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Personalità

di Federico Borsari




I nostri lettori più attenti avranno notato che spesso, su queste pagine, abbiamo utilizzato la parola "personalità" per definire le caratteristiche foniche, timbriche ed espressive di uno strumento cioè, in pratica, quanto uno strumento riesca o meno a "dire qualcosa" di interessante non solo a chi lo ascolta ma, anche, a chi lo suona. Ci è capitato, quindi, di definire un organo come "dotato di grande personalità espressiva" o, al contrario, di definirne altri come "...mosci, senza grande personalità".
Bisogna dire subito, a scanso di equivoci, che i giudizi su di un organo vanno indissolubilmente legati alle "personalità" degli ascoltatori e degli organisti, in un confronto che abitualmente si verifica anche tra due persone che si parlano e si confrontano e, a seconda della -appunto- personalità dei due interlocutori, può nascere o meno un interesse ed un'intesa. Questo "confronto" di personalità potrebbe a prima vista apparire come un confronto unidirezionale poichè, apparentemente, un organo parla (cioè suona) sempre allo stesso modo, ma per gli addetti ai lavori (in primis gli organisti) ciò non è del tutto vero poichè tutti gli strumenti musicali -ad anche l'organo- reagiscono in modo diverso alle sollecitazioni dell'interprete (soprattutto al tocco), ed è abbastanza evidente che un organista che riesca a comprendere pienamente la personalità di un organo (cioè le sue possibilità espressive anche più nascoste) sarà in grado di sfruttarne le caratteristiche nel modo migliore e, in definitiva, di fargli dire quello che vuole. A questo proposito, personalmente, durante la nostra esperienza europea di ricercatori, uno degli strumenti che abbiamo trovato più "difficile" da suonare è stato il Klais 1935 cinque tastiere della SintBaafskathedral di Gand, un enorme strumento elettrico di novanta registri con diversi corpi d'organo abbastanza lontani tra di loro e con un ritardo di risposta notevole. Ma se alla sua consolle siede Edward De Geest, che ne è titolare dal 1994 (cioè da quasi venticinque anni) tutto cambia, perchè il tempo e l'esperienza hanno fatto si che l'intesa tra organo ed organista sia totale, e questo permette a De Geest di riuscire a far suonare questo strumento esattamente come egli desidera.
Ma se per un organista "stanziale" la capacità di "capire" la personalità e le possibilità di uno strumento vede un lungo periodo di adeguamento ed adattamento reciproco, questa capacità deve essere praticamente immediata per quegli organisti che, oltre a suonare un organo proprio, svolgono anche attività concertistica di grande ampiezza. Durante la nostra attività abbiamo conosciuto, e conosciamo tuttora, molti "concert organist" che scorrazzano per il Mondo e che se ieri hanno suonato un positivo italiano, oggi si devono esibire su un Cavaillé-Coll e dopodomani dovranno mettersi alla consolle di uno storico Schnitger o di un modernissimo Klais, ovviamente con repertori assai diversi tra di loro. Sinceramente, da mediocri organisti, nutriamo una tanto sincera quanto rispettosa invidia nei confronti di questi artisti che arrivano nel luogo del concerto, aprono l'organo, dopo cinque minuti e poche note hanno già capito tutto e sfoderano concerti maiuscoli sotto tutti i punti di vista. Ovviamente, in questi casi, è l'esperienza quasi quotidiana di trovarsi di fronte a strumenti di ogni tipo, genere e fattura che fa la differenza e fornisce la capacità di definire immediatamente la personalità dello strumento e di instaurare con essa, altrettanto immediatamente, un rapporto che serva, da una parte, a far "parlare" l'organo al meglio delle sue possibilità e, dall'altra, a far esprimere all'interprete tutte le sue doti musicali ed artistiche.
Ma, a prescindere da questa problematica, rimane il fatto che ogni organista ha delle predilezioni dettate dalla scuola organistica, dagli strumenti praticati e dalla propria attitudine artistico-estetica ed è inevitabile che chi, ad esempio, prediliga gli organi meccanici e la loro immediatezza, prontezza al tocco ed adeguatezza di risposta non trarrà particolare soddisfazione dal suonare un organo a trazione pneumatica od elettrica e lo definirà, inevitabilmente, come lento, senza risposta, pesante ed impersonale.
