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Organo "live" o registrato?

di Federico Borsari




 Grammofono e Radio

La discussione se sia meglio ascoltare la musica dal vivo oppure riprodotta compie un secolo e, ancora oggi, non si è arrivati (e non si arriverà mai) ad una soluzione. La primissima discussione fu originata dalla comparsa dei "grammofoni", che a quei tempi consentivano di ascoltare una riproduzione alquanto approssimativa della musica e, sostanzialmente, riservata ad una cerchia di utenti ristretta ai cosidetti "signori", cioè quelle persone -ed allora erano davvero poche- che potevano vantare un tenore di vita tale da potersi permettere l'acquisto di un grammofono. Fu solo qualche decennio dopo (negli Anni Trenta del Novecento) che, con l'avvento della radiofonia (non dimentichiamoci di Marconi... è grazie alla sua invenzione che voi in questo momento potete leggere queste righe attraverso il computer o lo smartphone) la discussione si ampliò e divenne molto accesa (come lo è tuttora), tirando in ballo anche musicisti, compositori e direttori d'orchestra. A quell'epoca la radio non proponeva ancora musica "registrata", bensì concerti ripresi "dal vivo" e la qualità del suono che usciva dagli altoparlanti di quegli apparecchi era sostanzialmente uguale a quella dei grammofoni e l'aspetto della fedeltà del suono non era all'ordine del giorno. Era molto sentito, invece, il problema -più che altro sociologico- del fatto che era la prima volta in assoluto che la musica (in particolare quella classica) veniva resa fruibile al di fuori delle sale da concerto e proposta anche ad una fascia di "utenza" che, nella maggior parte dei casi e per diversi motivi (lontananza dalle grandi città, condizioni economiche modeste, impossibilità di effettuare spostamenti, ecc.), non aveva la possibilità di frequentare tali luoghi. Molti si chiesero se questa possibilità di fruizione "allargata" potesse nuocere oppure giovare alla musica e la discussione riguardò soprattutto "l'atteggiamento" che gli ascoltatori assumevano nei confronti della musica dal vivo oppure radiotrasmessa. Una delle disamine più accurate (per quell'epoca) fu elaborata da Bela Bartok in un suo testo dal titolo "Musica meccanizzata" (da non confondersi con il termine "meccanica", che contraddistingue la musica prodotta da strumenti musicali "automatici" come gli organetti e le pianole) in cui sottolineava il diverso approccio tra coloro che andavano ad ascoltare musica nelle sale da concerto (che consideravano questa cosa come un impegno di preparazione, concentrazione ed ascolto molto attento) e coloro che la musica la ascoltavano alla radio (senza grande impegno, spesso svolgendo altre attività ed altrettanto spesso decidendo -se la musica non era di loro piacimento- di cambiare stazione (e, quindi, tipo di musica) con il solo gesto di ruotare una manopola). Ovviamente non è questa la sede per affrontare una disamina che agli aspetti "musicali" affiancò, per la prima volta nella storia, anche aspetti più propriamente sociologici che Theodor Adorno, filosofo che tali fenomeni aveva vissuto direttamente anche come musicista (fu anche valente pianista e studiò composizione con Berg) poi ben chiaramente analizzò nei suoi due testi "Introduzione alla sociologia della musica" e "Il Fido Maestro sostituto" dei primi Anni Sessanta (testi che vi consigliamo di leggere con molta attenzione).
Dopo il secondo Conflitto Mondiale, assieme all'evoluzione delle apparecchiature per la riproduzione del suono, riprese anche la discussione, che ebbe una spiccata evoluzione dapprima con l'avvento dei "giradischi" amplificati, poi della "stereofonia" e, infine, della cosidetta "Alta Fedeltà", nel cui ambito si è poi sviluppata un'evoluzione tecnica spaventosamente veloce che ha visto alcune idee (ad esempio la "quadrifonia") nascere e spegnersi in pochi anni mentre altre tecnologie (ad esempio il cosidetto "Home Theater") si sono perfezionate fino ad oggi. Una svolta (per ora) definitiva alla fruizione della musica "registrata" è stata infine data dalla "digitalizzazione" del suono (ne abbiamo parlato sotto l'aspetto strettamente tecnico in questa pagina), che consente a noi tutti, oggi, di ascoltare musica molto ben riprodotta (con standard di fedeltà e di ampiezza di frequenza notevolissimi) tramite un normale paio di cuffiette (o auricolari) collegate al nostro smartphone. Nell'ultimo decennio, infine, grazie all'avvento della grande rete Internet, la quantità di musica a disposizione per un ascolto immediato e di ottima qualità è cresciuta vertiginosamente ed è praticamente possibile trovare in rete non solo la maggior parte delle incisioni discografiche più importanti di tutto il secolo scorso ma, anche, una quantità impressionante di musica che viene registrata al di fuori dei circuiti ufficiali (molto spesso prodotta artigianalmente da singoli compositori e musicisti) e si può ben dire che, oggi, ben poche sono le musiche che, tramite i vari canali -spesso "dedicati" e specializzati- presenti su Internet, risultano non ascoltabili.
