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Basilica di Santa Maria in Aracoeli di Roma

di Graziano Fronzuto




Vi sono chiese particolarmente note nel nostro ambiente. Molte conservano tuttora gli organi che le hanno rese famose, più o meno inalterati o con nuclei storici consistenti all’interno di strumenti ampliati e rinnovati più volte; altre invece hanno strumenti alquanto recenti che hanno da tempo sostituito integralmente quelli del passato. Tra queste ultime troviamo la Basilica di S. Maria in Aracoeli a Roma, che ha legato il proprio nome ad un organo tardocinquecentesco di caratteristiche così inusuali da essere divenuto leggendario e che, pur essendo perduto da secoli, ha focalizzato su di sé l’interesse del nostro ambiente a scapito degli altri che ne hanno preso il posto.
La complessa vicenda degli organi dell’Aracoeli non è stata mai esposta in alcun sito internet, nonostante l’evidente interesse che suscita. Sperando di far cosa gradita ai nostri lettori abbiamo voluto essere i primi e, non avendo precedenti cui appigliarci con link e rimandi, il testo è inevitabilmente lungo. Chiedendo scusa ai lettori, li invitiamo comunque a non tralasciare nessun rigo.

Cenni Storici

Non è possibile concentrare in poco spazio le vicende plurisecolari della Basilica, perciò ci limiteremo a poche notizie utili.
Sorta in epoca medievale sulla cima del Campidoglio, a fianco del palazzo che da sempre ospita l’Autorità Municipale di Roma, rappresenta uno dei maggiori simboli religiosi e civili della città. Originariamente officiata da monaci Basiliani e limitata all’area dell’attuale transetto, è stata concessa ai PP. Francescani ed ampliata fino a raggiungere le attuali dimensioni nel secolo XIII, su disegno di Arnolfo di Cambio e grazie al patrocinio del Municipio e di famiglie ricche e potenti quali quella dei Savelli. La scalinata che collega la chiesa alla base del colle è sorta nel 1348 (con marmi provenienti dal Foro e dal Colosseo) come voto di Roma per la scampata pestilenza. Cola di Rienzo è stato il primo a percorrerla. L’interno seguiva il classico schema basilicale: tre navate divise da colonne romane, transetto, arco trionfale ed abside semicircolare con affreschi (eseguiti da Jacopo Torriti ed allievi). Una Schola Cantorum occupava le ultime campate della navata centrale ed era chiusa da balaustre marmoree. Nel 1486 il Pinturicchio ha affrescato con "Storie della vita di san Bernardino da Siena" la cappella Bufalini, la prima lungo la navata destra. Nel 1564, in osservanza alle norme liturgiche del Concilio di Trento, è stata intrapresa la demolizione dell’abside e della Schola Cantorum con la creazione del presbiterio rettangolare tuttora esistente. L’esito vittorioso della Battaglia di Lepanto (1571) ed il trionfo degli ammiragli cristiani Don Giovanni d’Austria e Marcantonio Colonna - qui celebrato solennemente - è stato l’evento iniziale di una vasta opera di decorazione ed arricchimento (soffitto dorato, affreschi dell’abside, organo).
Un’ulteriore campagna di decorazioni ha riguardato tutte le pareti della navata centrale, che sono state affrescate fra il 1681 e il 1689 per ordine di padre Vincenzo da Bassiano. Questo fatto, come vedremo, avrà molta importanza per comprendere la storia degli organi. Le ogive delle bifore gotiche sono state chiuse per lasciare al loro posto finestre rettangolari, poste a distanze regolari ed intervallate da affreschi a soggetto mariano. Nell’ordine, dall’ingresso verso l’altare, sono sul lato destro "il profeta Isaia", "adorazione dei pastori", "Visitazione", "Annunciazione", "presentazione di Maria al tempio", "Nascita della Vergine", "l’Immacolata" (fra’ Umile da Foligno, 1682-89) e sul sinistro "re Davide", "adorazione dei Magi", "fuga in Egitto" (Giovanni Odazzi, 1681-86), "morte della Vergine", "l’Assunta" (Giuseppe Passeri, 1686-89). Gli ultimi due sul lato sinistro sono "incoronazione della Vergine" e "Madonna d’Aracoeli" che sono stati dipinti nel 1847-48 probabilmente da Pietro Gagliardi, ma hanno sostituito due precedenti riquadri ("Crocifissione" e "Resurrezione") del 1725. Fra’ Umile da Foligno ha dipinto anche "santi e sante seguaci di san Francesco" negli ovali sopra le colonne, ad eccezione degli ultimi due del lato sinistro.
Tra il 1725 ed il 1740 per volontà di mons. Giovanni Fonseca da Ebora - ministro plenipotenziario di re Giovanni V del Portogallo - la chiesa è stata ulteriormente decorata per essere una degna aula per solenni funzioni pontificali (quali messe di canonizzazione e capitoli generali degli ordini religiosi). Così nel 1727 il lato destro del transetto - da secoli utilizzato come cappella della famiglia Savelli - è stato trasformato nelle forme barocche tuttora visibili da Filippo Raguzzini, inoltre è stato realizzato il coro intagliato e completato in forme monumentali l’altare maggiore.
A metà del secolo XVIII la Basilica ha raggiunto il massimo splendore tanto che nel convento sono stati ospitati ben 400 religiosi, comprese rappresentanze diplomatiche e un consistente numero di novizi e di aspiranti missionari.
Tutto ciò ha termine nel 1797, con il governo rivoluzionario e la successiva Invasione Francese: scacciati i frati, il convento è stato trasformato in caserma e la chiesa in stalla e deposito; varie opere d’arte sono state saccheggiate e portate in Francia, altre distrutte (il Tempietto di Sant’Elena, alcune cappelle, l’organo). Con la Restaurazione (1815), è stata affidata nuovamente ai PP. Francescani (1823) che l’hanno riaperta al culto. Grazie a nuovi mecenati - tra cui i principi Torlonia - hanno potuto ridarle nuova vita.
Dopo la Presa di Porta Pia (1870) il convento è stato nuovamente espropriato e infine demolito per consentire la costruzione del Vittoriano (inaugurato solo nel 1911 e divenuto Altare della Patria nel 1919). La Basilica, comunque, è rimasta aperta al culto ed è stata interessata da importanti opere di consolidamento e restauro per tutto il secolo XX. L’unico evento negativo registrato negli ultimi anni è il furto sacrilego dell’antica veneratissima statuetta chiamata Bambino [Gesù] dell’Aracoeli, sottratta nel 1994 e mai più ritrovata (attualmente sostituita da una copia).

