Logo Arretrati

Chi interpreta cosa.

di Federico Borsari






Abbiamo aperto la trattazione con questa divertente clip (risalente al 1994, quando ancora esisteva la Lira) nella quale il grande Vittorio Gassman, con la sua proverbiale autoironia, prendeva in giro i fini declamatori che -a quell'epoca, ma anche oggi- trovavano il modo di enfatizzare la lettura di qualsiasi testo. A prescindere dalle intenzioni, questa breve clip è ottimale per introdurre l'argomento di oggi, cioè l'interpretazione. In effetti, se notate bene il titolo del video, esso dice "Gassman legge il menu". Posto che di leggere siamo capaci tutti, quello che fa la differenza è il come si legge. Ed è appunto l'insieme delle modalità di lettura che fanno l'interpretazione. Sotto questo punto di vista, tutti noi quando leggiamo qualcosa, la "interpretiamo" secondo abitudini, usi, consuetudini e modalità che derivano dall'ambiente in cui siamo cresciuti, dalla scuola che abbiamo frequentato, dal grado di cultura che abbiamo e da tantissime altre cose che -come per ogni altra cosa della vita- formano la nostra personalità. Il problema, quindi, non è tanto il "leggere" qualcosa, quanto il come leggerla e, nel caso dei musicisti, il come la si propone agli altri, cioè agli ascoltatori.
Molte fonti danno come origine della parola "interpretare" il latino inter-praetium, cioè negoziare un prezzo. Fatte salve tutte le obiezioni che vengono formulate su questa origine, i significati che si trovano correntemente di questa parola sono tre. La prima è l'equivalente di "tradurre", cioè traslare un discorso da una lingua all'altra in modo da renderlo comprensibile a chi non conosce quella lingua. Il secondo è capire e spiegare ciò che viene rappresentato in forma simbolica tramite segni convenzionali non conosciuti da tutti. Il terzo consiste nello spiegare nel modo più probabile il significato (o, anche, se si tratta di un'opera d'arte, il pensiero creativo) di un'opera (scritto, discorso, opera d'arte, musica, ecc.). Possiamo dire, restringendo l'ambito di queste definizioni, che tutte e tre ben si addicono alla Musica poichè la Musica è, in effetti, un liguaggio sconosciuto alla maggior parte delle persone (e, quindi, equivalente ad una lingua straniera), è un linguaggio raffigurato in forma simbolica con segni convenzionali (note, pause, righi, ecc.) e, infine, essendo -appunto- un linguaggio, contiene dei significati che possono essere espressi e spiegati solo mediante la presenza di un "interprete", cioè il musicista.
Il "problema" dell'interpretazione, nel campo della musica (in generale e nella musica organistica in particolare), è abbastanza recente e comincia a proporsi nell'Ottocento, quando con l'avvento del Romanticismo i compositori sentono la necessità di indicare in partitura le "sensazioni" che la musica dovrebbe suscitare negli ascoltatori. Prima di allora, i compositori scrivevano la "musica" e basta, cioè le note e solamente in rarissimi casi qualche indicazione strettamente indispensabile nei casi in cui desideravano espressamente specifici effetti; casi "di scuola" sono quelle (poche) partiture di Bach nelle quali egli, espressamente, indica -ad esempio- quando si debbano utilizzare due tastiere o -anche- quali registrazioni utilizzare ("in organo pleno" ne è l'esempio più conosciuto); quasi sempre, inoltre, vengono omesse le indicazioni di tempo e mancano del tutto le indicazioni di andamento. In quegli ambiti, in effetti, l'interpretazione era davvero determinata -a parte le consuetudini consolidate dalla prassi, ad esempio circa l'esecuzione degli abbellimenti- dal bagaglio culturale e dalla personale sensibilità degli esecutori.