 Impianto Alta Fedeltà Ovviamente, questa spettacolare evoluzione tecnica ha amplificato le discussioni tra chi ritiene meglio ascoltare la musica nelle sedi istituzionali e chi, invece, ritiene che -proprio grazie ai livelli di perfezione raggiunti dalle apparecchiature di riproduzione sonora- le condizioni migliori di ascolto siano rappresentate dalla musica registrata. Senza considerare gli ultimatum definitivi proclamati da alcuni negli Anni Settanta del secolo scorso quando l'invenzione dei sintetizzatori e dei sequencers spinse qualcuno a dichiarare la fine della musica "suonata" (che bisogno c'è di scomodare un'orchestra quando con un sintetizzatore ed un sequencer si può ottenere un'esecuzione musicale "perfetta"?), rimangono fondamentalmente sempre valide le argomentazioni di Bartok del 1937 circa le diverse condizioni di ascolto e, soprattutto, sul diverso "approccio" che gli ascoltatori assumono nei confronti della musica a seconda se assistano ad un concerto oppure ascoltino musica dagli auricolari del telefonino mentre, ad esempio, fanno jogging mattutino a Central Park.
Anche la musica organistica non è scampata a queste discussioni ma con un ulteriore aspetto di complicanza: il fatto che esistono DUE categorie di organi, quelli nelle chiese (dove sono presenti da un paio di millenni) e quelli nelle sale da concerto (dove sono stati introdotti, più o meno, da duecento anni), e chi ha avuto modo di ascoltare concerti in entrambi gli ambienti ha ben presente l'abissale differenza che li contraddistingue. La prima caratteristica che "differenzia" questi tipi di strumenti è lo sviluppo spaziale; nelle chiese gli organi sono -salvo alcune eccezioni- a sviluppo "verticale", con i piani sonori sovrapposti e talora anche in posizioni differenti dell'ambiente mentre negli auditoriums o sale da concerto, la disposizione dei piani sonori è "orizzontale" cioè con i vari piani sonori sistemati uno di fianco all'altro. La quasi obbligatorietà di questo tipo di disposizione deriva, da una parte, dalla conformazione stessa delle sale (che, al contrario delle chiese, presentano un'architettura bassa e larga invece che stretta e alta) e, dall'altra, dalla necessità di "adattare" l'organo alle caratteristiche "spaziali" dell'orchestra per renderlo conforme alle regole dell'acustica, che in queste sale è -e deve essere- assolutamente "neutra". In effetti, al contrario delle chiese in cui il suono dell'organo è naturalmente arricchito di echi e riverberi che ne caratterizzano in modo inequivocabile il timbro, negli auditoriums lo stesso suono DEVE essere il più possibile "pulito" in modo da ottenere due risultati: arrivare "uguale" in ogni punto della sala e rimanere abbastanza "puro" da poter essere registrato nelle migliori condizioni acustiche possibili. Questi due risultati sono spesso ottenuti anche mediante particolari accorgimenti acustico-architettonici come i pannelli fonoassorbenti e/o le "lenti" acustiche. Personalmente, abbiamo ascoltato diversi organi in alcune prestigiose sale da concerto europee e dobbiamo dire che lo strumento della Royal Festival Hall di Londra (realizzato da Harrison & Harrison nel 1954 in uno stile "ceciliano" che ricorda molto da vicino i "nostri" grandi strumenti degli Auditorums RAI di Torino e Napoli) è quello che presenta una pulizia ed un'asciuttezza di suono che se da una parte ci hanno lasciati ammirati, dall'altra ci hanno fatto rimpiangere "l'ambiente" ricco di echi e riverberi di un qualsiasi organo posto in una qualsiasi chiesa.