L'ORGANO RINASCIMENTALE

Se di un’opera d’arte si conoscono le caratteristiche e - con qualche lacuna - le vicende, ma non è più possibile ammirarla perché è andata perduta, e se ciò dà luogo a diffuse credenze circa la sua qualità e la sua consistenza che ovviamente non è possibile verificare, non si può che parlare di leggenda. Quest’organo è una leggenda: citato su tutti i trattati, illustri studiosi ne descrivono i registri, sensibili appassionati ne magnificano le caratteristiche. Ma se fosse tuttora esistente, avrebbe goduto (e meritato) tutto ciò?

1585 - L'Anno Zero


L'immagine è un mio fotomontaggio che raffigura come dovevano apparire nel 1585 le ultime tre campate della parete sinistra della navata centrale. La sottostante Schola Cantorum era stata demolita nel 1564 e la bifora soprastante era ancora aperta. Le cappelle laterali in quel punto erano già esistenti e si aprivano sulla navata sinistra con le arcate tuttora visibili.
Forse nella Schola vi era un ‘positivo guidavoce’ costruito nella seconda metà del secolo XV, ma dopo la demolizione era stato acquistato un ‘organetto portatile’ costruito nel nuovo coro absidale da Dario de Mezzana (1583).

Dalla Storia alla Leggenda

L’organo destinato a divenire leggendario nel nostro ambiente è stato costruito per volontà di Sisto V, appena eletto nel 1585. Si è trattato di uno strumento eccezionale, sia per le sue dimensioni (il più imponente di Roma fino alla costruzione di quello di S. Giovanni in Laterano, 1598), sia per le sue caratteristiche. Era in pratica costituito da due strumenti distinti collocati sulla medesima cantoria: l’ ‘organo grosso’ (probabilmente di 16’) commissionato a Domenico Benvenuti da Colle Valdelsa e l’ ‘organo nella faccia del parapetto’ (cioè un Positivo Tergale, destinato a suonare un’ottava più acuta dell’altro, quindi verosimilmente di 8’, probabilmente con un Principale di legno e l’Ottava in facciata) commissionato a Francesco Palmieri da Fivizzano.
L’insolita soluzione - tanto che nei documenti e nella bibliografia meno recente si parla spesso di organi e non di organo - ha a Roma un unico caso precedente conosciuto e documentato: l’organo di S. Apollinare (1581), su cui prima quanto prima ci soffermeremo. Alla morte di Domenico Benvenuti (1587), l’opera è stata conclusa dal figlio Benvenuto. Il committente è stato il Senato e Popolo di Roma (cioè il governo civile della città, quello che attualmente chiamiamo Municipio), che vi ha destinato i proventi delle gabelle sulle carni col benestare di Sisto V. Per progettare lo strumento e controllare l’esecuzione dei lavori è stata istituita una commissione presieduta dai musicisti Alessandro Cardelli ed Emilio de’ Cavalieri.
Attorno al 1595 Luca Biagi vi ha introdotto un meccanismo di unione dei due manuali, poiché fino ad allora erano azionati in modo del tutto indipendente (e non è affatto detto che fossero raggruppati in una consolle a finestra, anzi è facile che il tergale avesse il proprio manuale applicato direttamente sulla propria parete dorsale).
Nel 1660 Giuseppe Catarinozzi è stato nominato costruttore (in realtà manutentore) a vita. Pochi anni dopo (1664), il musicista toscano Bernardo Pasquini è stato assunto come organista del Senato e Popolo di Roma (quindi di questa chiesa), per cui tutti gli interventi del Catarinozzi su questo strumento (e forse anche su altri) sono stati svolti sotto la sua supervisione.
In occasione del complesso ciclo di decorazioni eseguito sulle pareti della navata centrale nel 1686, è stato revisionato da Giacomo Alari da Lodi che ha completato il lavoro nel 1692 ed ha fornito ai committenti una relazione scritta. In essa descrive le caratteristiche generali dello strumento, utili soprattutto per comprenderne le dimensioni: il corpo principale aveva un somiere ‘a vento’ con undici registri di cui due composti da due file unisone ed uno ad ancia (Trombe).