Detto questo, è indubitabile che ogni organo possieda caratteristiche che lo contraddistinguono in modo unico, e ciò deriva dalle sue specificità timbriche e da diversi altri fattori, tra cui la grandezza, la disposizione fonica e l'intonazione. La grandezza è solitamente correlata con la vastità dell'ambiente ed è abbastanza intuitivo che un piccolo organo sistemato in una vasta cattedrale risulti inadeguato poichè il suo suono non riempie l'ambiente (il caso più eclatante è certamente la Basilica di San Pietro in Vaticano dove i due grandi organi riunificati, che in un'altra cattedrale rivelerebbero un suono davvero "poderoso", riescono a malapena ad essere sufficienti ed il cui suono, spesso, necessita di essere anche amplificato). La disposizione fonica è forse la caratteristica più importante, poichè è anche dal tipo di registri e dalla loro presenza e disposizione nei vari corpi fonici che dipende la "personalità" dello strumento. Sotto questo punto di vista ogni cosidetta "scuola organaria" ha le sue caratteristiche. Esistono qui da noi organi vecchi di cinque secoli che con solamente una piramide di Ripieno, un paio di Flauti e (forse) un'ancia riescono a fornire risultati splendidi sia sotto il punto di vista della compattezza che della brillantezza e che, con le loro meccaniche "corte" e sensibilissime, costituiscono un vero piacere per gli organisti che apprezzano l'esecuzione filologicamente corretta della grande letteratura italiana classica. Nell'area europea del Nord troviamo -anche qui- strumenti con oltre mezzo secolo di vita sui quali le musiche dei barocchi nordeuropei (Bach in primis) prendono una presenza, un vigore ed un'attualizzazione che sarebbero, oggettivamente, impossibili da trovare sugli organi delle altre e diverse scuole organarie europee. Analogamente, gli autori "classici" francesi riescono a rendere in modo ottimale solamente sugli ormai pochi organi pre-rivoluzionari rimasti. In definitiva, a livello generale, si riscontra una prima grande differenziazione tra le varie scuole organarie storiche europee, i cui strumenti hanno -per ognuna di esse- caratteristiche tali da evidenziare personalità timbriche e foniche assolutamente definite che li collocano molto ben precisamente nell'ambito della loro epoca e del loro tempo.
Ma a queste due caratteristiche se ne aggiunge una terza, cioè l'intonazione, che è il fattore che, all'interno di una determinata scuola organaria, consente di differenziare un organo dall'altro e, in molti casi, di riuscire a determinarne anche -dal solo ascolto- l'organaro che lo ha costruito. La capacità di intonare due canne uguali in modo totalmente differente è ormai roba vecchia, lo abbiamo già detto e ripetuto, e serve anche a fare in modo che un organo riesca a dare il meglio di se stesso a seconda della posizione in cui viene sistemato ed in relazione all'ambiente. La storia ci fornisce tanti esempi di scuole di intonazione; Schnitger, Cliquot, Antegnati e molti altri hanno segnato la storia dell'organo europeo ma, arrivando più vicino a noi, a partire dall'Ottocento e con l'avvento della musica organistica "sinfonica", le caratteristiche di quest'arte si sono evolute di conseguenza. Se il primo organo realizzato da Cavaillé-Coll per Saint-Denis è una "summa" dell'organaria classica francese proiettata verso il futuro, altrettanto non si può dire per i suoi ultimi strumenti e, men che meno, per quelli del suo successore Mutin. Nell'arco di poco meno di cinquant'anni il carattere e la personalità degli strumenti di Cavaillé-Coll mutarono in modo molto appariscente (questo avvenne grazie all'opera del suo intonatore "storico", quel Gabriel Reinburg che era l'anima estetica dei suoi strumenti) andando sempre più ad esaltare i Fondi a scapito delle mutazioni. Questo lo si può agevolmente constatare paragonando le disposizioni foniche del Grand Orgue dei due organi agli estremi della sua produzione, quello di St.Denis (1841) e quello di Rouen (1890). Nel primo troviamo un Grand Orgue robustissimo e, a