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Organisti e compositori

di Federico Borsari




Negli anni passati abbiamo più volte trattato diversi argomenti riguardanti l'evoluzione dell'arte organistica italiana nel corso degli ultimi decenni e da qualche tempo abbiamo potuto, con un certo piacere, vedere come buone prospettive si siano aperte (e si stiano tuttora aprendo) nel campo sia dell'interpretazione che della scelta del repertorio, con una sempre crescente attenzione da parte degli organisti delle nuove generazioni verso periodi musicali del nostro Paese fino a poco tempo fa pressochè dimenticati e verso i quali si sta sempre più orientando anche una filosofia di studio e di approfondimento che, secondo i canoni di una filologia genuina e -come dovrebbe sempre essere- aperta al confronto ed agli approfondimenti storiografici e musicologici che ne determinano l'arricchimento e l'autorevolezza. In particolare, in questi quindici anni di attività sul web, abbiamo potuto apprezzare come il periodo "riformista" e post-riformista dell'organo italiano abbia sempre più "catturato" l'attenzione e come le produzioni discografiche e multimediali si siano arricchite di dischi e video dedicati alle musiche di diversi autori italiani che operarono a cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento e che si stanno rivelando, come era doveroso che fosse, musicisti di enorme importanza e di grandissima ispirazione, per nulla inferiori ai loro contemporanei francesi, che per tanti (forse anche troppi) decenni hanno quasi totalmente occupato la scena del concertismo e della discografia europea.
Sono ormai trascorsi quasi quarant'anni da quando, in una marea di dischi e concerti dedicati -peraltro giustamente- ai vari Franck, Guilmant, Widor, Dupré ed altri grandi esponenti dell'organo transalpino, erano rarissime (ed introvabili) le incisioni, ad esempio, delle musiche di Capocci effettuate da Sacchetti per la Casa Musicale Eco (peraltro ancora disponibili nella versione su musicassetta (!!!) presso tale casa editrice), così come era veramente un evento raro trovare inserite opere di autori italiani di quel periodo nei programmi di concerto degli organisti italiani che a quel tempo calcavano le tribune internazionali. Lentamente, con l'avvento di giovani generazioni di interpreti (che ormai tanto più giovani non sono) si è sviluppato non solo l'interesse per questi autori e per le loro musiche, ma si è aperta una stagione che ha interessato anche l'approfondimento dell'arte organaria di quel periodo e del contesto storico, artistico e religioso da cui essa trasse le sue origini, avviando un circolo virtuoso che ha consentito a quegli autori ed alle loro musiche di riprendersi il posto che loro compete nel panorama organistico europeo e la comparsa sul mercato di dischi e produzioni specificatamente dedicate (tra le tante, citiamo qui i dischi incisi da Domenico Severin e dedicati a Ravanello, Capocci, Manari che abbiamo recensito non molto tempo fa) facendoci scoprire musicisti maiuscoli, che spesso rivelano un'ispirazione del tutto pari (se non talora superiore) ai loro tanto concelebrati coevi d'oltralpe.
Questa "riscoperta" ci ha fatto veramente piacere ma, fatalmente, ha innescato alcune considerazioni. Riscoprendo questi autori abbiamo avuto la possibilità di risalire alle "origini" della moderna scuola organistica italiana, di cui essi (insieme al ben più noto Marco Enrico Bossi) sono stati gli iniziatori ed i capostipiti. Essi furono tutti, nessuno escluso, non solo splendidi organisti e compositori di musica per organo, ma valentissimi (e talora insuperabili) compositori a tutto tondo, che scrissero anche per orchestra, coro, pianoforte, formazioni strumentali, vantando cataloghi in cui erano presenti messe, oratori, composizioni sinfoniche, vocali, liturgiche e profane, di ogni genere e stile, dimostrando che a quel tempo -pur rivolgendo all'organo le loro attenzioni principali- i nostri musicisti vantavano un'educazione "totale" che spaziava su tutto il panorama musicale europeo dell'epoca. In una parola, essi erano dei musicisti "completi", che con eguale perizia ed ispirazione erano in grado di comporre un preludio e fuga ed una Sinfonia per grande orchestra.
Ben pochi, purtroppo, sono gli organisti di oggi che possono vantare una tale caratteristica. Dal secondo dopoguerra, infatti, si è verificata nel nostro panorama musicale una specie di "scissione" per cui pochissimi organisti vanno oltre la composizione strettamente organistica ed ancora meno compositori "puri" dedicano le loro attenzioni all'organo (un tipico esempio può essere Luciano Berio, che all'organo ha dedicato un solo brano -"Fa-Si", peraltro ben raramente eseguito). E' sintomatico, a questo proposito, constatare come, a partire da Fernando Germani (del quale, come compositore, è (poco) nota la sola Toccata op. 12) e per tutte le generazioni successive gli organisti abbiano intrapreso pressochè esclusivamente la strada dell'interpretazione, occupandosi solo in modo assai marginale della composizione.
Non è qui il caso di tentare un approfondimento delle cause di questo fenomeno (se avremo occasione ne riparleremo più compiutamente in futuro), una delle quali sta inconfutabilmente nelle radicali trasformazioni che il Concilio Vaticano II e le sue "aberranti" (nel significato etimologico latino della parola: ab-errare - deviare dal percorso stabilito) interpretazioni causarono nell'ambito della musica liturgica in generale ed organistica in particolare. Personalmente non possiamo che dolerci di questa "povertà" musicale che ci contraddistingue da più di un cinquantennio. D'altra parte, anche i nostri Conservatori hanno in questo le loro responsabilità, tra cui anche quella di aver formato, per decenni ed in nome della "laicità" dell'insegnamento, organisti validissimi sotto il punto di vista essenzialmente "tecnico" ma assolutamente privi del concetto principale che sta alla base dell'organo e della sua musica, e cioè del fatto -indiscutibile ed inamovibile- che l'organo è, per origini e missione, uno strumento liturgico. E non ci conforta il fatto che recentemente negli ordinamenti di studio si siano inseriti diplomi di "Organo ad indirizzo liturgico". Se apparentemente ciò può sembrare una soluzione al problema prima evidenziato, in pratica viene effettuata una "discriminazione" tra organisti di "serie A" (quelli "ufficiali") e di "serie B" (quelli liturgici). Pur tenendo presenti le differenti specificità e finalità dei corsi, a nostro parere questa differenziazione non aiuta a recuperare quella splendida eredità che i vari Capocci, Renzi, Ravanello ed altri ci hanno lasciato attraverso la loro assidua attività come organisti e compositori al servizio della Liturgia (sempre prevalente) e la loro non meno importante attività come compositori di spessore e levatura internazionali.
Personalmente, ogni volta che ci imbattiamo in giovani che desiderano dedicarsi all'organo (e negli ultimi anni ne abbiamo conosciuti moltissimi) consigliamo loro di non limitarsi al conseguimento del solo diploma in Organo, ma suggeriamo loro di completare la loro formazione -almeno- con i diplomi in pianoforte e composizione e, possibilmente, ampliare le loro conoscenze in altri campi e generi musicali (ad esempio il Jazz e la Musica Sperimentale) in modo da poter acquisire una formazione musicale il più possibile "completa", che consenta loro di riprendere -seppur parzialmente- le orme ed il cammino intrapresi dai grandi organisti del primo Novecento e di riaprire all'organo italiano quegli ampli orizzonti che per troppo tempo sono stati chiusi.



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