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Chi ha rubato il "rubato"?

di Sandro Carnelos




Pubblichiamo in questo numero un'altra interessantissima riflessione dove l'amico ed organista Sandro Carnelos affronta un argomento che da qualche tempo a questa parte è stato un poco messo da parte ma che rimane sempre, seppur quasi "dimenticato" nella prassi esecutiva, di fondamentale importanza per capire a fondo la "Musica".

Il rubato, una prassi esecutiva, che sino alla metà del secolo scorso era abbastanza presente in diversi musicisti, sembra essersi eclissata o quantomeno offuscata ai nostri giorni. Per comprendere il fatto e spiegarlo dal punto di vista della storicità, ho fatto ascoltare a degli allievi disparate esecuzioni (dello stesso brano) da parte di molti artisti registrate in vari periodi, chiedendo poi cosa avessero notato di differenza tra le diverse interpretazioni. A parte la bontà o meno del mero supporto sonoro: CD, vinile o nastro magnetico, molto spesso, mi veniva risposto che l'esecutore aveva cambiato registrazione in quel tal punto del brano, oppure che non riusciva ad andare "a tempo" in quel determinato passo visto che la sua tecnica forse non era adeguata, mentre oggigiorno (visti i palati o meglio orecchi più fini) si è maggiormente preparati ed attenti a rilasciare nel mercato certe défaillances. In tante occasioni, ho dovuto faticare non poco per far cambiare opinione e affinare le capacità di ascolto e di mediazione di una certa libertà, che di primo acchito veniva aspramente criticata per poi essere apprezzata e lodata come azione di alta qualità artistica. Probabilmente nel rincorrere spasmodicamente la ricerca di: ricostruzioni storiche, studio dei trattati per le diteggiature antiche, conoscenza degli abbellimenti secondo le varie scuole, realizzazione di strumenti "mirati" per l'esecuzione di un certo repertorio, si è perso strada facendo, il vero gusto per la musica suonata (non eseguita) con spontaneità e sincerità d'animo. Questo ovviamente non vuol dire che un dilettante che procede dondolante ritmicamente, come un ubriaco per la via, possa definirsi un artista.
Il "mondo ritmico" di molti autori, specialmente riferendomi ai romantici è ricco di elementi caratteristici, quello forse più noto ma allo stesso tempo più oscuro, è proprio il rubato. Va detto che l'origine del rubato è italiana, sia per quanto concerne la musica vocale come quella strumentale, è un primato che non può stupire visto che la musica nei tempi antichi fu sempre concepita con grande libertà. Che vari musicisti (anche stranieri) derivassero il loro rubato dai cantanti italiani è altresì spesso attestato, ma ciò non toglie che abbiano creato il loro rubato, non come perfezionamento di quello italiano, ma perchè la loro spiccata sensibilità consentì l'impossessarsi e il far proprio tale componente, di adattarlo alla loro natura musicale e di ricrearlo facendone uno degli aspetti salienti del proprio stile. Praticamente, è quel qualcosa che ci rende riconoscibili e distinguibili all'ascolto dalla massa informe; i non musicisti cioè i semplici amatori, direbbero: "non so cosa sia ma mi piace, costui riesce a far parlare lo strumento, questo artista mi convince di più", sino ai casi estremi: "non mi sono annoiato come succede di solito anzi ero sempre più attratto ad ascoltare per sentire come andava a finire". A questa cerchia di persone, poco, o meglio nulla importa, che dito si è usato, se si suona con la punta o il tallone il pedale, l'importante è raggiungere lo scopo primario, cioè comunicare attraverso il puro suono la propria intenzione musicale, onestamente non mi sembra di poter dar loro alcun torto.
Il rubato è documentabile in Italia fin dal Quattrocento, ma le definizioni più chiare le troviamo nel Settecento, quando l'arte del bel canto era giunta a tale splendore da portare i teorici a riferirne dettagliatamente. Si riteneva un'azione artistica alterare il normale fluire del ritmo nel canto togliendo un certo di valore ad una nota per addizionarlo alla seguente, in modo che la misura, nel suo insieme, non risultasse sbilanciata. E' quello che viene definito rubato ritmico, visibilmente non annotabile per la piccolissima disuguaglianza tra il valore graficamente segnato e quello realmente eseguito. E' un'arte che deriva dall'animo dell'interprete, che si può in parte assimilare studiando i trattati, ma soprattutto assorbire ascoltando l'esempio concreto. Orbene, che C. Franck ad esempio suonasse le sue opere con delle anomalie ritmiche, è testimoniato da numerosi musicisti ed allievi. Più poeticamente, se vogliamo, F. Liszt spiegava al suo allievo Neilissov: "Guardate questi alberi, il vento scherza con le foglie, desta la vita in esse, ma l'albero resta lo stesso, questo è il rubato", riferendosi allo stile del collega e amico F. Chopin; citando dei pianisti, il lettore non pensi che tale pratica fosse sconosciuta agli organisti, specialmente nell'Ottocento, periodo in cui l'organo era unito in stretta relazione col pianoforte, quanto nei secoli precedenti lo era stato col cembalo.