Tralasciando volutamente l'argomento degli organi "da sala", per i quali il risultato fonico dell'ascolto di una registrazione è pressochè identico a quello di un ascolto "live", ci soffermeremo sulle grandi differenze che caratterizzano invece l'ascolto dal vivo di un organo "da chiesa" e l'ascolto del suono dello stesso organo in una registrazione.
 Organo da Chiesa Abbiamo già parlato qualche volta su queste pagine di come il suono di un organo venga caratterizzato, oltre che dalle sue caratteristiche fonico-timbriche, dall'ambiente in cui esso è posto. I fattori che ne determinano il suono sono veramente numerosi e dipendono dall'architettura della chiesa, dalle sue dimensioni, dalla temperatura, dall'umidità e, in modo particolare, da due caratteristiche fondamentali: la posizione dell'organo e la posizione dell'ascoltatore. Abbiamo già affrontato questo problema in una precedente pagina dedicata ai "punti d'ascolto" (la trovate qui) e sicuramente questo è l'argomento che più incide sulla questione. Tutti coloro che hanno ascoltato con attenzione il suono di un organo in una chiesa hanno potuto notare di come il suo suono diventi più "netto" e distinto se esso è "a terra" mentre appaia più "confuso" mano a mano che lo strumento aumenta la sua altezza rispetto all'ascoltatore. Allo stesso modo, si sarà potuto notare di come il suono di un organo sistemato in controfacciata si espanda molto meglio e risulti molto più definito rispetto ad uno strumento posto in transetto. Ciò è dovuto all'assenza di ostacoli architettonici lungo la direttrice principale del percorso delle onde sonore, che consente al suono di "viaggiare" senza ostacoli fino all'abside e di venire poi "rimandato" verso la chiesa in modo "ordinato" secondo algoritmi di riflessione ed attenuazione ben precisi. In questo caso l'ascolto dalla navata risulta sicuramente molto buono. Nel caso di un organo "di transetto" (sistemato, cioè, sul lato "corto" della chiesa) il suono viaggia lungo una direttrice spaziale addirittura perpendicolare rispetto alla navata principale (dove solitamente sono sistemati i fedeli e/o gli ascoltatori), arrivando in quest'ultima aggravato dagli echi e riverberi causati dalla cosidetta "diffrazione" che subisce quando incontra pilastri, colonne, cappelle e quant'altro sul suo cammino. Sempre ai fenomeni di diffrazione è dovuto un altro fattore, cioè la posizione dell'ascoltatore, che può far cambiare la percezione del suono in modo assai sensibile anche solo spostandosi di qualche metro. Un fattore altrettanto fondamentale per la propagazione del suono di un organo sono i materiali con cui sono costruite ed arredate le chiese ed è principalmente dalla costituzione d questi materiali che il suono di un organo può esserne più o meno assorbito (in termini tecnici si parla di "impedenza acustica"). Vetro e acciaio assorbono (onda sonora assorbita) molto poco le onde sonore che li colpiscono (onda sonora incidente), riflettendone (onda sonora riflessa) la maggior parte; mattoni, legno e calcestruzzo ne assorbono circa il doppio rispetto a vetro e acciaio mentre la gomma ed il sughero sono in assoluto i materiali che riflettono meno le onde sonore. Senza andare a scomodare le teorie fisiche, peraltro complicatissime, che riguardano questo fenomeno, risulta abbastanza chiaro che in una moderna chiesa realizzata in vetro e acciaio il suono dell'organo risulterà più "pieno", brillante ed intenso rispetto ad una chiesa "tradizionale" in marmo e mattoni, anche se -per lo stesso motivo- si corre il rischio (se l'organo non viene molto ben accuratamente posizionato) di "esaltare" assieme al suono anche gli echi ed i riverberi.