Nell'Ottocento, invece, si afferma sempre più l'abitudine di indicare -prima di tutto- l'andamento, cioè la velocità di un brano musicale; grazie anche all'invenzione del metronomo, sempre più spesso in capo alle partiture -assieme all'andamento generico (Andante, Allegro, Lento, Moderato)- fanno la loro comparsa le precise indicazioni metronometriche. Vengono inoltre scritte espressamente in partitura anche quelle variazioni sia di andamento (rallentando, ritardano, stringendo...) che di espressività (le famose "forchette", diminuendo, aumentando, ecc.). Di pari passo compaiono le indicazioni di registrazione ed anche i famosi "attributi espressivi" squisitamente romantici che spesso accompagnano gli andamenti (Allegro "con fuoco", Andante "affettuoso", Lento "e triste", "religioso e con devozione" e via discorrendo). In questo modo, se da una parte si limita fortemente l'interpretazione "personale", dall'altra si precisano meglio e sempre più esattamente gli aspetti del pensiero creativo degli autori, fornendo agli interpreti molte indicazioni che li aiutano in modo molto più accurato a coglierne il significato e, di conseguenza, a spiegarlo agli ascoltatori. Questo aspetto non deve però fuorviare la discussione sull'interpretazione, poichè -esattamente come per la notazione pura e semplice- è il bagaglio culturale ed educativo dell'interprete che condiziona l' "interpretazione" di queste indicazioni. A prescindere dalle indicazioni metronometriche (che spesso sono anche fuorvianti e -ovviamente- nessun organista suona un brano in concerto facendo "battere" il metronomo sulla consolle), in effetti un "Allegro" può essere considerato più o meno allegro a seconda delle personali convinzioni estetiche, così come un "ritardando" può essere più o meno "ritardato" per gli stessi motivi. Come si vede, nonostante tutte le indicazioni che si possono infilare in una partitura, alla fine chi fa la differenza tra un organista ed un altro è sempre il "come" queste indicazioni vengono seguite ed effettuate, il che -come dicevamo all'inizio- è il nocciolo, lo "zoccolo duro" dell'arte dell'interpretazione.
Nel secolo scorso, il Novecento, diverse nuove teorie sull'interpretazione si sono andate affermando, cambiando molto, ed in certi casi anche rivoluzionandone il concetto. In questa trattazione ci limiteremo a due aspetti, il primo è l'aggiunta dell'aggettivo "filologica", ma di questo parleremo dopo. Il secondo aspetto è stato introdotto a partire dagli anni Settanta, quando fecero il loro ingresso nel campo musicale le tecnologie di sintesi del suono e di "automatizzazione" dell'esecuzione musicale, dovuta in principal modo all'invenzione dei "sintetizzatori" e dei "sequencers". Suoni elettronici e macchine capaci di riprodurre elettronicamente sequenze di suoni (nipoti, per la verità, delle ottocentesche macchine musicali "a rullo" perforato), fecero si che si parlò, con una certa enfasi ma assai a sproposito, dell'inutilità dell'interprete umano. Furono in molti, in quegli anni, a decretare la fine dell'esecutore musicale; sarebbe stato sufficiente, a loro parere, inserire -sic et simpliciter- le note in un computer per avere la "vera" ed "autentica" interpretazione della musica. Sotto certi aspetti l'idea ha diversi fondamenti, il principale dei quali è che una macchina non ha tutti quei