L’interesse degli studiosi, le notizie divulgate, le notizie omesse, i dubbi e le possibili risposte

Con il suo corpo tergale, la poderosa cassa principale, la sua disposizione fonica con ripieni ed ance, la nomina di illustri musicisti alla sua consolle, l’organo è rimasto impresso nell’immaginario dei romani ed ha suscitato l’interesse degli storici. Su trattati, volumi, riviste e quant’altro vi sia a disposizione di appassionati e specialisti si trovano varie notizie, ma si omettono quasi sempre alcune che invece sono fondamentali.
La prima ad essere omessa è forse la più importante: l’organo non esiste più. Abbiamo visto che, con l’Invasione Francese, la chiesa è stata trasformata in stalla e deposito di materiali. Non si può ignorare il fatto che soldataglie e bande locali di poco scrupolo abbiano razziato il razziabile e danneggiato vandalicamente il resto. Così l’organo è stato saccheggiato e rovinato. Non si hanno notizie precise in merito ma è facile che, dopo un ventennio in abbandono, quanto ne restava - probabilmente giudicato irrecuperabile - sia stato demolito nel corso dei restauri architettonici intrapresi tra il 1820 ed il 1825 per riaprire al culto la chiesa.
La seconda riguarda la sua disposizione fonica. Alcuni autori l’avrebbero ricostruita e riportata nei propri scritti. Tentiamo di fare altrettanto come segue:

Corpo Principale

Principale 16
Ottava 8
XV 4
XIX 2-2/3
XXII 2
XXVI 1-1/3
XXIX 1
Ripieno 2 file I
Ripieno 2 file II
Flauto in XV 4
Trombe 8
Corpo Tergale

Principale 8
Ottava 4
XV 2
XIX 1-1/3
XXII 1
Regale 8

Corpo Principale: dalla relazione di Giacomo Alari (1692).
Estensione: manuale di 53 note (Do1-La5), prima ottava ‘corta’ e senza ultimo Sol#; tasti diatonici ricoperti in bosso (?) e tasti cromatici ed enarmonici ricoperti in ebano. Pedaliera di (?) note (forse 21: Do1-Do3 con prima ottava ‘corta’) costantemente unita al manuale.

Corpo Tergale: dal contratto stipulato con Francesco Palmieri.
Estensione: manuale di 45 note (Do1-Do5), prima ottava ‘corta’.

La terza riguarda insieme il suo aspetto e la sua collocazione. La relazione di Giacomo Alari descrive la cassa del corpo principale con tre ampie arcate con un prospetto di 16’ composto da quarantuno canne ripartite in tre campi [13/15/13]. Questa descrizione già basta a comprendere l’imponenza della cassa. Conformemente all’estetica del tempo, si può pensare che il campo centrale sia stato composto da tre cuspidi di cinque canne, come si può tuttora vedere nella mostra di 24’ dell’organo del Duomo di Orvieto (cassa disegnata da Ippolito Scalza e prospetto realizzato dallo stesso Domenico Benvenuti). Nelle cronache di padre Casimiro dell’Aracoeli (1736), segnalatemi dall’architetto Furio Luccichenti, si evidenzia che sicuramente fino al 1686 l’organo era collocato "dirimpetto alla porta che conduce alla piazza del Campidoglio" e che nascondeva una delle finestre della chiesa. Tutto ciò porta ad una collocazione ben precisa: la parete sinistra della navata centrale, in corrispondenza degli ultimi tre archi della navata centrale. L’organo occludeva la bifora sul secondo degli archi.

