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Luigi Bottazzo

di Federico Borsari




 Luigi Bottazzo Abbiamo parlato già più volte su queste pagine di quel periodo assai "movimentato" della storia dell'organo italiano che risponde al nome di Riforma Ceciliana.
Furono circa una cinquantina d'anni durante i quali la musica liturgica, sacra e religiosa vennero, come suol dirsi, "rivoltate come un calzino" e, con esse, anche la musica organistica, la funzione e la figura dell'organista e le modalità di utilizzo dell'organo subirono cambiamenti talmente profondi da essere considerati quasi una "rivoluzione".
Non staremo qui a ripetere concetti e considerazioni già ampiamente espresse in passato. Ricorderemo solamente che questo movimento di opinioni e di idee nuove iniziò a sorgere, nell'ambito della Chiesa Cattolica, verso la fine dell'Ottocento quando iniziarono ad esaurirsi gli effetti dell'"orchestralizzazione" dell'organo ed iniziarono a farsi ben presenti le esigenze di riportare la musica che veniva eseguita all'interno delle chiese nei binari di una tradizione classica che per quasi cento anni era stata messa da parte in nome di quello che fu -giustamente- chiamato "organo operistico". In effetti, già dagli inizi dell'Ottocento, con l'affermarsi della musica operistica a tutti i livelli di fruizione, le musiche che venivano eseguite nelle chiese durante i Sacri Riti si erano per così dire "uniformate" allo stile della musica che si eseguiva nei teatri. La parabola ascendente, poi, delle musiche di Giuseppe Verdi -che divennero non solo capolavori musicali ma, anche, simbolo del Risorgimento Italiano e, pertanto, conosciutissime anche nei più sperduti angoli dell'italica penisola- fece in modo che verso la fine del XIX secolo le trascrizioni dei brani più famosi dei melodrammi del Beppino Nazionale venissero eseguite nelle chiese durante le Sacre Funzioni. Nell'Ottocento fiorì quindi in Italia un tipo di organo che si orientò, sia timbricamente che fonicamente, verso l'esecuzioni di tali tipi di musiche e prese anche il nome di "Organo Teatrale", ricco non solo di sonorità spiccatamente "orchestrali" ma, anche, dotato di sezioni percussive quali tamburi, sistri, campanelli e piatti.
In quest'ambito "operistico" spiccano gli strumenti costruiti dai Serassi e, dalla parte dei compositori e degli organisti, ci sono figure di assoluto valore (uno per tutti: Padre Davide da Bergamo) che composero per questo tipo di strumento opere di grande bellezza e splendida musicalità. Altri prestigiosi esponenti di questo periodo furono anche molti "trascrittori", cioè musicisti che trascrissero per questo tipo di organo le più famose e conosciute arie dalle opere non solo di Verdi ma anche di tanti altri operisti di quell'epoca. Tra questi "trascrittori" spicca Polibio Fumagalli, docente di Organo al Conservatorio di Milano e che nell'ultimo trentennio dell'Ottocento si distinse per la bontà e la qualità delle sue trascrizioni verdiane. E' curioso notare che tra gli allievi di Fumagalli ci furono diversi di quegli organisti e compositori che, pochi anni dopo, sarebbero stati annoverati tra i massimi esponenti della Riforma Ceciliana.
Dicevamo che verso la fine dell'Ottocento l'epoca dell'organo "operistico" volge al tramonto. La conquistata Unità d'Italia, l'evoluzione dei gusti musicali -influenzata dalle nuove tendenze provenienti dall'estero (tra cui l'incipiente neoclassicismo), la riscoperta del Canto Gregoriano e della polifonia classica italiana e -principalmente- la presa di consapevolezza da parte delle gerarchie ecclesiastiche del fatto che la musica liturgica abbisognava ormai di una profonda "disintossicazione" per ritrovare le sue origini ed i suoi scopi "istituzionali", fecero si che già verso la fine dell'Ottocento diversi musicisti, compositori ed organisti si riunissero in un movimento che pose le basi per una "rinascita" della musica liturgica e, con essa, dell'organo italiano.