condizionamenti (culturali, comportamentali, conoscitivi ed umorali) che caratterizzano un musicista in carne ed ossa; la macchina suona -sempre e comunque- le note nello stesso modo e, soprattutto, non ci mette niente di suo, rispettando così -si diceva- nel modo più fedele la scrittura musicale originale. Una delle figure più rappresentative di questa nuova idea di interpretazione musicale è senz'altro stata -ed è tuttora- Wendy Carlos (conosciuta prima del 1972 come Walter Carlos), di cui tutti ormai -anche i più giovani- ricordano la colonna sonora del film "Arancia Meccanica", realizzata nel 1971. Ma già negli anni precedenti l'allora Walter Carlos aveva prodotto diversi dischi utilizzando per le sue performances i primi modelli del sintetizzatore musicale denominato "Moog" (dal nome del suo inventore, Robert Moog) e dedicando le sue attenzioni principalmente alla musica di Bach (il disco "Switched-On Bach" del 1968 vendette oltre mezzo milione di copie e si prese ben tre Grammy Award). Carlos anche negli anni seguenti, pur ampliando le sue performances anche a musiche di altri autori (Monteverdi, Scarlatti, Haendel, Vivaldi), mantenne ben viva la sua predilezione per le opere del Kantor di Lipsia, dedicando interi dischi al Clavicembalo ben temperato, ai Concerti Brandenburghesi e ad altre diverse composizioni di questo autore. E' da rimarcare, per tornare al nostro discorso, che anche Wendy Carlos, pur rimanendo fedele al suo ideale di musica "sintetizzata", non passò indenne dalle lusinghe dell'"interpretazione". In effetti -pur rimanendo la musica sempre "eseguita" dalla macchina- mentre nelle sue prime realizzazioni utilizzò i suoni "originali" del Moog, nei dischi seguenti -complice l'evoluzione delle tecniche di sintetizzazione del suono- Carlos cercò di utilizzare sempre più spesso -e con ottimi risultati, per la verità- quei suoni che più -a suo parere- si avvicinavano a quelli degli strumenti per cui le musiche erano state originariamente scritte. Sembra niente, ma in queste scelte la Carlos fu -ovviamente e forse inconsapevolmente- "condizionata" dal suo personale gusto, dalla sua sensibilità e da quanto aveva appreso durante gli studi musicali alla Columbia University. L'interprete, buttato fuori dalla porta, era rientrato dalla finestra. A titolo esplicativo proponiamo di seguito un paio di video reperiti sulla grande rete in cui possiamo ascoltare la Sinfonia dalla Cantata n. 29 "eseguita" con i suoni dei primi sintetizzatori e l'Allegro iniziale del Concerto Brandenburghese n. 2 realizzato con i suoni di un sintetizzatore di ultima generazione; dal confronto risulta evidente quanto in questo secondo brano venga ricercata la somiglianza il più possibile fedele ai suoni degli strumenti acustici originali:



L'altra novità che cambiò il volto dell'interpretazione musicale nel Novecento fu, come abbiamo accennato, l'avvento della "filologia", quella teoria che -in stretto connubio con la storiografia musicale- introdusse come concetto fondamentale nell'esecuzione musicale il desiderio ed il tentativo di riuscire ad ottenere delle interpretazioni il più possibile vicine e "fedeli" a quelle che avrebbero dovuto essere in origine, ai tempi -cioè- di quando le musiche erano state composte, aprendo il passo a quella che oggi è ormai comunemente definita "interpretazione filologica".