Molti ascoltatori avranno poi notato di come si modifichi il suono di un organo a seconda della quantità di persone presenti. Anche questo fenomeno è dovuto al principio della "diffrazione", poichè un gruppo di persone raggruppate (ad esempio sedute sulle panche della chiesa) costituiscono un'importante superficie che, per via della loro conformazione e degli abiti indossati, presenta caratteristiche di impedenza acustica molto elevata che riflettono molto meno le onde sonore rispetto alla stessa superficie vuota (empiricamente -e non me ne vogliano gli esperti per questo paragone- è come se quella superficie venisse ricoperta da una spessa moquette). Per quanto riguarda, invece, gli effetti della temperatura sulla propagazione del suono, possiamo dire che effettivamente le variazioni di temperatura modificano la velocità del suono ma ciò non provoca effetti degni di nota sull'ascolto. In effetti, se l'onda sonora procede a 343,4 metri al secondo ad una temperatura di 20 gradi centigradi, ad una temperatura di zero gradi il suono viaggia a 331,5 metri al secondo mentre a 30 gradi centigradi il suono procede a 349,2 metri al secondo, con un'escursione massima tra i due estremi di 17 metri al secondo. E' assolutamente evidente, quindi, che questo fattore risulta assolutamente insignificante nell'ambito della propagazione del suono dell'organo all'interno di una chiesa, a meno che essa sia più "lunga" della velocità del suono stesso (e la chiesa più grande del Mondo, la Basilica di San Pietro in Vaticano, di metri in lunghezza ne misura "solamente" 186,36). A questo proposito, per gli organisti, apriamo una parentesi dedicata al fenomeno del cosidetto "ritardo", che affligge chi suona su consolles elettriche spesso posizionate ad una certa distanza dal corpo d'organo e che consiste, praticamente, nel periodo di tempo in cui il suono di una canna arriva alle orecchie dell'organista dopo che egli ha premuto un tasto. Questo "ritardo" è spesso determinato non solo dalla velocità del suono ma, anche, dalle caratteristiche tecniche dello strumento (un organo elettropneumatico ha tempi di risposta nettamente più "lunghi" di un elettrico puro). Il combinato disposto di questi due fattori fa si che il "ritardo" costituisca per gli organisti un "problema". Se noi consideriamo una distanza dell'organo dall'organista di una decina di metri il "ritardo" sarà di una trentina di millisecondi, a venti metri si calcolano 58 millisecondi ed a trenta metri i millisecondi di ritardo diventano ottantasette, a cui si aggiungono i millisecondi (in misura variabile) di ritardo dovuti al sistema trasmissivo. Un ulteriore aggravamento del problema si ha quando i corpi d'organo sono più di uno e posti in luoghi diversi e distanti tra di loro (e, quindi, a distanza diversa dall'organista). Se al comune mortale queste entità di misura possono sembrare ridicole (cosa sono trenta millisecondi rispetto all'eternità?) possiamo personalmente garantire che per chi, come noi, ha tentato -solo per prova, ovviamente- di "far muovere" organi di grandi cattedrali (ad esempio quello, enorme, della Sint-Baafskathedraal di Gent) senza l'abitudine di affrontare consistenti ritardi nella risposta, i problemi sono stati veramente notevoli. C'è però da dire, a questo proposito, che l'orecchio umano, grazie ai sofisticatissimi algoritmi del cervello che lo comandano, ha capacità di adattamento straordinarie e ad un organista professionista bastano pochi minuti di tempo per "abituarsi" ad ogni tipo di ritardo.
 Organo Royal Festival Hall di Londra Tutto lo "spiegone" precedente riguardava l'ascolto "dal vivo" del suono dell'organo in una chiesa. Diverso è il discorso che riguarda le registrazioni. In questo caso (rimandiamo al precedente articolo sui "punti d'ascolto" citato in precedenza) il compito del tecnico del suono è quello di trovare il punto d'ascolto più adatto per "rappresentare" il suono di un determinato strumento, ma anche qui ci sono diverse scuole di pensiero (anch'esse rappresentate nel citato articolo) che fanno in modo che anche il suono di uno stesso strumento possa essere presentato in modi assai diversi. Personalmente possiamo citare un caso assai significativo: l'organo Haerpfer-Herman 1971 dell'eglise de Saint Jean Baptiste di Chateau-Salins, in Francia. Di questo strumento avevamo dapprima acquistato un bellissimo vinile edito pochi anni dopo da "Edition Studio SM" in cui Gaston Litaize interpretava alcune sue composizioni. In seguito acquisimmo una videocassetta edita dalla "Fugatto" (in seguito "passata" su DVD) in cui Philippe Delacour interpretava, sullo stesso organo, una serie di brani altamente virtuosistici e fu molta la sorpresa che provammo quando, rispetto al vinile, il suono dello strumento risultava talmente differente da far addirittura pensare che si trattasse di un altro organo. Questa differenza era dovuta, appunto, all'applicazione di due scuole di pensiero assai differenti, la prima con una presa di suono molto ravvicinata, quasi senza "ambiente" e tesa a sottolineare le timbriche dello strumento in modo quasi "aggressivo" e la seconda, invece, tendente a rappresentare il suono di quest'organo nella sua "completezza" e nel suo "ambiente" il più possibilmente fedele.
