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Organo Italiano (3)




Nella scorsa trattazione abbiamo commentato le polemiche sorte sulla costruzione di un recente strumento, reo di non essere "allineato" ai requisiti della "tradizione organaria italiana". Oggi vorremmo ribadire e dare omogeneità ad alcuni pensieri che già abbiamo avuto modo di esporre in queste pagine ma che, riteniamo, necessitino di un approfondimento.
Per prima cosa bisogna dire che l'Italia è uno dei pochi Paesi europei che non hanno visto il proprio patrimonio organario distrutto dalle vicende della Storia. In effetti, se in Francia la Rivoluzione prima e Cavaillé-Coll dopo hanno decimato uno dei più imponenti patrimoni dell'arte organaria francese lasciandone in piedi ben pochi esemplari, in Germania è stata la Seconda Guerra Mondiale che ha -non solo metaforicamente- raso al suolo migliaia di strumenti che testimoniavano tre secoli di storia dell'organo.
In Italia, fortunatamente, nulla di tutto questo è accaduto. L'unico periodo "ambiguo" si è verificato nei primi decenni del Novecento quando, sulla scia della "Riforma", diversi organi di antica fattura furono "riformati", cioè trasformati in organi di ispirazione moderna, con la conseguente irrimediabile perdita delle caratteristiche storiche e musicali originarie. In misura minore (ma questo è accaduto un pò dappertutto in Europa) si sono poi avuti casi di distruzione (o vendita) di antichi strumenti per fare posto ad organi nuovi o, addirittura, elettronici.
In definitiva, comunque, nel nostro Paese possiamo agevolmente trovare (e questo lo si constata dalle Alpi alla Sicilia) antichi positivi del Seicento ancora ben funzionanti a fianco di orchestrali Serassi, così come la produzione riformata di un Carlo Vegezzi Bossi convive con gli imponenti organi "eclettici" degli Anni Cinquanta e Sessanta. Sotto questo punto di vista noi dovremmo ritenerci ben fortunati di poter vantare una così vasta e variegata testimonianza della nostra scuola organaria.
Stanti così le cose, si potrebbe dire che in Italia non ci dovrebbero essere problemi sul "come" dovrebbe essere la produzione organaria attuale, poichè la storia dell'organo italiano è ben viva e vegeta, con i suoi strumenti spesso ben conservati e funzionanti. In effetti pare, invece, che sia proprio questa "memoria" storica ad innescare polemiche a non finire, così come l'atteggiamento spesso intransigente e radicale di alcuni organisti ed organologi non ha certo giovato ad una serena composizione delle dispute.
D'altra parte, le divergenze di opinione sull'organo italiano condizionano tuttora -e fortemente- anche le attività di restauro. Questo lo si può agevolmente constatare quando, per strumenti del tutto simili ma posti sotto la giurisdizione di Sovrintendenze diverse, si attuano tecniche di restauro del tutto differenti e spesso in contrasto tra di loro.
Ma, ritornando alla questione dei nuovi organi, diverse problematiche da alcuni decenni coinvolgono organisti, organari ed organologi. A questo si aggiunga, recentemente, l'affacciarsi anche sul nostro territorio della costruzione di nuovi organi che, talora esplicitamente, talora più nascostamente, si ispirano alle scuole organarie estere, soprattutto tedesca e francese, quest'ultima nei suoi due aspetti preponderanti: barocco (alla Dom Bédos) e romantico (alla Cavaillé-Coll).
Tra le varie discussioni è abbastanza centrale quella che riguarda il sistema trasmissivo. Sotto questo punto di vista si sta assistendo ad una progressiva affermazione della trasmissione meccanica, cosa che d'altro canto si è già verificata negli altri Paesi Europei. Ma se, ad esempio, in Germania, dove l' Orgelbewegung è sempre stata una cosa molto seria, alla trasmissione meccanica vengono affiancate le più moderne tecniche di gestione delle combinazioni e della registrazione, qui da noi l'atteggiamento si fa spesso molto più radicale, arrivando talora a far costruire strumenti che sono "copie" di antichi organi italiani, con tastiere e pedaliere ridotte, strumenti sui quali è possibile eseguire solo un ben determinato repertorio. Se questo aspetto della nuova costruzione di organi può essere compreso e sostenuto, appunto, in quei Paesi che a causa delle vicende storico-politiche hanno perso il loro patrimonio organario del passato, qui da noi dove -ripetiamo- di strumenti simili, originali e ben funzionanti, se ne trovano ovunque, non ci pare che sia necessario nè, soprattutto, utile. Noi riteniamo che, ferme restando le foniche e le timbriche dell'organo italiano, si debba anche tenere conto del fatto che i tempi cambiano e che tutte le tecnologie -anche quella organaria- si evolvono, così come bisogna -obbligatoriamente- tenere conto del fatto che il repertorio organistico non si è fermato all'Ottocento, ma ha visto tutta una copiosissima produzione che è nata dall'organo "riformato" e che per tale strumento è stata concepita, e nessuno ha il diritto di cancellare più di un secolo di storia della musica organistica italiana solamente in nome di una malintesa -e spesso non disinteressata- filologia.
