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Dal compositore all'esecutore




Da diversi anni a questa parte stiamo assistendo all riscoperta ed alla rivalorizzazione di innumerevoli opere di compositori del passato che, rimasti nell'ombra e nell'oblìo per qualche secolo, si presentano ai nostri occhi in grande spolvero, dimostrandoci che molto spesso anche qualche dimenticato "Kantor" di provincia nascondeva doti paragonabili a quelle dei "Grandi" tanto acclamati e venerati.
Sotto questo punto di vista, possiamo dire che fino all'inizio del secolo scorso le figure del compositore e dell'interprete di fatto coincidevano, vuoi perchè la composizione era allora un requisito fondamentale per svolgere il compito di organisti, vuoi per il fatto che la musica organistica, indubbiamente ed irrevocabilmente, subiva evoluzioni e trasformazioni epocali che sollecitavano sempre nuovi orizzonti artistici nei protagonisti dell'organo, fossero essi grandi interpreti acclamati oppure onesti manovali dell'organo.
Nel panorama europeo questa tradizione si è prolungata fino ai giorni nostri in modi diversi a seconda delle varie scuole organistiche. Se la Francia, a nostro parere, è la scuola che più ha rappresentato questo duplice aspetto, vantando, per citarne solo alcuni, compositori-interpreti del calibro di Gaston Litaize, Jean Langlais, Olivier Messiaen, Maurice Duruflé Jeanne Demessieux e Naji Hakim, sotto punti di vista diversi anche Germania, Inghilterra e Paesi Bassi hanno presentato una continuità con la tradizione che ha visto personaggi come Stockmeier, Howells, Kraft, Cook e Peeters rappresentare un ottimo connubio tra le diverse personalità del compositore e dell'interprete.
In Italia questo connubio è in decadenza ormai da diversi decenni poichè non ci pare che qui da noi, dopo le ultime grandi figure di un passato che sta diventando quasi remoto, ci siano stati musicisti che abbiano, per così dire, occupato sotto questo duplice aspetto la scena mondiale. Abbiamo avuto, ed abbiamo tuttora, diversi e validissimi compositori, così come vediamo crescere di anno in anno una sempre più folta schiera di bravissimi ed agguerriti interpreti; non abbiamo più -e ce ne dispiace- musicisti che abbiano la capacità di coniugare ad altissimo livello queste due anime che, a parere nostro, dovrebbero essere assolutamente complementari.
Intendiamoci, anche nei Paesi che abbiamo citato più sopra il fenomeno è in diminuzione, ma le fondamenta dei loro edifici organistici presentano presupposti che consentono di coltivare e di rendere possibile la nascita di tali figure.
Ci sarebbe da disquisire qui a lungo circa i programmi dei Corsi di Organo e Composizione Organistica dei nostri Conservatori, sulla loro effettiva valenza didattica e sul loro effettivo grado di efficienza nell'ottica della formazione di "musicisti" invece che di semplici "esecutori" ma il discorso sarebbe lungo, noioso e comunque inconcludente. Sta di fatto che qui in Italia da una settantina d'anni a questa parte non abbiamo più avuto compositori-organisti che abbiano raggiunto un posto di primo piano nel panorama organistico mondiale.
D'altra parte è sintomatico rilevare che uno dei brani organistici "contemporanei" italiani più eseguiti a livello internazionale è "Fa-Si" di Luciano Berio, un brano composto "su ordinazione" da un compositore che non è mai stato organista e che non ha composto null'altro per questo strumento.
Qualcuno potrebbe a questo proposito dire che la figura dell'organista, per la sua caratteristica essenziale di "servizio" alla liturgia, non ha alcun bisogno della scena internazionale, così come qualcuno obietterà -come già si è sentito dire da diverse voci negli ultimi anni- che il concertismo organistico è deleterio per la figura stessa dell'organo e dell'organista, sempre per quel malinteso modo di intendere l'organo e l'organista come semplici "servi" della liturgia e della Chiesa Cattolica.
A parte l'ìnsita stupidità di queste argomentazioni, se così davvero fosse, ci chiediamo allora quale sia l'utilità "spicciola" dei Corsi di Organo nei Conservatori, poichè è palese a tutti che -stanti le direttive ecclesiastiche attuali- per effettuare servizio liturgico è più che sufficiente un corso di Armonia per corrispondenza.
I motivi di questo fenomeno sono molti e diversi, a partire dai già citati Corsi di Organo nei Conservatori, dove l'interpretazione è assolutamente e spropositatamente prioritaria rispetto alla composizione. Se da una parte si richiede agli studenti un'attentissima e rigorosissima "filologia interpretativa", talora forse persino esagerata, dall'altra si sorvola con una leggerezza sconcertante sull'effettiva capacità degli allievi di padroneggiare una composizione organistica che vada appena oltre un livello di base, così come l'improvvisazione all'organo (stiamo parlando della "grande" improvvisazione, quella -per intenderci- di un Cochereau, di un Messiaen, di un Pincemaille o di un Leguay) è quasi assente e, talora, anche considerata come "nociva" per la formazione di un buon interprete. D'altra parte, se nelle nostre chiese si ascoltassero improvvisazioni sul genere di quelle che si possono ascoltare durante le celebrazioni nella Cattedrale di Notre-Dame di Parigi, a molti sacerdoti e canonici nostrani verrebbero anzitempo i capelli bianchi.
Il discorso è comunque molto più complesso e tocca aspetti che non abbiamo qui nè il tempo nè lo spazio per trattare. In definitiva, per concludere, ci piacerebbe che anche dai Conservatori Italiani uscisse, ogni tanto, qualche personaggio che, come tanti altri illustri predecessori, riuscisse a coniugare il servizio liturgico con la composizione e l'interpretazione di alto livello e che portasse in giro per il Mondo la musica organistica italiana contemporanea sua e di tutti quegli autori che a questo strumento hanno dedicato le loro composizioni.



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