Ci furono diversi fattori che contribuirono all'evoluzione di quest'aspetto dell'interpretazione e che ne interessarono diversi ambiti, ma due ci paiono fondamentali e determinanti. Il primo è rappresentato dagli approfonditi studi di antichi trattati progressivamente rinvenuti nei vari archivi musicali europei, studi che hanno permesso di conoscere le varie prassi esecutive -di cui in precedenza non si era a conoscenza- che caratterizzarono le diverse scuole musicali barocche europee. Un esempio tra i più eclatanti di queste ricerche è quello che riguarda gli "abbellimenti", specificatamente quelli più comuni della prassi esecutiva barocca francese. Tutti gli organisti che si approcciano a questo genere di musica si trovano abbastanza "spiazzati" dal fatto che la prassi esecutiva barocca francese presenta molte più figurazioni rispetto alle altre scuole europee. Per fare un semplice esempio, nella letteratura barocca organistica francese troviamo ben nove tipi di "trillo" (semplice, appoggiato, legato, legato e appoggiato, interrotto, con finale annotato, composto, continuo e con mordente finale) e -notate bene- queste nove figurazioni risultano "interpretate" ognuna in modo differente dai diversi autori; ad esempio sappiamo che del trillo "semplice" ne esistevano cinque modalità interpretative (di Couperin, di Boyvin, di Dandrieu, di Corrette e di D'Anglebert). Tutto questo alla fine dell'Ottocento, con il Romanticismo imperante, non era conosciuto; solamente nei decenni successivi, grazie alla scoperta ed allo studio di antichi trattati, si è potuto approfondire l'argomento ed arrivare alla prassi interpretativa attuale, che -non solo nel campo degli abbellimenti, ovviamente- può a buona ragione fregiarsi dell'appellativo di "filologica" e che permette agli organisti -a seconda se suonano un brano di Couperin piuttosto che uno di Corrette- di adottare la prassi esecutiva il più aderente possibile a quella "pensata" dall'autore. Altri aspetti riguardano -e qui veniamo anche in Italia- alla riscoperta ed allo studio delle cosidette "diteggiature antiche", oppure all'approfondimento del tocco (portato piuttosto che legato), alla tecnica della pedalazione organistica (basti pensare al fatto che una delle prime annotazioni di "pedaleggiatura" delle opere di Bach fu effettuata da César Franck nel 1887 con grande dispiegamento di punta-tallone mentre oggi un allievo di conservatorio che non usi solo le punte viene prontamente cacciato) e così via per tantissimi altri aspetti esecutivi che, messi insieme uno con l'altro, formano un formidabile bagaglio artistico che è alla base dell'interpretazione filologica.
Il secondo aspetto che ci preme sottolineare è la "riscoperta" degli "strumenti originali", aspetto che riguarda non solo gli organi ma tutto l'ambito della strumentazione. Per ciò che riguarda l'organo, l'origine di questa "riscoperta" la troviamo nei primi decenni del Novecento, quando in Germania prese piede la cosidetta "Orgelbewegung". Se in precedenza le musiche di Bach venivano suonate sui maestosi Sauer romantici (che -peraltro- non mancavano mai di mantenere una solida base fonica di tipo germanico classico), fu proprio in quegli anni che si consolidò la scuola di pensiero che caldeggiava l'esecuzione delle musiche del Kantor su quegli strumenti storici che allora, prima delle distruzioni del secondo conflitto mondiale, erano ancora numerosamente presenti in Germania. Nel resto del Mondo, le musiche di Bach venivano eseguite sugli organi "moderni" (in Italia avevamo le interpretazioni bachiane di Germani alle consolle dei migliori organi "eclettici" italiani) e fu solo verso gli anni Settanta che iniziarono ad arrivare le prime incisioni bachiane effettuate su organi antichi tedeschi (una delle prime fu quella di Eberhard Fölster alla consolle del Niehoff 1551 di Lüneburg) e fu così che la ricerca, il restauro e l'utilizzo di strumenti originali antichi (e, per ciò che riguarda gli organi, dei relativi temperamenti inequali) diventarono la nuova frontiera dell'organologia moderna e, di conseguenza, dell'interpretazione filologica.
Tutto questo detto, comunque, rimane sempre il fattore umano, che mette in ballo quei famosi fattori di educazione, conoscenza, personalità ed umoralità di cui abbiamo parlato prima e che, uniti anche ai diversi fattori "ambientali" che sempre -più o meno- influenzano l'esecuzione (caldo, freddo, uditorio attento e concentrato piuttosto che rumoroso e distratto, stato di salute e molto altro), fanno in modo che lo stesso brano suonato diverse volte dallo stesso organista sullo stesso strumento non sia mai uguale. E questa, in fondo, è la caratteristica fondamentale dell'interpretazione poichè, come suol dirsi, l'uomo (per ora) non è una macchina.



Torna all'Indice Considerazioni e Riflessioni
Torna all'Indice Categorie


Copyright "La Pagina dell'Organo" - 1996-2016