Diamo un volto all'organo


Tutto ciò sarà interessante, ma ai lettori delle nostre pagine virtuali non basta. Vogliono vedere com’era e dov’era l’organo. Con i mezzi attuali è possibile e dunque ho cercato di accontentarli! Così ho disegnato l’organo leggendario in base agli elementi raccolti cercando di rispettare lo stile del tempo, tenendo presente che la cassa è stata disegnata da un architetto di fiducia di Sisto V (probabilmente Domenico Fontana, il cui stile è alquanto spoglio e severo). Mi sono basato, oltre che sull’esperienza personale e sulle conoscenze in materia di prospettiva e di isometria di mia moglie Antonella, anche sui preziosi consigli di due esperti del campo e dell’arte rinascimentale cui sono profondamente grato: l’architetto Furio Luccichenti e l’organologo Sergio Colasanti.
L’immagine è un mio fotomontaggio che raffigura l’organo come doveva apparire all’epoca in cui era stato appena affidato a Cesare Catarinozzi per la manutenzione ed al grande Bernardo Pasquini per la musica; le decorazioni barocche della navata centrale non erano state ancora iniziate e lo strumento giganteggiava sulla parete nuda. L’imponente cornicione-ballatoio, che corre sopra tutte le arcate (tipico elemento di molte chiese il cui progetto è attribuito ad Arnolfo di Cambio) e che esiste tuttora, suggerisce il livello di appoggio del somiere del corpo maggiore, mentre l’altezza dei capitelli delle colonne e del retrostante muro pieno della parete fondale della navata sinistra suggerisce la posizione del graticcio orizzontale di travi in legno che sosteneva la cantoria.

La rimozione


Mentre venivano affrescate le pareti della navata centrale, è probabile che l’organo sia rimasto ancora un po’ al suo posto. Poi è stato certamente spostato (o da Giacomo Alari nel 1692 o da un altro - un suo discendente o Giovan Battista Testa - nel 1725) e in suo luogo sono stati eseguiti gli ultimi due affreschi e regolarizzata la finestra (che non è stata più riaperta).
Questa immagine ne è una prova inconfutabile: è una nota incisione di Andrea Rossi che rappresenta la canonizzazione di Santa Margherita da Cortona avvenuta in questa chiesa alla presenza di Benedetto XIII nel 1728 ed è talmente dettagliata e veritiera (è stata eseguita con l’aiuto di una camera ottica) da non lasciare dubbi. Si vede chiaramente che gli affreschi lungo la parete laterale sinistra sono stati completati e l’organo non è più al suo posto.
Questo perché - per volontà di di padre Vincenzo da Bassiano (prima) e di mons. Giovanni Fonseca da Ebora (poi) - la chiesa era divenuta un’aula per le solenni celebrazioni pontificali e la prospettiva della navata centrale doveva procedere solenne e rigidamente simmetrica dall’ingresso all’altare. Sempre per ragioni di simmetria, persino il pulpito berniniano (lungo le colonne di sinistra) veniva spesso mascherato da un palchetto cui si contrapponeva uno identico creato appositamente di fronte!
In questa stessa epoca, mons. Fonseca da Ebora ha fatto costruire a Giovan Battista Testa un positivo per il coro (1729).

La ricollocazione


Se è certo che l’organo è stato spostato (o nel 1686 o nel 1725), non si sa con esattezza in quale sito. Certamente non sull’ingresso principale, poiché la parete era ed è occupata da un’enorme epigrafe realizzata dal Bernini per volere di Urbano VIII in memoria della battaglia di Lepanto. Così, date le dimensioni dell’organo, una sola ipotesi è verosimile: sulla parete fondale del lato sinistro del transetto, giusto sopra il monumento funebre trecentesco del cardinale Matteo d’Acquasparta.
Questa è una fotografia dello stato attuale. Si nota che il rosone è posto molto in alto ed è coperto in parte dal soffitto a cassettoni, ma al centro della parete vi è una sola opera d’arte: il grande gruppo marmoreo realizzato da Giacomo della Porta con la lapide di commemorazione di Alessandro Farnese (eroe di Lepanto, duca di Parma e Piacenza e condottiero al servizio del re di Spagna, morto ad Arras nel 1592), monumento che Roma ha eretto nel 1596 alla memoria del personaggio.
Questa immagine è un mio fotomontaggio che rappresenta l’organo collocato sulla parete: esso copriva (senza necessità di distruggerlo) "soltanto" il gruppo marmoreo. Poco male, dato che la casata Farnese era ormai praticamente estinta: l’ultima discendente, Elisabetta Farnese duchessa di Parma e Piacenza, aveva sposato Filippo V di Borbone re di Spagna, il quale intratteneva da tempo rapporti poco idilliaci con il Papa e con il protettore di mons. Fonseca, cioè il re Giovanni V di Portogallo (difatti Benedetto XIII, cercando di mettere pace tra Spagna, Portogallo e Austria, aveva dovuto rinunciare ad ogni diritto sul ducato di Parma e Piacenza proprio nel 1725!).
Per inciso, il figlio di Filippo V e di Elisabetta sarà quel Carlo III, illuminato re di Napoli e poi di Spagna, e che - sposando la principessa Maria Amalia von Sachsen - riceverà in dono dalla città di Lipsia nientemeno che una Cantata di J. S. Bach!