L'esempio che abbiamo appena citato (a proposito, se le trovate ancora sul mercato, procuratevi queste due incisioni perchè sono, a nostro parere, entrambe veramente eccellenti) ci dimostra quanto una registrazione possa "modificare", anche molto sostanzialmente, il suono di uno strumento e questo lo abbiamo potuto appurare personalmente in diverse altre occasioni (ad esempio per l'organo Grenzing della Cattedrale di Bruxelles) quando, dopo aver ascoltato incisioni discografiche di alcuni organi, abbiamo avuto anche la possibilità di ascoltarvi concerti dal vivo, in cui abbiamo potuto constatare che, effettivamente, anche la registrazione più accurata, precisa e professionale possibile -anche se ci rappresenta nel migliore dei modi le caratteristiche timbrico-foniche di uno strumento- NON riuscirà mai a fornirci le "emozioni" che ci può dare l'ascolto dello stesso organo in un "live concert".
E qui, giocoforza, riappaiono le discussioni di cui abbiamo parlato in apertura che riguardano il diverso approccio dell'utente rispetto al concerto ed all'ascolto di un disco. Si tratta, effettivamente, di due cose differenti in cui entrano in ballo motivazione ed atteggiamenti diversi, a cui si accompagnano tematiche di "contorno" che, anche se non sembrerebbe, hanno il loro peso. "Andare ad un concerto" (non solo organistico, ma di qualsiasi genere di musica) è quasi una liturgia a cui si aderisce avendone ben presenti tutte le caratteristiche, dalla curiosità alla socialità dell'evento, dalla conoscenza o meno del repertorio, dell'inteprete e dello strumento alla sempre presente imprevedibilità delle situazioni (quante volte, nel bel mezzo di un pianissimo, siamo rimasti atterriti dalla sirena di una "volante" che corre nella strada adiacente...), dai commenti scambiati prima e dopo il concerto con gli altri ascoltatori (fino a quel momento perfetti sconosciuti) all'attesa della discesa dell'organista dalla tribuna per i complimenti e le quattro chiacchiere di rito. Ogni concerto -anche lo stesso ripetuto più volte sullo stesso organo dallo stesso organista e con lo stesso repertorio- è diverso da quello precedente perchè cambiano gli stati d'animo sia di chi suona che di chi ascolta, variano le caratteristiche ambientali e lo spirito con cui lo si ascolta e tutto questo fa si che ogni performances sia un'unica ed irripetibile occasione di arricchimento culturale, musicale e spirituale e, perchè no, anche un'occasione (e in questo periodo, purtroppo, vietate) per socializzare. "Mettere su un disco", invece, è una cosa privata, che ha un'importanza fondamentale per chi desidera approfondire gli aspetti più "tecnici" di un repertorio o di uno strumento ma che, con le sue caratteristiche di ripetitività (anche se suonato cento volte, un disco proporrà sempre e comunque la stessa identica interpretazione) riguarda un altro ambito d'ascolto, del tutto differente e con motivazioni e scopi diversi.
Per concludere, quindi, questa nostra lunga chiacchierata, riteniamo che sia possibile superare -almeno per quello che ci riguarda- la contrapposizione ideologico-sociologica delle posizioni e che le due cose (ascolto dal vivo e ascolto di musica registrata), stanti le attuali altissime qualità raggiunte dalla tecnica, non possano essere messe in contrapposizione poichè rappresentano due aspetti differenti ma strettamente correlati -ed entrambi assolutamente apprezzabili- della fruizione musicale. Sta di fatto che, personalmente, quando ascoltiamo un disco registrato su di un organo che non conosciamo ci viene la voglia di andarlo a sentire dal vivo, quando ascoltiamo un organo dal vivo ci viene la voglia di acquistarne anche un disco ed, infine, quando ascoltiamo un disco registrato su di uno strumento che abbiamo già potuto ascoltare dal vivo ci tornano alla mente le emozioni che avevamo vissuto durante il concerto. Ed uno degli scopi della Musica, come di tutti gli altri linguaggi evoluti, è -appunto- creare emozioni.



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