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Organo Italiano (5).

di Federico Borsari




Nel corso dei vent'anni di esistenza di queste pagine abiamo più volte trattato l'argomento, alquanto controverso in verità, dell'organo italiano, del suo passato, del suo presente assai incerto e del suo avvenire che -a nostra opinione- è purtroppo assai improbabile. Improbabile non certo perchè manchino organari di grande valore (e, anzi, vorremmo qui sottolineare il fatto che i nostri organari sono ancora oggi tra i migliori nel Mondo), quanto per il fatto che da ormai più di mezzo secolo l'arte organaria (e, di conseguenza, anche quella organistica) della nostra penisola è stata interessata più da discussioni dettate da visioni ed opinioni personali che da un dibattito serio e costruttivo che, prendendo spunto e testimonianza da un grande passato, ponesse le basi per quell'operazione di sintesi e di ponderata evoluzione che gli altri Paesi Europei (Germania e Francia in primis) già hanno attuato da tempo e che hanno ben precisamente individuato le caratteristiche di quelle scuole organarie, ridefinendone le caratteristiche fondamentali e tracciando le strade per un'evoluzione che ha permesso loro di progredire e raggiungere risultati di tutto rispetto.
Spiace dirlo, ma qui da noi il panorama organario è tuttora dominato da innumerevoli dispute che, in definitiva, prendono origine da un malinteso, cioè dal tipo di organo che era derivato dalla cosidetta "Riforma" organaria del primo Novecento e che -come tutti i movimenti musicali di quel tempo- aveva visto, assieme ad una genuina visione dell'evoluzione dell'organo italiano sulla base di solidi presupposti "classici", proliferare un discreta serie di forzature stilistico-timbriche che avevano oltremodo privilegiato la presenza di timbriche di carattere "estero" le quali, invece di andare ad "integrare" con intelligenza le disposizioni foniche dei nostri organi, avevano finito per stravolgerle, andandone molto spesso anche a sostituire le sonorità più caratteristiche, con effetti talora disastrosi. L'Adunanza di Trento del 1930 fu un passo significativo verso la restituzione all'organo italiano della sua essenza classica, ma ormai molti danni era stati fatti e le conseguenze, purtroppo, ce le portiamo appresso ancora oggi.
Certamente, alla discussione contribuirono anche le teorie del primo Novecento, per lo più dettate dalle esigenze di un concertismo organistico che proprio in quei decenni stava scoprendo non solo le composizioni degli autori contemporanei stranieri ma, anche, le opere degli autori del passato, sia italiani che stranieri, e che, per la loro proposizione in concerto, richiedevano strumenti su cui poter interpretare -ad esempio- sia le composizioni di Bach che quelle di Franck. E gli organi italiani che erano stati costruiti fino alla fine dell'Ottocento qui in Italia non lo permettevano. L'organo della Riforma, pur prendendo origine da tutt'altre intenzioni, aveva cominciato a rispondere a quest'esigenza ma il prezzo da pagare fu che nel giro di un paio di decenni gli organi italiani di nuova costruzione persero per strada molte delle loro caratteristiche fondamentali, andando ad assomigliare sempre più agli organi coevi che si costruivano in Francia, Germania ed Inghilterra. L'Adunanza di Trento, come abbiamo detto, impose un primo freno a questa tendenza, ma se da una parte rivalutò i "fondamentali" dell'organo classico italico (rivalutazione, in primis, del Principale italiano e della piramide del Ripieno come timbri di base su cui impostare le disposizioni foniche), dall'altra tenne comunque ben presenti le esigenze degli organisti e dei concertisti ed in questo modo si aprì quella fase che portò l'organo italiano a passare dall'aggettivo "moderno" all'appellativo "eclettico".
Bisogna dire, a proposito di questo vocabolo, che esso presenta, correntemente, due significati. Il primo definisce chi "sceglie e armonizza i principi che ritiene migliori di sistemi e indirizzi diversi" mentre il secondo, utilizzato in modo dispregiativo, definisce chi "rimaneggia e combina senza originalità idee altrui". Inutile dire che in Italia il termine fu utilizzato più che altro nella seconda accezione, che andò a "bollare" non solo quegli strumenti che -effettivamente- vennero costruiti senza alcuna originalità combinando timbriche senza alcuna omogeneità -e spesso incompatibili- tra di loro ma, anche, una buona serie di organi che -invece- furono realizzati con grande perizia da organari di primissima qualità che furono attentissimi a trovare il giusto equilibrio tra la base dei solidi registri italiani di fondo e di ripieno e tutta una serie di timbriche che, scelte con molta intelligenza, andavano ad integrare in modo perfetto le disposizioni foniche, creando strumenti che -effettivamente- rendevano possibile l'esecuzione di musiche di varie epoche con un'appropriatezza fonico-timbrica che non obbligava a scendere a compromessi troppo "compromettenti".