GLI ALTRI ORGANI
Dalla Leggenda alla Storia


Voltata la pagina della Leggenda, rassegnandoci alla perdita dell’organo rinascimentale e del positivo del 1729, torniamo nuovamente alla storia per parlare di organi tuttora esistenti e che possono essere giudicati in sito. Alcuni potranno rimanere delusi, anche perché nella propria mente confronteranno questi strumenti con quelli perduti. Ovviamente non possono sapere com’erano veramente, ma solo come se li immaginano (ma qualsiasi oggetto reale risulta perdente col confronto con uno idealizzato).

Il positivo di Johannes Conrad Werle

I PP. Francescani, nel 1830, hanno acquistato un organo per le proprie esigenze liturgiche e conventuali e l’hanno collocato al centro del coro. Si tratta di uno dei più eleganti positivi settecenteschi di Roma (e non solo): costruito nel 1752 da Johannes Conrad Werle è stato venduto ai frati da organari della famiglia Priori (Ignazio Priori era stato allievo di Werle che, alla sua morte, gli ha trasmesso materiali di laboratorio e strumenti in via di completamento).
L’immagine ce lo mostra allo stato attuale, nella cappella della SS. Immacolata (o del SS. Sacramento) nel lato destro del transetto; restaurato negli anni ’80 da Ernesto Ercolin, è funzionante ed è stato utilizzato per incidere un raro CD di musiche di Domenico Zipoli eseguite dal compianto amico Domenico Cipriani (rieditato con un altro organo in copertina, edizione in esaurimento). Ecco la disposizione fonica:

Principale 8
Ottava
Decimaquinta
Decimanona
Vigesimaseconda
Vigesimasesta
Vigesimanona
Flauto 8
Flauto in Ottava
Flauto in XII
Voce Umana
Tiratutti

Estensione: manuale di 45 note (Do1-Do5) con prima ottava ‘corta’, tasti diatonici in avorio massiccio con frontalino a chiocciola, tasti cromatici ricoperti in ebano; pedaliera di 9 note (Do1-Do2), costantemente unita alla prima ottava ‘corta’ del manuale, senza registri propri.

