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Restaurando (seconda parte)

di Federico Borsari




Una ventina d'anni fa pubblicavamo su queste pagine una trattazione relativa al restauro degli organi (la trovate QUI) in cui esprimevamo alcune considerazioni sulla effettiva necessità di restaurare taluni tipi di strumenti e, soprattutto, sulle modalità di restauro. Oggi, a distanza di due decenni, ritorniamo sull'argomento per esprimere ulteriori valutazioni che diverse esperienze "sul campo" ci hanno in questi anni suggerito, sempre tenendo ben presente che l'argomento del restauro degli organi è assai complesso e non saranno certo queste nostre poche righe a portare utili contributi per risolvere gli innumerevoli problemi che lo caratterizzano.
Prima di tutto occorre dire che le filosofie che guidano il restauro delle opere d'arte, in generale, mutano rapidamente e quello che oggi viene considerato ottimale, un domani potrebbe essere considerato addirittura deleterio. A testimonianza di questo, dobbiamo citare un episodio di cui siamo stati testimoni. Diversi decenni orsono fu effettuato il restauro di un affresco presso una chiesa della nostra città, restauro seguito e diretto in prima persona dal Sovrintendente regionale competente. Dopo una decina d'anni, in occasione del restauro di un'altra parte della chiesa, venne effettuato un sopralluogo dal successore di quel Sovrintendente (che nel frattempo era andato in pensione) e costui, alla vista dell'affresco restaurato esclamò le testuali parole: "Ma chi è quel delinquente che ha restaurato quell'affresco?". Quando gli fu risposto che quel restauro era stato curato dal suo predecessore, egli disse che i tempi erano cambiati, che i restauri non si effettuavano più in quel modo e che chi lo aveva preceduto apparteneva ad una scuola vecchia ed obsoleta.
Dato quindi per scontato che il restauro di un'opera d'arte (compresi gli organi) dipende non da una prassi specifica e consolidata da una comune esperienza ma, bensì, dalla personale visione artistica, sensibilità e "scuola" di chi a quel restauro sovrintende, risulta abbastanza ovvio come -e lo avevamo già sottolineato nell'articolo precedente- si possano trovare in Regioni diverse strumenti molto simili, magari opera dello stesso organaro, che vengono restaurati in modi diversi a seconda dellla sensibilità e cultura musicale del Soprintendente che occupa la poltrona in quel momento. Per ciò che riguarda, nello specifico, il restauro degli organi, una problematica ulteriore può essere data dal fatto che quasi sempre, tranne casi sporadici ed eccezionali, i funzionari che se ne occupano, pur essendo sicuramente esperti di arte figurativa (pittura, architettura, scultura, ecc.) risultano pressoché analfabeti nel campo dell'arte musicale ed organaria. In questi casi entrano in scena i cosidetti "esperti consulenti", spesso scelti tra organisti, organari ed organologi di buona fama ma che, a loro volta, a seconda di formazione, scuola e sensibilità, spesso non trovano comunanza di idee ed unanimità di giudizio. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui restaurare un organo, oggi, risulta impresa non facile nè agevole.
Ma una delle problematiche più grandi (e purtroppo meno considerate) nel campo del restauro degli organi è quella della cosidetta "funzionalità".
In effetti, se un quadro od un affresco rivestono, oltre ad una funzione di testimonianza storica, principalmente le caratteristiche di una cosa "da vedere ed ammirare" e, quindi, non ci sono effetti di "funzionalità pratica" anche se il restauro viene effettuato secondo differenti metodologie, un organo -oltre al valore storico, artistico e musicale- SERVE ANCHE praticamente (cioè in modo "funzionale") all'attività religiosa e liturgica. Se vogliamo banalizzare il concetto: l'organo serve (o, perlomeno, dovrebbe servire) al corretto funzionamento di una chiesa ne più ne meno che l'impianto di riscaldamento o l'impianto di illuminazione. E quando uno di questi due impianti si guasta perchè è diventato "vecchio", prassi normale vuole che venga sostituito con un impianto nuovo, moderno e sicuro. In una parola: un impianto elettrico vecchio non lo si rifà utilizzando il materiale che si usava mezzo secolo fa, lo si rifà utilizzando le più moderne tecnologie in materia di prestazioni, affidabilità e sicurezza perchè, sic et simpliciter, deve funzionare (e, possibilmente, deve funzionare bene).
A parte la banalizzazione dell'esempio precedente, è comunque ovvio che il restauro di un organo, oltre a tenere presenti tutte le sue caratteristiche storiche, musicologiche, tecniche e fonico-timbriche, deve considerare anche il fatto che dopo il restauro questo organo deve funzionare fondamentalmente per accompagnare i canti della liturgia e, solo in seconda battuta, per performances artistiche. E qui il discorso si fa ostico perchè non sempre -anzi quasi mai- le caratteristiche intrinseche di un organo (stiamo parlando di organi storici, ovviamente) si sposano con le attuali esigenze di funzionalità. Per capire il senso di questa problematica proviamo a fare un esempio.
