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A che cosa serve l'organo

di Federico Borsari




Ci capita talvolta di seguire in televisione, la domenica mattina, le celebrazioni della Santa Messa che vengono trasmesse da diverse emittenti televisive ed abbiamo notato, a questo proposito, come ci siano diverse impostazioni su come vengano "trattate" queste liturgie a seconda del canale che le trasmette.
Ci sono emittenti che trasmettono la Santa Messa "sic et simpliciter", cioè senza alcun commento o sovrapposizione; altre, invece, la "condiscono" con commenti nei momenti, per così dire, "televisivamente vuoti", ad esempio l'Ingresso, l'Offertorio e la Comunione. Il massimo dell'invadenza lo rileviamo, purtroppo, durante la trasmissione delle liturgie pontificie, dove troviamo tre, quattro e talora anche cinque "commentatori" che non solo "riempiono i vuoti", ma spesso anche si sovrappongono a momenti del sacro rito che non dovrebbero assolutamente essere "disturbati". Un tipico esempio di questa "invadenza" l'abbiamo constatato durante la trasmissione della cerimonia della canonizzazione di San Giovanni XXIII e di San Giovanni Paolo II, il 27 Aprile scorso, durante la quale i cosidetti "vaticanisti", decisi a tutto pur di gratificare il loro ipertrofico e logorroico "Io", hanno colto la ghiotta occasione per propalare all'Orbe Terracqueo il loro personale (e discutibile) verbo, che solitamente ed altrimenti non viene mediaticamente considerato, sovrapponendosi ampiamente non solo a quasi tutta la cerimonia ma, addirittura, anche alle preghiere del Pontefice. Non abbiamo gradito neppure la traduzione simultanea delle preghiere e delle letture (che erano in Latino, la lingua della Chiesa Universale) in italiano, ma questo è un altro discorso su cui si potrà questionare eventualmente in futuro.
In linea di principio, ma con le dovute eccezioni, non mettiamo in dubbio nè l'autorevolezza nè le buone intenzioni di questi commentatori (che sono quasi sempre sacerdoti, teologi e liturgisti di chiara fama) ma, sinceramente, troviamo assai discutibile, assolutamente fastidioso e totalmente fuori luogo questo metodo di proporre la liturgia.
Può darsi che le più recenti interpretazioni abbiano cambiato le cose, ma a noi è stato insegnato (ma erano altri tempi...) che le liturgie in generale (e la Santa Messa in particolare) sono di per se stesse "complete". In effetti il "commento" nella Messa già esiste, ed è l'Omelia (più banalmente: la Predica), che è il commento alla liturgia della parola di quella domenica e che da essa prende spunto per trattare e commentare anche situazioni e momenti contingenti. Gli altri momenti della celebrazione hanno ognuno una specificità ed una particolare individuazione che non ha alcun bisogno di essere "commentata" verbalmente; la liturgia prevede espressamente, per questi momenti, un commento di diverso genere: quello musicale, che di norma dovrebbe essere svolto dal coro accompagnato dall'organo. Inutile dire che il commento musicale ha il suo significato ed il suo senso nel testo del canto che viene effettuato.
Ma, a quanto pare, gli illustri teologi e sacerdoti che non si fanno scrupolo di "coprire" i canti durante l'Offertorio e la Comunione con parole che spesso nulla ci azzeccano con il contesto, sono convinti che il canto e la musica nelle celebrazioni siano poco più che un riempitivo da poter sostituire a piacere con la loro voglia di protagonismo.
Ebbene, costoro -spiace dirlo- dimostrano una solenne ignoranza delle regole liturgiche che essi stessi dovrebbero invece conoscere molto bene. E' ascoltando un canto di offertorio che si riesce a cogliere il senso di questo momento, della "oblatio donorum" che, testualmente, è definita dalla Chiesa come "...primo gesto che il sacerdote, rappresentando Cristo Signore, realizza nella Liturgia Eucaristica; non è semplicemente un 'intermezzo' tra questa e la Liturgia della Parola, bensì costituisce un punto di unione tra queste due parti strettamente connesse per formare, senza confondersi, un unico rito." (vedi rif. in questa pagina). Non un "intermezzo", dunque, durante il quale dare libero sfogo alle proprie doti oratorie, ma un momento da vivere "liturgicamente" secondo le regole e le intenzioni che la Chiesa prevede. Lo stesso discorso lo si può fare per la Comunione e per gli altri momenti in cui la Chiesa prevede l'utilizzo del canto (".. il canto sacro, unito alle parole, è parte necessaria ed integrale della liturgia solenne." - Atti del Concilio Vaticano II - Cost. Sacrosantum Concilium).
E' per questi motivi che, personalmente, preferiamo seguire la Santa Messa trasmessa in televisione da quelle emittenti che non fanno commenti e lasciano che la liturgia dispieghi la sua completezza nella sua naturalezza.