L'Organo Martinelli

In vista del Giubileo 1850 i frati hanno deciso di realizzare un nuovo organo monumentale raccogliendo offerte e soprattutto bussando alle porte di nobili mecenati. Hanno rinunciato definitivamente a collocarlo nel transetto e hanno fatto ridipingere gli ultimi due affreschi della parete sinistra della navata centrale, come si vede nell’immagine.
Così nel 1847 hanno convinto il Principe Carlo Torlonia ad acquistare un nuovo organo. Il mecenate ha ordinato lo strumento ai Fratelli Martinelli di Fratta di Perugia (attuale Umbertide) per 1.200 Scudi. Collocato sulla parete fondale dell’abside, dotato di due manuali e pedaliera, è stato inaugurato il 22 febbraio 1848 con un notevole successo di pubblico. Però non sono mancate le critiche di alcuni frati che non l’avrebbero ritenuto all’altezza della cifra spesa (ma forse perché avrebbero voluto destinare ad altri scopi o ad altri organari la donazione del Principe). Le lamentele sono proseguite col Principe e col suo erede, Alessandro, che ha infine deciso di finanziare un intervento di revisione lasciando ai frati la scelta dell’organaro. Così è stato interpellato Enrico Priori (1867) che vi ha aggiunto il III manuale con registro di Fisarmonica e le note cromatiche nella prima ottava di ciascun manuale e della pedaliera (in modo da renderle ‘cromatiche stese’, mentre in origine erano ‘corte’). Un’idea dell’effetto sonoro di questo strumento - il primo a tre manuali realizzato in città - è possibile averla tramite le composizioni di padre Pierbattista da Falconara, allievo di Gaetano Capocci e organista in questa chiesa dopo il 1868 e successivamente in quella di S. Antonio in Via Merulana. Per il Giubileo 1900 è stato parzialmente riformato con la sostituzione di alcuni registri e la riduzione a due manuali da Lorenzo Paoli (erede del più noto Michelangelo) di Campi Bisenzio.
Questa immagine del 1910 ci permette di intravedere lo strumento dietro l’altare maggiore; non occulta né i finestroni né gli affreschi ma è interamente occultato dall’imponente altare maggiore. Lo strumento ha "tirato avanti" fino al Giubileo 1925 ormai però con la sorte segnata, dato che i religiosi intendevano avere un nuovo organo per l’anno 1927 (settimo centenario della morte di san Francesco). Così nel 1926 è stato ceduto alla chiesa di S. Maria del Pozzo a Nemi dove tuttora si trova. La non meglio nota Ditta Greco di Mottola lo ha smontato dalla Basilica e lo ha portato nella nuova destinazione, ma, per motivi economici, ha provveduto a montare il solo corpo principale, azionato da un unico manuale. L’intero corpo espressivo (comprese parti trasmissive e corrispondente manuale) è rimasto in deposito in un locale parrocchiale.
Nel decennio successivo, la manutenzione è stata affidata a due nostri "vecchi conoscenti": i fratelli Gaspare e Michele Schimicci di Atina i quali hanno sostituito alcuni registri ad ancia con violeggianti ed hanno operato alcune modifiche interne. Da notare che questi lavori sono stati pagati "in natura", cioè col materiale del corpo espressivo, che è stato ritirato dai fratelli e probabilmente riutilizzato altri strumenti da loro restaurati o costruiti, tra cui, almeno in una certa parte, quello della cappella dell’Istituto di S. Maria Ausiliatrice in Roma.
L’ultimo intervento risale all’anno mariano 1954, con la trasformazione delle trasmissioni meccaniche in pneumatico-tubolari e la dotazione di una consolle indipendente ‘rivolta’ - orientata verso la navata - non costruita appositamente (certamente non è una consolle di costruzione Schimicci) ma proveniente da altro strumento. Pur non essendoci targhette o segni identificativi, si può pensare che ciò sia opera di Gaspare Schimicci coadiuvato dal cugino Giuseppe che in alcune commesse minori utilizzavano anche materiale di rimedio o reperito dai committenti. L’organo è stato utilizzato fino al 1975; danneggiato durante i restauri architettonici della chiesa compiuti tra il 1978 e il 1991, tutte le canne interne sono state rimosse, inventariate ed accuratamente accantonate da maestranze di Guido Pinchi nel 1999 chiamato a tale scopo dal parroco padre Giacinto Masala. Nessuna attuazione hanno avuto i progetti di restauro della Ditta Tamburini (1979, 1984) e di Guido Pinchi (1999, accurato e basato sulla proposta di ricostruire meccaniche e foniche in stile Martinelli).
Sulla consolle pneumatica tuttora in sito, con manuale unico di 54 note (Do1-Fa5) e pedaliera dritta di 27 (Do1-Re3), si legge questa disposizione fonica: Principale 16’ [Soprani], Principale Dolce 8’, Flauto Traverso 8’, Gamba 8’, Dulciana 8’, Unda Maris 8’, Ottava 4’, Flauto 4’, Flauto in XII, Ripieno 5 file, Contrabbasso 16’ nei Pedali, Basso 8’ nei Pedali; pedaletti per: Unione Manuale-Pedale, Superottava Manuale.


L'Organo Tamburini

Questa fotografia ci mostra, infine, l’organo attuale di S. Maria in Aracoeli, costruito da Giovanni Tamburini e inaugurato nel 1927. L’organaro ha applicato nella Cassa Espressiva un somiere ‘a doppio scompartimento’; ciò consente ai manuali Positivo ed Espressivo (che erano rispettivamente il manuale II e III della consolle originaria) di azionare in modo indipendente gli stessi registri.
La fotografia dimostra anche che la cassa e le canne di facciata sono perfettamente leggibili, nella loro semplicità strutturale, anche dietro l’altare monumentale, e questo è un risultato estetico non trascurabile né facilmente riscontrabile in situazioni simili. Il grosso strumento è stato strutturato in modo da lasciare libero il finestrone fondale pur nascondendo in gran parte, coi corpi laterali, due finestre più basse ed alcuni affreschi cinquecenteschi sulla parete absidale; da notare che il precedente organo ottocentesco, con cassa più piccola collocata al centro della cantoria, non occultava nessuna finestra e nessun affresco ma era quasi integralmente occultato dalla complessa architettura dell’altare maggiore. Lo strumento ha assunto l’aspetto attuale in occasione dell’Anno Mariano 1954. La Ditta Tamburini ha proceduto ad un profondo lavoro, applicando trasmissioni elettriche controllate dalla nuova consolle (di ‘tipo monumentale’ a lungo usato da Tamburini, contraddistinto da dimensioni molto generose e da ampi ‘guancioni’ laterali in radica) e invertendo l’ordine dei manuali I e II (oggi rispettivamente Positivo e Grand’Organo).
L’organo Tamburini è realmente adatto alla Basilica? Se lo confrontiamo con l’organo leggendario (o meglio con come ce lo immaginiamo), la risposta è ovviamente negativa. Ma se lo confrontiamo con la maggior parte degli altri strumenti presenti a Roma, la risposta è largamente positiva. Si tratta di uno strumento non privo di qualità e con una fattura particolarmente accurata per l’epoca di costruzione. Certo, è fortemente condizionato dall’applicazione del somiere ‘a doppio scompartimento’ per i manuali che azionano i registri in Cassa Espressiva; a fronte degli indubbi vantaggi in termini economici e di spazio, ha gli svantaggi della limitazione della libertà d’uso dei registri sui manuali che lo controllano e della potenza sonora complessiva. Si tratta in pratica di un organo a due manuali, utilizzabile su tre entro i suddetti limiti.
Però non si può ignorare che, grazie alle buone caratteristiche acustiche della chiesa e al posizionamento fondale (anche se parzialmente schermato otticamente ed acusticamente dall’altare maggiore), è stato in passato utilizzato per concerti di grande successo di pubblico, tra cui quelli di Fernando Germani che ha dimostrato in maniera incontrovertibile cosa si può ottenere da uno strumento del genere quando lo si sa usare con perizia.