Sulle foniche il discorso si fa più sottile, perchè qui entrano in gioco fattori diversi. Ciò che differenzia l'organo italiano dagli altri è la composizione del Ripieno, che affonda le sue radici nel tempo e che rimane la caratteristica peculiare dei nostri strumenti. Nel Ripieno italiano, oltre a differenziarci dalle altre scuole organarie europee (che basano i loro strumenti sul "Blockwerk" medievale), noi abbiamo la possibilità di fruire di una tavolozza timbrica in cui tutte le mutazioni possono essere utilizzate sia separatamente che in combinazione, e questo è -secondo noi- la vera forza e la caratteristica dell'organo italiano. Su questa base, nel tempo, si sono innestate altre timbriche e foniche, talora derivanti dalle altre scuole organarie europee, che sono state integrate ed adattate fino a realizzare l'organo italiano dell'ottocento, quello "orchestrale" dei Serassi, nel quale non solo timbriche provenienti da altre realtà si fondevano mirabilmente con il Ripieno italiano, ma anche venivano applicate le più moderne -per quei tempi- tecniche trasmissive.
Ma se nessuno si scandalizzava se i Serassi inserivano nella storia dell'organo italiano i registri portati in Italia dagli organari francesi che fuggivano dalla Rivoluzione, ecco che -solamente qualche decennio dopo- scoppiavano le prime polemiche sulla cosidetta "riforma".
Di questo abbiamo già parlato ampiamente su queste pagine. Ci preme sottolineare, in questo ambito, che furono più che altro le cattive interpretazioni che vennero date a questo fenomeno a dare la stura alle polemiche ed alle critiche. In effetti, in qualche caso si rischiò di stravolgere pesantemente la base stessa dell'organo italiano, cioè il Ripieno, e questo fu senz'altro uno degli errori che l'organaria italiana sta ancora pagando in termini di polemica e di contrapposizione. Queste contrapposizioni, che l'organaria del secondo dopoguerra, con i suoi organi "eclettici", non contribuì certamente a sanare, si sono radicalizzate in posizioni che se da una parte possono avere una certa rilevanza ed importanza ai fini della salvaguardia delle origini dell'organo italiano, dall'altra portano a quelle dispute che -di fatto- provocano lo stallo dell'organo italiano contemporaneo.
Ora, partendo dal dato di fatto che nel nostro Paese abbiamo la possibilità di eseguire ogni repertorio organistico italiano sugli strumenti più adatti (dagli Antegnati fino ai Mascioni non c'è che l'imbarazzo della scelta....), noi, modestamente, riteniamo che l'organo attuale italiano debba rispecchiare "tutta" la sua storia, senza dimenticare -cosa che succede troppo spesso- il Novecento. In quest'ottica noi riteniamo che non sia tanto importante il tipo di trasmissione (che con le attuali tecniche costruttive non rappresenta alcun tipo di problema), quanto il rispetto della base fonica italiana, cioè il Ripieno a file separate, al quale devono essere necessariamente unite tutte quelle timbriche e foniche che nel corso dei secoli gli si sono aggiunte, compresi anche i registri "coloristici" del Novecento, tanto avversati dai "puristi" più radicali. Noi siamo dell'idea che l'organo italiano del Duemila debba essere una "summa" di tutta la storia dell'arte organaria italiana, senza preclusioni nè esclusioni di sorta. Il tutto, ovviamente "cum grano salis", cioè tenendo sempre ben presenti quelle norme basilari di equilibrio e di sobrietà che hanno sempre caratterizzato i nostri strumenti migliori.
Detto questo, si presenta, come abbiamo già accennato, il problema degli organi realizzati su modelli stranieri. Sotto questo punto di vista il problema non è tanto quello di criticare chi decide di dotarsi di uno strumento di stile e foniche estere, poichè i motivi per farlo possono essere diversi e tutti validi, quanto sapere in precedenza quello che si desidera. Personalmente noi vedremmo più favorevolmente la costruzione di organi di tipo italiano, ma non ci scandalizziamo se per esigenze estetiche o musicali dell'organista o della committenza si preferisce talvolta rivolgersi ad organari esteri. La cosa che non approviamo in modo assoluto è la sostituzione di organi italiani, magari ancora funzionanti seppur di non grande importanza, con nuovi organi di tipo o fattura estera. In questo caso noi preferiamo vedere restaurato e rimesso in efficienza un vecchio organo italiano piuttosto che vederlo sostituito da uno strumento di altra scuola. Sta di fatto che, in ogni caso, il repertorio eseguibile fa la differenza, così come anche i desideri e gli orientamenti musicali dell'organista contribuiscono in modo determinante alla scelta di uno stile organario.
Un'ultima considerazione in merito ai restauri. Abbiamo detto che anche in questo campo diversissime sono le posizioni, spesso in contrasto tra di loro. Noi vorremmo prima o poi riuscire a vedere una omogeneità, almeno di massima, nelle tipologie di intervento che vengono consigliate o "imposte" dagli enti che sovrintendono ai restauri degli antichi strumenti. Non vorremmo, infatti, continuare a vedere applicati elettromagneti -regolarmente autorizzati, beninteso, dalla competente Sovrintendenza- all'esterno dei somieri dei positivi del Settecento di una Regione e sapere che chi effettua lo stesso intervento nella Regione vicina viene denunciato all'Autorità Giudiziaria dalla competente Sovrintendenza.
Sempre in tema di restauro, infine, la nostra personale opinione è che non sempre il restauro "a tutti i costi" si rivela una buona idea. In effetti noi riteniamo che, trovandoci in presenza di strumenti di misero valore storico, musicale ed artistico (e ce ne sono veramente moltissimi in Italia), sovente quasi completamente distrutti, non sia nè conveniente nè utile il loro restauro, bensì la loro sostituzione con nuovi strumenti (in stile italiano, ovviamente...). Peccato che qui da noi sempre più spesso si sostituiscano, invece, organi ancora funzionanti e spesso di buon valore artistico e musicale con organi elettronici.



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