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Sic transit gloria Organi

di Federico Borsari




Qualche mese fa, spulciando tra le carte relative all'inaugurazione dell'organo, costruito da Carlo Vegezzi Bossi nel 1914, della chiesa parrocchiale di Cremolino (Alessandria), ci siamo imbattuti nel programma a stampa del concerto di inaugurazione, avvenuto il 6 Settembre 1914.
A quell'epoca -a differenza di ciò che accade oggi inItalia- la costruzione di un nuovo organo era ancora considerata un avvenimento di grande importanza nell'ambito della vita di una comunità parrocchiale, e come tale era vissuto da tutti; in quest'ottica, i concerti di inaugurazione erano delle vere e proprie "feste di popolo" che riempivano le chiese e che vedevano la partecipazione dei migliori organisti italiani dell'epoca. Marco Enrico Bossi (come Padre Davide da Bergamo mezzo secolo prima di lui) era uno degli organisti più richiesti, ma quando la sua presenza non era disponibile tanti erano gli organisti molto validi e di solida e sicura fama che intervenivano a queste manifestazioni, presentando programmi di concerto che se allora erano più che normali, oggi sarebbero considerati una vera e propria leccornìa da parte degli addetti ai lavori.
Quello che si può agevolmente accertare da questi programmi è il fatto che essi erano dedicati nella quasi totalità all'esecuzione di musiche di autori allora viventi e che quasi sempre una buona parte di questi concerti comprendeva una consistente parte riservata all'improvvisazione.
Se Marco Enrico Bossi, nel Settembre 1897, inaugurando l'organo della parrocchiale di Ovada (a pochi chilometri da Cremolino), aveva presentato diversi brani suoi, opere di autori a lui coevi (ad esempio Sgambati) e pochissime concessioni al classico (tra cui la BWV 565 di Bach), per l'inaugurazione dell'organo di Cremolino si scomodarono ben due organisti, uno dei quali si dedicò all'esecuzione dei brani mentre il secondo si alternava al primo con una serie di improvvisazioni. Il programma del concerto, che trovate qui, vedeva tre grandi improvvisazioni eseguite da Geremia Piazzano, allora organista presso la Cattedrale di Vercelli che si intercalavano ad un programma di brani vari, interpretati da Cecilio Manfredi, organista della Cattedrale di Novara, in cui era compreso un unico brano "classico" (di Carl Philipp Emanuel Bach, di cui quell'anno ricorreva il bicentenario della nascita) e tutti gli altri erano di autori contemporanei: Alexandre Guilmant (deceduto solamente due anni prima), Theodore Dubois (che aveva 77 anni), Gaston Bélier (41 anni), Charles Wakefield Cadman (33 anni), Roberto Remondi (63 anni) e Joseph Bonnet (che allora aveva 30 anni).
Come si può vedere, si trattò di un vero e proprio concerto di musica contemporanea, cosa che ai nostri giorni non possiamo neppure più immaginare, ed il fatto che alle musiche di questi autori, tra cui due allora ancora giovanissimi ma già famosissimi, si alternassero le improvvisazioni dell'allora molto noto ed esperto Geremia Piazzano fa di questo concerto (ma anche di tutti quelli che si tenevano in Italia in quel periodo) una splendida testimonianza di quanto fosse allora vivo, attivo e fecondo il panorama organistico italiano, da poco tempo rimesso nella giusta carreggiata dalla cosidetta "Riforma ceciliana", che aveva riportato l'organo (e la musica sacra e liturgica) nel suo giusto posto riassegnandogli quella dignità ed importanza che aveva perduto nel secolo precedente.
Se facciamo una veloce comparazione con il panorama concertistico italiano attuale, dobbiamo dire che la differenza, se da una parte è dovuta alla riscoperta (avvenuta durante l'ultimo secolo) del repertorio organistico "classico" ed alla conseguente rivalutazione delle opere dei grandi (ma anche dei meno grandi) autori dei secoli passati, dall'altra parte è dovuta ad una fondamentale "rarefazione" di quelle figure musicali che -a quel tempo e grazie alla Riforma- avevano i "numeri" per essere al tempo stesso compositori, pianisti, organisti, direttori di coro e di orchestra e kapellmester, tutte doti che facevano la differenza con le figure musicali di oggi, che si restringono, per la maggior parte dei casi, a semplici esecutori, filologici ed accurati fin che si vuole ma che tali purtroppo rimangono.
Cent'anni fa la musica in chiesa era una cosa molto seria; era uno dei pilastri del panorama musicale europeo -ed italiano- e, pur senza scomodare genii musicali del calibro di Don Lorenzo Perosi, anche il più periferico organista di paese sapeve a menadito armonia, composizione, direzione di coro e quant'altro servisse per svolgere al meglio la sua professione, che consisteva quasi sempre nel suonare l'organo alle funzioni, comporre brani ad uso liturgico, dirigere le cappelle musicali che allora erano fiorenti e presenti anche nelle più sperdute parrocchie di campagna e, ancor più spesso, dirigere anche la banda del paese (componendo brani per essa) ed allietare le ricorrenze civili con performances al pianoforte o dirigendo piccoli ensembles strumentali; non ultimo era il compito di insegnare la musica ai giovani ed ai ragazzi, tra i quali molto spesso si celavano i futuri grandi musicisti. E non dimentichiamo neppure i sacerdoti, che quasi sempre erano ottimi musicisti (formati alle scuole musicali dei seminari), organisti e direttori di coro.