Grande Organo

Principale 16
Principale Forte 8
Principale Dolce 8
Flauto 8
Dulciana 8
Ottava 4
Flauto a Camino 8
Decima quinta 2
Ripieno 6 file
Voce Umana 8
Tromba 8
Espressivo I

Principalino 8
Eufonio 8
Bordone 8
Salicionale 8
Gamba 8
Flauto Armonico 4
Nazardo 2-2/3
Flautino 2
Ripieno 3 file
Voce Celeste 8
Concerto Viole 4 file 8
Tuba 8
Oboe 8
Tuba 4
Voce Corale 8
Terza 1-3/5
Espressivo III

Principalino 8
Eufonio 8
Bordone 8
Salicionale 8
Gamba 8
Flauto Armonico 4
Nazardo 2-2/3
Flautino 2
Ripieno 3 file
Voce Celeste 8
Concerto Viole 4 file 8
Tuba 8
Oboe 8
Tuba 4
Voce Corale 8
Tremolo I e II man.
Pedale

Contrabbasso 16
Violone 16
Bordone 16
Bordone Dolce 16
Quinta 10-2/3
Basso 8
Bordone 8
Violoncello 8
Ottava 4
Bombarda 16
Tremolo (ai soli registri violeggianti)

Estensione: manuali di 61 note (Do1-Do6); pedaliera di 32 note (Do1-Sol3). I Manuali I e III azionano i medesimi registri.
Trasmissione integralmente elettrica, più volte revisionata; consolle indipendente, di ‘tipo monumentale’ (con ‘guancioni’ ricoperti in radica), posta dietro l’altare maggiore.

LO STATO ATTUALE

Durante gli anni ’70 del secolo XX, in concomitanza con alcuni restauri della parte presbiteriale, ed in vista del Giubileo 1975, l’Associazione Musicale Romana ha proposto al Comune di Roma di promuovere e finanziare la costruzione di un nuovo grande organo con caratteristiche del tutto eccezionali rispetto alla quasi totalità degli altri strumenti presenti in città. Ciò avrebbe rinnovato - facendo le debite proporzioni - quanto si pensa sia avvenuto nel 1586. Facendo leva sulla comprovata sensibilità del sindaco di quegli anni, lo storico dell’arte Giulio Carlo Argan, l’organo è stato effettivamente ordinato e costruito da Barthélémy Formentelli ma non è stato mai installato in questa chiesa. Dopo complesse vicende, è stato collocato nel 2000 in S. Maria degli Angeli.
Ma nel frattempo la manutenzione dell’organo Tamburini è stata a lungo tralasciata, dato che la sua rimozione sembrava imminente (anche se non era stato approfondito il non trascurabile dettaglio della sua nuova destinazione). La situazione attuale è conseguenza di ciò: lo strumento è sì utilizzabile ma ha urgente bisogno di un completo restauro.
A frenare ogni iniziativa in tal senso, oltre ai costi (che oltretutto aumentano progressivamente con il degrado), è la presenza degli affreschi e delle finestre sulla parete absidale, poiché costituiscono spesso motivo di discussione circa la definitiva rimozione dell’organo. Ciò significherebbe in pratica rinunciare ad avere uno strumento di dimensioni adeguate (è arduo trovare una collocazione per un qualsiasi organo: tutte le pareti sono decorate, salvo poche aree marginali nel lato sinistro del transetto). E privare una Basilica come questa di organo a canne è un nonsense che non potrebbe avverarsi in alcuna altra parte del mondo - nemmeno la più remota - ma che, francamente, appare possibile solo in Italia (dove casi del genere ne sono già avvenuti non pochi).
E con questi chiari di Luna chi tenterà la difesa d’ufficio dell’organo, magari adducendo motivi liturgici, di storia musicale e di arte organaria? Forse l’unico argomento degno d’attenzione è che per rimuovere lo strumento da qui occorrerebbe una spesa non indifferente, superiore a quella per restaurare un organo antico altrove (e si spera che, dovendo scegliere, gli Enti compententi optino per questa seconda ipotesi).