Bisogna dire che le basi di questa scuola di pensiero le pose, subito dopo l'Adunanza di Trento, un certo Raffaele Manari che, a dire il vero, non era certo l'ultimo arrivato in fatto di organo ed arte organistica. In molte sue opere teoriche, così come nelle lezioni che teneva ai suoi allievi al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, egli partiva dal principio che "L'organo deve essere adatto all'esecuzione della musica sia antica sia moderna" e, a seguito di questo assunto, che "è necessario fornire l'organo di registri adatti all'esecuzione di musica antica e moderna e disporli razionalmente". A maggior chiarimento di questi principi, egli diceva anche che "Ogni Nazione, pur offrendo un organo adatto ad eseguire composizioni di diverse epoche e di diversi autori, deve naturalmente conservare le proprie caratteristiche, se le ha, nell'intonazione, nel complesso generale e nel dare una certa prevalenza ad alcuni registri piuttosto che ad altri. L'intonazione, per esempio, del Ripieno italiano sarà sempre diversa da quella che possono dare i Francesi al Plein Jeu ed i Tedeschi alla Mixtur. Lo stesso dicasi del Principale e suoi derivati, di registri ad ancia e di tante altre gradazioni e sfumature che variano da nazione a nazione, da fabbricante a fabbricante.". Come si può vedere, questi scritti -risalenti al 1931- sono assai chiari e definiscono con assoluta precisione come l'organo italiano, pur dovendo diventare capace di rispondere alle esigenze di un'interpretazione il più completa e variegata possibile, non può derogare assolutamente dalle sue caratteristiche peculiari dettate da una tradizione millenaria.
Come abbiamo detto, ci furono organari che riuscirono nell'intento di realizzare organi di tali qualità e caratteristiche mentre ce ne furono altri che produssero organi che si rivelarono maldestre "ibridazioni" e che contribuirono ad un peggioramento del panorama organario italiano sia prima che dopo il secondo conflitto mondiale e, ovviamente, la polemica si trascinò anche negli anni Sessanta del secolo scorso, quando a dare un severo colpo all'organo eclettico fu Corrado Moretti che, nel suo famoso trattato "L'Organo Italiano", al cosidetto "organo sinfonico-eclettico" muove come imputazioni "la pianificazione dei timbri, conseguenza di un monotono standard di misure delle canne, che ha mortificato la genialità dello spirito d'inventiva dell'artefice e che ha imposto agli strumenti una tipica e uniforme fisionomia, sì da far affermare a molti esteti: 'sentito uno, sono sentiti tutti'." e "la spersonalizzazione del carattere nazionale, per eccessiva compiacenza verso le peculiarità dell'organo straniero, nella presunzione di giungere all'organo internazionale.", concludendo infine di non essere d'accordo "con chi ritiene che il moderno organo sinfonico-eclettico sia l'ultima parola in fatto di organaria: anche noi ne ammiriamo il valore, la ricchezza timbrica, la praticità, la funzionalità; ma affermiamo con chiara coscienza che questo tipo di organo non è l'organo italiano.".
Fermi restando tutti i meriti attribuibili a Corrado Moretti, personalmente queste sue affermazioni le riteniamo da una parte non aderenti alla realtà (in effetti ci sono -eccòme- nella nostra penisola tanti organi "eclettici" costruiti a partire dagli Anni Trenta e fino agli Anni Sessanta che non sono per nulla standardizzati nelle timbriche e che non mostrano benché minimamente il "monotono standard delle misure delle canne" e che, anzi, si pongono come ottimi esempi di come una certa organaria di quel periodo mantenesse nella salda tradizione italica la base di realizzazioni di grande bellezza ed interesse timbrico). Dall'altra ci chiediamo -visto che secondo lui quelli non sono organi italiani- quale possa essere un "vero ed autentico organo italiano moderno", perchè se andiamo a vedere bene nel passato della nostra storia dell'organo e la sfrondiamo di tutti i tipi di registri "esteri" che nei secoli -e senza scandali- vi sono stati inseriti (passando dalla Voce Umana -di origini olandesi- alle "mutazioni nordiche" introdotte da Hermans ed, infine, ai registri ad ancia forte introdotti da Serassi grazie agli organari francesi presso di lui riparati dopo la Rivoluzione) le foniche veramente ed autenticamente "italiane" rimangono quelle rinascimentali, cioè il Principale, le file separate del Ripieno, tre Flauti (di 8 piedi, in ottava ed in duodecima) e (ma solo come riferimento alla scuola veneta e, quindi, senza valenza generale) i Tromboncini. Vogliamo costruire un organo italiano "moderno" solo con questi registri? Liberissimi di farlo, magari con due ed anche tre tastiere (ma con timbriche tutte uguali tra di loro) ma siamo poi così sicuri che su un organo di questo tipo ci si possa suonare Franck, Reger, Messiaen, Tournemire e Howells?
Ecco, quello che intendiamo dire con questa trattazione è che la storia dell'organo italiano è talmente diversa da quella degli altri organi europei che trova molto più difficilmente sbocchi di effettiva modernità. Mentre i nostri organi, come abbiamo detto, si sono arricchiti durante i secoli di registri e timbri esteri, gli organi francesi e tedeschi non hanno avuto alcun bisogno di acquisire i timbri degli organi italiani poichè erano già fin dalle loro origini molto più sviluppati rispetto ai nostri. Passare dall'organo classico a quello moderno per la Francia e per la Germania, realtà già fin dalle origini dotate di strumenti a più tastiere e con una ricchezza timbrica notevole, è stato relativamente facile mentre la nostra organaria, che fondamentalmente è rimasta quella che era nel Rinascimento, non aveva la ricchezza timbrico-fonica necessaria e, a differenza degli altri, ha dovuto integrarsi acquisendo timbri e registri "esteri" già a partire dal Rinascimento. E se l'organo italiano si è "modernizzato" durante i secoli prendendo in prestito dagli altri Paesi la Voce Umana, le mutazioni in terza e le ancie francesi, perchè dobbiamo scandalizzarci e stracciarci le vesti se nel Novecento l'organo italiano si "modernizza" acquisendo Voci Celesti, Salicionali, Cromorni, Diapason, Rankett e quant'altro?



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