Bene, oggi, dopo un secolo e confrontando la situazione di allora con quella odierna, avvertiamo un profondo senso di scoramento nel vedere come tutte queste virtù artistiche si sono liquefatte come neve al sole, quel sole malato e deleterio che è stato il Concilio Vaticano Secondo, male impostato e peggio interpretato (ne parliamo qui, ovviamente, sotto il punto di vista esclusivamente musicale) da un clero invasato di "modernismo" e fanatico di quel cosidetto "svecchiamento", figlio del Sessantotto, che ha praticamente raso al suolo una tradizione musicale che, affondando le sue radici nei due cardini della Riforma (rivalutazione del Canto Gregoriano e della Polifonia classica), aveva portato la musica sacra (e con essa anche quella organistica) ad essere uno dei fondamentali della musica italiana contemporanea.
Oggi gli organisti escono dai Conservatori, che sono realtà sicuramente importanti ma che sono essenzialmente "laici", cioè slegati dal compito "liturgico" per il quale gli organisti dovrebbero essere formati. I Conservatori formano degli organisti completamente avulsi dalla realtà liturgica -peraltro pressochè scomparsa- entro la quale essi dovrebbero operare. Gli studi dei classici (Bach in primis e poi a seguire tutti gli altri) concernono esclusivamente l'aspetto formale ed esecutivo, non certo le condizioni "liturgiche" e religiose entro cui questi autori avevano operato. Oggi si dimentica, spesso incolpevolmente ma assai più spesso proditoriamente, che fino alla fine dell'Ottocento gli autori di musica organistica componevano essenzialmente e fondamentalmente "per la liturgia" e non certo per il concertismo, ed è per questa grave mancanza che si perde di vista la fonte primaria di ispirazione delle loro composizioni. La filologia interpretativa sminuzza, viviseziona e passa al microscopio anche le più piccole -e spesso assolutamente inutili- particolarità compositive tralasciando, invece, le basi di queste opere: la destinazione liturgica ed il background artistico-culturale che sta loro dietro. E' ovvio che -a queste condizioni- lo Studio sulla Salve Regina di Manari (che, ricordiamo qui, era un sacerdote) viene visto e considerato, sic et simpliciter, un brano esclusivamente virtuosistico e da "gran concerto" (e tale esso in effetti "ANCHE" è) senza vederne il legame stretto con la tradizione musicale liturgica concatenata a doppio filo con il Canto Gregoriano. Il fatto, poi, che nei Conservatori si siano ormai estinti gli insegnanti religiosi (ultimi figli di quella grande scuola di cui parlavamo prima) ha fatto si che mezzo millennio di musiche pensate e composte "soli Deo Gloria" siano oggi considerate in un contesto esclusivamente "laico" e secolarizzato, in pratica "spogliate" della loro caratteristica fondante e della loro motivazione principale. E, anche qui, una delle colpe principali sta nel fatto che la Chiesa ha -di fatto- sbattuto in cantina il Canto Gregoriano, la Polifonia, l'organo e la sua musica, relegando nel ripostiglio delle carabattole inutili, con essi, anche un millennio di tradizione e storia della musica; non ci stancheremo mai di dolerci del fatto che, da una quarantina d'anni a questa parte, per ascoltare -ed è solo un esempio- una di quelle splendide "Toccata per la Levatione" del sommo Frescobaldi, invece che partecipare alla Santa Messa dobbiamo assistere ad un concerto, obbligati per di più ad ascoltarla in un contesto non solo avulso, ma per certi versi anche "antagonista" a quello per cui ed in cui era stata composta.
Ma, tornando al discorso principale di questa trattazione, non possiamo che dolerci, ancora di più, del fatto che oggi -tranne alcune eccezioni che confermano la regola- ci sono troppi "organisti" e troppo pochi "musicisti". La composizione organistica, quando viene praticata, si riduce sempre più spesso a brani brevi e di corto respiro, senza grande spessore e -soprattutto- esclusivamente funzionale al capestro imposto dalle attuali norme liturgiche, nell'ambito delle quali l'organo è ormai una specie di soprammobile di cui si può fare anche a meno (e che in certi casi dà pure fastidio...). Stanti così le cose, non possiamo pretendere molto di più; nei nostri Conservatori si formano sempre più concertisti e sempre meno musicisti e compositori che abbiano quella formazione completa che contraddistingueva i vari Bottazzo, Ravanello, Manari, Sgambati, Caudana ed altri che abbiamo già trattato in passato da queste pagine.
Per concludere, ricorderemo che una ventina d'anni fa, in piena ondata di "modernismo liturgico", negli ambienti conservatori era di moda la frase "Nelle chiese ormai si parla troppo e si prega troppo poco!", che faceva il paio con l'altra: "Dal pulpito si fa troppa politica e poca catechesi.". Nel condividere pienamente tali affermazioni, noi oggi le integreremmo anche con "...e si suona e si canta ancora meno!" e con "...e quando lo si fa, lo si fa male!".
Sic transit gloria Organi.



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