Fonti Specifiche

Per una conoscenza approfondita e documentata occorre leggere i testi pubblicati da Marianna BRANCIA DI APRICENA: Il complesso dell’Aracoeli sul colle Capotolino (IX-XIX secolo), Roma, Quasar, 2000, e da Paolo LOMBARDO, Gaetano PASSARELLI: Ara Coeli. La basilica e il convento dal XVI al XX secolo, Roma, Tiellemedia, 2003. Direi che l’apparato critico in essi contenuto superi largamente le lacune, l’aneddotica e il taglio un po’ datato di precedenti pubblicazioni, tra cui quelle ormai storiche ma poco scientifiche di religiosi (padre Casimiro, padre Ferdinando ecc.).

Per una possibile ricostruzione della disposizione fonica dell’organo del 1586 si può consultare il trattato di Corrado MORETTI, L’Organo Italiano, Milano, Eco, 1973, pp. 395-396.

Interessante l’articolo di Tiziana GAGLIARDINI, La chiesa e il convento dell’Aracoeli, «Allegro con brio», marzo 2005, Roma, Fondazione Arts Academy, 2005, pp. 40-48; nel capitolo La musica in Aracoeli è riportata la relazione sull’organo rinascimentale di Giacomo Alari (scritto erroneamente Alori) risalente al 1692 al termine dei lavori di restauro (e spostamento?) dello strumento.

Padre Giacinto MASALA, L’organo della chiesa di S. Maria del Pozzo di Nemi. Brevi cenni storici e artistici, dattiloscritto del 1999, inedito, gentilmente fornitomi dall’autore, che mi ha anche mostrato il carteggio con gli Enti competenti, con la Ditta Tamburini (1979, 1984) e con Andrea Pinchi (1999).

www.santamariadegliangeliroma.it - sito della Basilica di Santa Maria degli Angeli, contenente varie notizie sull’organo costruito da Barthélémy Formentelli originariamente destinato a S. Maria in Aracoeli.

http://xoomer.virgilio.it/fborsari/arretra/organi/italia11.html - pagina web sullo stesso organo curata dal M.o Federico Borsari in questo stesso sito, con approfondimento critico sulla sua impostazione fonica.

www.turismo-castelliromani.it/nemi-monumenti-chiesa-santa-maria-pozzo.html - pagina web sulla chiesa di S. Maria del Pozzo a Nemi, con la notizia della collocazione dell’organo Martinelli del 1848 qui collocato nel 1926 (nel testo è erroneamente scritto 1936).

http://xoomer.virgilio.it/fborsari/arretra/storia/story28.html - pagina web con il mio articolo sull’attività della famiglia Schimicci, nel presente sito.

www.armelin.it/CollanaOIO/147.htm#PROFILO - pagina web biografica dell’organista padre Pierbattista da Falconara (al secolo Enrico Giovanni Natale Farinelli, Falconara, 1844 - Roma, 1915).

www.oggi7.info/archivio/dettaglio.asp?Art_Id=2297&data=01/29/2006 un ricordo biografico di Luigi Troiani sull’organista Domenico Cipriani.


Aneddoto

La presenza di più organi in questa chiesa è stata in un certo senso proverbiale nell’immaginario del popolo romano sin dal rinascimento, e a metà dell’ ‘800 è ritornata prepotentemente ad esserlo (anche sotto forma di allusione volgare) come attesta il sonetto n. 826 di Giuseppe Gioacchino Belli "Er festino de ggiuveddì ggrasso":

Tra ttante secchità, ttra ttanti ggeli,
Essenno nescessario un po' de callo,
Ggiuveddì a ssera sc'è un festin de bballo
Drento a la frateria de la Resceli.

Dove stroppianno ‘n coro li Vangeli,
Fra Ffottivento e 'r Padre Bbuggiarallo
Accoppieranno una gallina e un gallo
Tra li frati pelosi e ssenza peli.

Accoppiati un patrasso e un fratiscello,
S'uprirà a ssòno d'orgheni er festino
Co la lavannarina e 'r zartarello.
Se bballerà ttutta la notte, inzino
Ch'er Generale a ssòn de campanello
Rifarà ttutti maschi a mmatutino.



Ringraziamenti

Ringrazio per le immagini storiche la fam. Caruso di Napoli che me le ha fornite in copia jpg dalla propria collezione; sono grato per le notizie fornite e per i preziosi consigli gli organari Barthélémy Formentelli, Carlo Soracco, Giuseppe Ponzani e gli studiosi Sergio Colasanti, Furio Luccichenti, Franco Maccaroni, padre Giacinto Masala, Arnaldo Morelli, Antonella Pirozzi-Fronzuto, Agostino Raff. Esprimo infine uno speciale ringraziamento al Maestro Federico Borsari, curatore del sito, che mi ha messo al corrente delle sue esperienze sugli organi di Roma, sia come organista sia come ascoltatore attento delle esecuzioni dei grandi del recente passato (e in primis Fernando Germani).



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