fronte di un totale di 20 registri nominali (28 reali), ricco flauti e mutazioni semplici e composte (tre Flauti, quattro Ripieni e Nazardo); nel secondo (che è comunque considerato uno degli organi migliori da lui realizzati) il Grand Orgue ha solo undici registri -tra cui un solo flauto- di cui otto sistemati nella tessitura 16 e 8 piedi, un solo registro di 4 piedi e nessun tipo di Mutazione nè semplice nè composta. In questo strumento, inoltre, a fronte di un Recit decisamente sproporzionato rispetto al Grand Orgue (venti registri contro undici) ed esageratamente ricco di timbri "orchestrali", troviamo solo due Ripieni, uno di cinque file al Positivo ed uno -nella tessitura grave- al Clavier de Bombarde. Se consideriamo -disposizioni foniche alla mano- che l'organo di Saint Denis di Ripieni ne conta sei e, oltre al Cornetto di 5 file, presenta sette mutazioni semplici mentre quello di Rouen -Cornetto escluso- ne ha solo una, possiamo agevolmente comprendere come radicalmente differente possa essere la "personalità" di questi due organi che, pur se entrambi realizzati dallo stesso organaro ed intonati dalla stessa persona, sembrano appartenere (ed in effetti appartengono) a due epoche lontanissime tra di loro pur se separate "solo" da mezzo secolo.
A queste caratteristiche che formano la personalità di un organo se ne dovrebbe anche aggiungerne un'altra, strettamente legata al posizionamento spaziale dello strumento (lo stesso organo, per chi lo ascolta in navata, "suona" in modo molto diverso a seconda se posizionato in tribuna di controfacciata oppure a terra in transetto) ma il discorso sarebbe qui troppo lungo e complesso e ci riserviamo di trattarlo in una prossima pagina.
E' chiaro, a questo punto, che ogni organo possiede una propria personalità che lo distingue da tutti gli altri ed è con questa personalità che l'organista deve fare i conti. Un punto di vista diverso (dalla parte dell'ascoltatore) per la valutazione della personalità di un organo lo si trae, invece, dalle incisioni discografiche. A questo proposito abbiamo parlato diffusamente nella scorsa trattazione dei vari "punti di ascolto" dell'organo e noi qui, oggi, proporremo una nostra teoria che sicuramente scandalizzerà tutti. Abbiamo già detto che, nella stragrande maggioranza dei casi, il punto di ascolto del "fedele" in chiesa non è il punto d'ascolto ideale per la musica organistica. E' sicuramente capitato a tutti di rendersi conto che solamente spostandosi di qualche metro il suono cambia poichè variano la distanza dallo strumento, la forza e compattezza del suono e la sua pulizia e chiarezza (questo a causa della presenza più o meno marcata dei fenomeni di eco e riverbero che sono molto diversi nei vari punti di una chiesa). Stante questo dato di fatto ed ormai constatato come le moderne tecniche di presa del suono in fase di registrazione di un disco siano arrivate ad un punto di raffinatezza tale da poter eliminare la maggior parte di questi effetti secondari, ecco che ci permettiamo di affermare che il miglior modo per ascoltare il suono di un organo nelle condizioni ottimali per poterne apprezzare le caratteristiche e, di conseguenza, la "personalità" è, appunto, un'incisione discografica. Con questo, ovviamente, non intendiamo sminuire in alcun modo l'ascolto "live", che è il solo che può fornire una serie di emozioni che la riproduzione di un disco -anche se fatta con le migliori tecnologie dell'alta fedeltà- non può dare; rimane, a nostro parere, il fatto che se la registrazione è stata fatta con tutti gli accorgimenti tecnologici più adatti ed accurati, l'ascolto di un disco è sicuramente il modo migliore per percepire ed apprezzare in modo completo tutte le caratteristiche fonico-timbriche di uno strumento, anche quelle che solitamente in un ascolto dal vivo passano quasi inosservate e che della personalità di un organo fanno parte integrante.
Detto questo, come nei saloon del vecchio West, non sparate sull'organista!



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