L'Italia è uno dei pochi Paesi europei che mantiene pressochè intatto il suo patrimonio organario ed il numero di organi storici ed importanti è veramente notevole. Una particolarità di questo patrimonio è, però, che la stragrande maggioranza dei nostri organi antichi è passata per quella che è stata la grande rivoluzione musicale del XIX e XX secolo: l'adozione del temperamento equabile e, di conseguenza, a parte casi rari, la quasi totalità dei nostri organi è stata timbricamente modificata per adeguarla a tale cambiamento. Orbene, una delle teorie più accreditate -e praticate- del restauro degli organi storici è il recupero del corista originale, cosa ottima sotto il punto di vista della filologia organaria ma che, ai fini della già citata "funzionalità" dell'utilizzo contestualizzato nella realtà contemporanea di un organo, può creare problemi, soprattutto per l'accompagnamento dell'attuale repertorio dei canti liturgici, scritto -appunto- per essere accompagnato da strumenti "equalizzati". Un altro problema -a cui abbiamo già ampiamente accennato- è il fatto che il "posto" dell'organo è cambiato. Se cent'anni fa l'organo se ne stava ben tranquillo in cantoria di controfacciata ed i cantori prendevano posto in tribuna, con le direttive del Concilio Vaticano II la cantoria deve essere il più vicina possibile al celebrante ed all'assemblea. Questo è uno dei motivi -forse il principale- per cui molti organi sono stati abbandonati sulle loro cantorie e sostituiti con strumenti elettronici sistemati in chiesa. Insomma, pare che tra direttive liturgiche progressiste e filosofie di restauro sempre più stringenti si sia fatto di tutto per togliere all'organo la sua "funzionalità" per relegarlo allo stesso livello di un quadro o di un affresco: bello da vedere ma muto ed inutile a svolgere il suo compito principale, cioè il servizio liturgico.
Sembrerà strano, ma la tutela dei beni artistici e culturali italiani ha una storia relativamente breve e prende origine dalla fondazione (avvenuta nel 1939 ad opera di un regime totalitario che in quegli anni si apprestava da imbarcare il Paese in una guerra mondiale dagli esiti sconvolgenti) dell'Istituto Centrale del Restauro, che a quell'epoca -ovviamente- si basava sul concetto di "opera d'arte" applicato essenzialmente alle arti figurative e che, per questo motivo, lasciava tendenzialmente in secondo piano tutta quella serie di opere -organi e strumenti musicali in genere compresi- che a queste due categorie non appartenevano. Fautore di questo movimento fu Cesare Brandi, il quale concepiva l'opera d'arte nel suo significato più alto, cioè la "grande" scultura e la "grande" pittura (quella cioè dei grandi maestri del passato). Erano, ovviamente, altri tempi, ma questa concezione elitaria dell'opera d'arte fece in modo che, nei decenni seguenti al secondo conflitto mondiale, anche gli organi delle chiese non venissero considerati sotto i loro molteplici aspetti e, quindi, la questione del loro restauro venisse lasciata principalmente alla discrezione di parroci, organari, organisti e volonterosi i quali, purtroppo, agivano spesso sulla base delle loro conoscenze, spesso limitate ad un panorama organistico ed organario locale o, ancora peggio, condizionato da visioni strettamente economiche. Beninteso, i "restauri" effettuati in quegli anni tenevano sempre in evidenza la "funzionalità" dell'organo; purtroppo, la mancanza di una visione complessiva delle problematiche storiche e musicologiche, spesso portava anche ad adottare soluzioni che in molti casi ancora oggi sono sotto i nostri occhi (organi antichi elettrificati senza alcun criterio conservativo, eliminazione di timbriche ritenute non adatte, aggiunta di registri avulsi dal contesto ma molto graditi alle orecchie dei committenti e così via).