Conseguentemente a questo discorso, però, ecco che si presenta un altro aspetto, più strettamente "organistico". Abbiamo potuto seguire celebrazioni durante le quali per l'accompagnamento dei canti si sono utilizzati grandi organi storici, più modesti organi corali, organi elettronici e, anche, tastiere elettroniche campionate. In tutti i casi l'effetto è sempre stato più che soddisfacente e quasi sempre solo un orecchio attento poteva notare la differenza tra l'utilizzo di un organo a canne ed uno elettronico.
Ma il punto discriminante del nostro discorso sta nel fatto che se le celebrazioni proposte in televisione mantengono quasi sempre un livello musicale "decoroso", ben diversa è la situazione nelle centinaia di parrocchie in cui le norme conciliari e le più recenti direttive pontificie in materia di musica liturgica vengono, domenica dopo domenica, ignorate, dimenticate ed irrise.
Per renderci conto "de visu et de facto" della tragica condizione in cui versa la musica liturgica nelle nostre parrocchie, abbiamo fatto una carrellata sui siti internet di diverse realtà musicali parrocchiali e ne abbiamo scelta una, rigorosamente a caso, tra le centinaia di reperibili sulla grande rete, che vi proponiamo qui. Ogni commento è assolutamente superfluo.
A questo punto sorge spontanea una domanda: ma l'organo, oggi, serve veramente per la liturgia?
La risposta è, molto banalmente, no. Per accompagnare un coro (ed eventualmente anche l'assemblea) serve solamente uno strumento (di qualsiasi genere) che sia in grado di dare una tonalità e di sgranare quei quattro accordi necessari per mantenere in tonalità le "ugule fumanti" (sic!) dei cantori che con malcelato orgoglio si lanciano in una spregiudicata interpretazione della futuristica "Preghiera Rap" (che -supponiamo- sia quella di Adriano Celentano, peraltro basata su due soli accordi).
Stanti queste premesse, ecco che gli organi nelle nostre chiese non solo non trovano più gli spazi minimi in cui possano essere suonati ma, addirittura, non trovano più neppure la loro ragione di esistere.
Ed allora, ci domandiamo, che senso ha -oggi- costruire organi per le nostre chiese? Per la Chiesa di oggi l'organo non è più uno degli attori (nè principali ne secondari) dell'azione liturgica, bensì solo un accessorio di cui si può benissimo fare a meno e che, oltre tutto, costa anche un sacco di soldi di manutenzione.
Per gli stessi motivi che senso ha, oggi, il discorso del restauro di antichi organi? Anche nell'ipotesi che la spesa venga completamente coperta da privati, rimane l'assoluta certezza che tali strumenti (solitamente posti sulle ormai desuete, deprecate e desolate tribune) non avranno possibilità di essere utlizzati.
La conseguenza logica di questo discorso è quella che diversi analisti del settore già prospettavano alcune decine di anni fa, cioè che si accentuerà sempre di più quella differenziazione tra gli organi "da chiesa" e quelli "da concerto" (cioè quelli installati negli auditoriums e nelle sale da concerto). In pratica, mentre da una parte nelle chiese si avrà una sempre minore valorizzazione dell'organo, l'immenso repertorio formato da quasi duemila anni di musica organistica (la maggior parte della quale, ricordiamo, è stata composta espressamente per un utilizzo liturgico) si trasferirà, appunto, nelle sale da concerto, spogliandosi di significato, scopo ed ispirazione e diventando un tipo di musica "per intenditori". Altra inevitabile conseguenza sarà (e già lo è) la progressiva perdita di storici e prestigiosi strumenti presenti nelle chiese che rimarranno sempre più inutilizzati e che, nella migliore delle ipotesi, rimarranno a deteriorarsi ed autodistruggersi sulle polverose ed abbandonate cantorie, mentre nella peggiore verranno dismessi, smantellati, distrutti o (in un rovesciamento assai curioso della situazione) venduti per essere trasferiti (ed utilizzati a scopo concertistico) in auditoriums e sale da concerto private.
Ed allora, come porre rimedio a questa situazione e togliere l'organo da chiesa dal suo attuale non-ruolo per ridargli la dignità, lo scopo e l'importanza che ha avuto per duemila anni?
La risposta non è nè semplice nè immediata. Purtroppo il Concilio Vaticano II, nonostante tutte le sue buone intenzioni, è stata la causa principale e scatenante di questa decadenza della musica liturgica in generale e dell'organo in particolare. Se le Sacre Gerarchie non decideranno di voltare pagina, ben difficilmente potremo evitare di porre una pietra tombale sull'organo e sulla musica sacra e religiosa nelle nostre chiese ma, vista l'aria che tira, tutte le prospettive -purtroppo- sono per nulla incoraggianti.



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