contro gli Austriaci e descrive musicalmente le varie e concitate fasi di questa sommossa. Orbene, ci è capitato di ascoltare due interpretazioni di questo lungo ed articolato brano ed abbiamo potuto fare il confronto tra un'esecuzione pulita, tecnicamente ineccepibile e molto ben curata ma abbastanza "asettica" ed un'altra forse meno precisa ma molto più "sentita".
E' doveroso avvertire il lettore che qui si entra in un campo abbastanza "scivoloso" del discorso interpretativo. Cercherò quindi di essere chiaro: in definitiva, mentre il primo tipo di interpretazione portava l'ascoltatore ad affissare la sua attenzione sulle particolarità costruttive e formali dell'opera, sottolineando con maestria il discorso musicale e la perizia compositiva dell'autore, la seconda interpretazione "rapiva" l'attenzione dell'ascoltatore mettendola di fronte ad un quadro (o ad un affresco) che si animava e prendeva vita e lo coinvolgeva stimolandone anche figurativamente la fantasia. Solo per citare un caso, ad un certo punto dell'opera l'Autore prevede che l'organista simuli (od anche utilizzi, se presente) una campana suonata a martello. Nel primo caso il suono di questa campana veniva "vissuto" dall'interprete come un mezzo musicale non dissimile dagli altri nell'ambito di una costruzione formale ben definita. Ascoltando la seconda interpretazione, il suono di questa campana a martello faceva immediatamente venire alla mente immagini di folla che accorre e scende in strada mentre le campane delle chiese spandono il loro richiamo.
Diciamo subito, a questo proposito, che musicalmente e tecnicamente parlando entrambe le interpretazioni erano ottime. Quello che le differenziava era, semplicemente, la capacità di uno dei due organisti di suscitare emozioni nell'ascoltatore, capacità che l'altro organista, nonostante la bravura, non aveva.
Ecco il nocciolo del problema. Non ci stancheremo mai di dire che, a nostro parere, la musica, essendo un linguaggio "universale", come tale deve essere utilizzata. Prima di tutto la musica deve servire a "comunicare qualcosa" agli altri, e questo qualcosa è il messaggio che contiene. La capacità di un interprete musicale sta quindi essenzialmente nel riuscire a far conoscere e capire questo messaggio al maggior numero di persone possibile. Ma qui sta il punto focale e centrale della questione. Per poter far conoscere un messaggio occorre prima di tutto capirlo e comprenderlo, e questa capacità di comprensione e di recezione non ce la da la tecnica raffinata, la perfetta conosenza dello strumento o gli approfondimenti filologici ed interpretativi. Questa capacità è data all'essere umano da una sola cosa: dal cuore e dall'anima, che sono i due fattori che, permettendoci di provare emozioni, ci consentono anche di condividerle, renderne partecipi gli altri e rendere interessante una vita che altrimenti sarebbe molto, molto insignificante.
In conclusione, noi riteniamo che, a prescindere dalle capacità tecniche, esecutive e strettamente musicali di ognuno, il vero interprete sia quello che leggendo una pagina musicale non solo riesce a coglierne tutti gli aspetti specificatamente musicali, formali ed esecutivi, ma anche ha la capacità di coglierne e comprenderne il messaggio "umano" che contiene, in modo da poterlo far conoscere e comprendere agli altri.
Purtroppo già da tempo i giovani interpreti vengono abituati dai loro maestri prima, e dalla critica poi, a privilegiare gli aspetti più squisitamente tecnici dell'interpretazione; sembra quasi che gli organisti di oggi suonino più per i (pochi) critici che siedono in sala piuttosto che per le altre (tante) persone che li ascoltano e che nella maggioranza dei casi ben poco sanno di filologia, diteggiatura, registrazione e cose similari, ma che si attendono di "provare emozioni". Se non ci sarà presto una -da parte nostra auspicabile e necessaria- inversione di tendenza, che spinga gli interpreti a suonare un pò meno col cervello ed un poco di più col cuore e con l'anima, sempre più spesso l'organista verrà applaudito per la sua bravura ma sempre più spesso gli ascoltatori dovranno dire che "... E stato un bel concerto, però si sentiva che mancava qualcosa... Si sentiva che non suonava col cuore.".



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