Nel corso dei decenni, per forza di cose, è mutato anche il concetto di "opera d'arte", che si è orientato piuttosto verso quelli che oggi si chiamano "beni culturali" e che comprendono, oltre al resto, anche gli organi. Ciò non ostante, il problema del restauro degli organi non ha perduto la sua complessità per diversi motivi, di cui uno dei principali è la progressiva perdita della cultura musicale ai vari livelli della società e, soprattutto, ai livelli in cui operano -appunto- gli organismi che Sovrintendono al restauro. Questa mancanza -a nostro parere molto grave- è stata sottolineata ancora alcuni anni fa da Giuseppe Basile, che è stato uno dei più attenti osservatori (dall'interno) della realtà del restauro in generale e che già nel 2005 l'aveva ben rappresentata in una sua trattazione in cui si esprimeva con queste parole: "Prova ne sia che negli Uffici dell'Amministrazione di tutela dei Beni Culturali (...), che in Italia esistono da un secolo, non è stata mai prevista in organico (né poteva esserlo) una figura specifica di funzionario (...) che si occupasse particolarmente di questo aspetto fondamentale della salvaguardia del nostro patrimonio artistico, che riguarda appunto la conservazione, il restauro e più in generale la tutela degli organi e degli altri strumenti musicali.". Basile, in questa sua ampia disamina (che potete trovare e leggere -ve lo consigliamo caldamente- QUI) tratta anche la problematica degli "esperti" (i cosidetti "ispettori onorari") e dice: "Tutti sanno che generalmente non si tratta, in questi casi, di una vera e propria direzione del restauro da parte dei miei colleghi, proprio per palese incompetenza e che, pertanto, generalmente, la soluzione la si è trovata nel coinvolgere specialisti esterni nella veste di ispettori onorari, che in questo campo sono più che mai importanti, anzi indispensabili, anche se la valutazione della loro qualificazione non sempre è fatta in base a parametri oggettivi e spesso, inoltre, si è costretti a soluzioni inadeguate in mancanza di meglio. Di fatto ci si imbatte nella penisola in situazioni enormemente diversificate, con punte di attività sicuramente accettabili, anzi addirittura buone, accanto ad altre in cui veramente i risultati sono inaccettabili. Da qui l'idea di fornire a questi colleghi delle nozioni minime ma sufficienti per capirci qualcosa.". Ma come fornire queste nozioni minime?
Dal 2005 ad oggi qualcosa in questo senso si è fatto, soprattutto sul versante dell'arte organaria. Sono stati fondati appositi istituti (ma ancora pochi svolgono pienamente la loro funzione) dedicati al restauro degli organi, in cui vengono svolti -forse per la prima volta in Italia- corsi di approfondimento sulla storia e sulle varie caratteristiche dell'arte organaria italiana nel corso dei secoli, studi sulle caratteristiche foniche e timbriche delle varie scuole organarie e vengono elaborate le idee-guida sulle metodologie più adatte per affrontare un tipo di restauro che, oggettivamente, è tra i più complessi ed articolati. Questi iter propedeutici, da qualche anno, hanno anche aperto alla possibilità per gli organari di accedere al conseguimento di apposite certificazioni e diplomi che ne garantiscono la correttezza dell'operato. Analogamente, nell'ambito delle Soprintendenze, si sono istituiti appositi corsi dedicati ai funzionari, corsi anch'essi finalizzati a fornire un panorama integrale delle nozioni storiche, musicologiche e tecniche necessarie per poter affrontare una pratica di restauro con le dovute ed indispensabili conoscenze. Quello che ancora è carente in quest'organizzazione, purtroppo, è quel famoso aspetto della "funzionalità" di cui abbiamo parlato prima, e questa scarsa attenzione, molto spesso unita ai problemi economici che -a parte rari casi- affliggono le chiese e le parrocchie, fa si che ancora oggi i tanti parroci che, fondamentalmente, hanno la necessità di "far funzionare" il loro strumento, si affidino ad organari (o a tecnici improvvisati) che si limitano a "far suonare in qualche modo" l'organo senza curarsi nè dell'aspetto storico nè di quello più squisitamente tecnico. Questo discorso vale anche per il personale delle Soprintendenze che spesso, come sottolinea Basile nel suo scritto, "trovandosi a dover scegliere fra un restauratore d'organi diplomato ma di scarsa esperienza e un vecchio ma serio costruttore di organi, con la sua bella fabbrica che produce migliaia di organi in Italia e all'estero e che però ci mette in mezzo ogni tanto l'organo da restaurare, possa ritenere meglio andare sul sicuro" anche se, bisogna dirlo a loro merito, ormai tutte le maggiori e più affermate ditte organarie italiane possono vantare certificazioni e diplomi che ne garantiscono esperienza, accuratezza e correttezza di lavoro.
Come si può vedere da quanto abbiamo sopra esposto, l'argomento del restauro degli organi (in Italia) è ancora abbastanza lontano dall'essere definito in modo univoco e definitivo e, pensiamo noi, con tutta probabilità ci vorrà ancora tempo prima che lo sia; questo per via delle diverse "scuole di pensiero" che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora l'arte organaria italiana, scuole di pensiero che, pur avendo tutte validissime motivazioni storiche e musicologiche, talora si differenziano tra di loro anche in modo netto e radicale.
Rimane, infine (ancora e quasi sempre) insoluto il problema della "funzionalità" dell'organo. Nonostante gli sforzi fatti in questi ultimi decenni, questa problematica è ancora lontana da una soluzione che possa ben conciliare, da una parte, il recupero e la preservazione della storicità dell' "opera d'arte organo" e del suo suono e, dall'altra, l'effettiva e concreta possibilità che lo stesso organo possa rispondere compiutamente alla sua funzione primaria di strumento musicale a servizio della liturgia.
C'è ancora molta strada da fare sotto questo punto di vista.



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