Non sempre veniva indicato dagli autori, probabilmente perchè: cercare di quantificarlo era impossibile: infatti è per sua natura volubile, evanescente, può trovarsi in diverse misure, ma quasi mai nella stessa posizione, può apparire in uno spunto melodico e non nella sua riproposta, in una esecuzione e non in un'altra di uno stesso interprete, e proprio in questo sta il suo fascino. E' il frutto dell'abitudine all'improvvisazione, dell'emotività del momento, sempre variabile. Posto che un musicista abbia la sensibilità musicale per saper rendere la misura cosi flessibile, in quali punti del discorso musicale l'applicherà? Dove si trova indicato ovviamente, ma quando mancano le indicazioni? Il rubato, dovrebbe combaciare con un punto logico soprattutto dal punto di vista emozionale, ad esempio su un'intensificazione o indebolimento della trama melodica, su qualche armonia particolare, senza essere però mai eccessivo per non cadere nel cattivo gusto. Nel belcanto italiano, non consisteva soltanto nell'alterazione ritmica della parte del solista, ma anche nel far sgorgare in modo improvvisato un insieme di suoni (diminuzioni) ad esempio sino a coprire lo spazio tra due note, con un numero variabile di suoni; quello che oggi si definisce rubato melodico, le cui caratteristiche fondamentali sono: spontaneità d'invenzione ed esecuzione libera. Al di fuori del nostro paese, il rubato melodico fu spesso scritto; talvolta però le grafie vengono spesso confuse con gli ornamenti e solo chi sa fare un'attenta analisi sa differenziarle. In compenso la sua esecuzione è meno problematica e aleatoria di quella del rubato ritmico.
Infine, abbiamo il rubato agogico, praticamente si attua quando il movimento generale della composizione si allarga o si stringe seguendo l'andamento e l'espressione del passo. Qualcuno sostiene che in questo caso il termine è usato impropriamente perchè: il rubato riguarda solo la linea melodica, mentre in questo caso l'allargamento o l'accelerazione del movimento si applica a tutte le parti simultaneamente. Si può logicamente obiettare che il rubato se toglie valore ad una nota, lo restituisce poi ad un'altra; nel rubato agogico un episodio toglie valore ad un altro, ma poi lo rende, dal momento che la durata del pezzo nel suo insieme resta quasi immutata. L'uso del termine, pertanto risulta legittimo. Arriviamo così a comprendere una raffinata concezione filosofica legata alla musica, cioè la concezione del tempo nel suo itinere: possiamo ascoltare il medesimo brano con notevoli varianti ritmiche presenti all'interno di esso, ma la sua durata complessiva rimane praticamente uguale. Nel caso della musica per assorbire l'opera l'ascoltatore è passivo, deve subirsi la durata dall'inizio alla fine, nel caso invece di altra arte, ipotesi una mostra di quadri o sculture, il singolo può passare in visione tutte le opere esposte con durata diversa, dipende da quanto desidera soffermarsi davanti ad esse per ammirarle, specialmente se sono di suo gradimento. Un esecutore attento ed analitico nei confronti del pezzo che intende propinare al pubblico, sa quando deve "tirare" innanzi più celermente se il discorso musicale è lezioso o poco interessante o al contrario quando deve soffermarsi maggiormente per sottolineare all'orecchio dell'ascoltatore un determinato passaggio più ricco di contenuti. Facendo di nuovo il paragone con l'opera pittorica, si tratta di quel fascio di luce che illumina un particolare della scena, lasciando in ombra una parte meno interessante. Mi piace spesso descrivere il concertista, come colui che sapientemente accompagna il pubblico all'ascolto di ciò che lui vuol far sentire, come un abile oratore sa convincere sicuramente meglio di un semplice lettore. Mi riallaccio così a quanto scriveva G. Frescobaldi nella prefazione alle sue Toccate, prima di lui, N. Vicentino, sosteneva che "nelle composizioni si usa un modo di procedere che non si può scrivere, come (...) il cantar più veloce e più lento (...) per dimostrare gli effetti delle passioni delle parole".
Scendere ad indicazioni più precise con le parole non si può, solitamente (per esperienza didattica di oltre un trentennio) posso affermare che non s'impara poi molto con lunghi discorsi, ma con l'esempio pratico e soprattutto con l'attento ascolto di buoni interpreti.



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