L'atto fondante di questa "rivoluzione" fu il Motu Proprio Inter sollicitudines, emanato dal Papa Pio X nel Novembre del 1903, che -dopo aver considerato lamusica operistica finora eseguita nelle chiese come un'aberrazione musicale- poneva solidi paletti per la sua rinascita. I fondamentali erano pochi e semplicissimi: riportare la musica sacra, liturgica e religiosa nei loro ambiti più propri e consoni, cioè quelli di riprendere quelle caratteristiche -appunto- di religiosità che avevano perduto nel secolo precedente. E ciò si doveva fare mediante la rivalorizzazione -in primis- del Canto Gregoriano e, contemporaneamente, della polifonia classica italiana (per intenderci: quella della Controriforma, cioè del Palestrina e dei grandi polifonisti del Rinascimento). L'organo doveva, in conseguenza, spogliarsi di tutti gli orpelli "orchestrali" (tamburi, campanelli, registri spiccatamente bandistici, ecc.) per riprendere le caratteristiche dell'organo classico italiano, le cui sonorità erano fondate sul Principale e sulle sue mutazioni e, soprattutto, riprendere il "suo" posto nella liturgia, diventando da una parte lo strumento esclusivo per l'accompagnamento del canto e dall'altra il mezzo per ispirare quei valori di profonda religiosità propri di uno strumento che era nato "sacro" e che tale doveva rimanere.
In questo profondissimo rivolgimento che coinvolse la musica da chiesa a cavallo tra l'Ottocento ed il Novecento, numerosissimi furono i musicisti che lasciarono una profonda impronta. Molti sono assai conosciuti (Don Lorenzo Perosi ne fu l'esponente più famoso; tra gli altri Oreste Ravanello -che abbiamo già trattato in queste pagine-, Marco Enrico Bossi, Raffaele Casimiri e tanti altri) mentre altri lo sono meno. Tra questi troviamo Luigi Bottazzo, figura poco ricordata e conosciuta ma assolutamente fondamentale per la costruzione e l'evoluzione del Movimento Ceciliano, di cui fece parte sin dalla prima ora e per il quale spese una vita intera lasciando opere musicali e teoretiche di grande spessore ed importanza che ancora oggi risulterebbero attualissime se solamente venissero ricordate da quegli "addetti ai lavori" delle sacre gerarchie che -proprio come agli inizi dell'Ottocento- si sono fatti allettare dalla musica "spettacolare" e l'hanno fatta entrare nelle chiese. Anche oggi, nell'ambito della Chiesa Cattolica, ci sarebbe bisogno di una bella "Riforma Ceciliana" che mettesse un po' di ordine nell'accozzaglia rabberciata di musica pop-folk-rock-neomelodica che affligge i Sacri Riti; ma Luigi Bottazzo e gli altri giacciono dimenticati e tacciati di "vecchio". Ma questo è un altro discorso.
Luigi Bottazzo nasce a Fresina di Piazzola, in provincia di Padova, il 9 Luglio 1845. Fin da bambino esprime una spiccata propensione per la musica ma all'età di soli nove anni, a causa di un incidente, rimane cieco. Lo troviamo quindi, giovanissimo, allievo di Andrich (pianoforte), Carlutti (organo) e Balbi (contrappunto) all'Istituto per giovani ciechi di Padova. La sua bravura è notevole e le sue prime opere le compone all'età di soli quindici anni. A soli 19 anni viene nominato docente di armonia, contrappunto ed organo nello stesso istituto e l'anno dopo diventa organista titolare alla consolle dell'organo della Chiesa di Santa Croce nella stessa città. Sette anni dopo assume l'incarico di titolare all'organo della Basilica di Sant'Antonio, incarico che terrà per tutta la vita. Nel 1895, poi, diventa insegnante presso la Cattedra di Organo all'Istituto Musicale di Padova, fondato da Cesare Pollini (e che diventerà in seguito l'omonimo Conservatorio). Luigi Bottazzo morirà nella sua Padova il 29 Dicembre 1924, all'età di settantanove anni.
La figura di Luigi Bottazzo è indissolubilmente legata al Movimento Ceciliano, che conobbe fin dai suoi albori ed al quale aderì con entusiasmo e profonda partecipazione nel 1874, forte anche di una profonda religiosità e di un grande spirito di servizio, doti che ne caratterizzarono sia l'attività artistica che la vita quotidiana e l'assiduo servizio liturgico.
Insieme agli altri esponenti di spicco del Movimento, fu uno dei maggiori promotori e sostenitori di quel cambiamento che nel giro di una ventina d'anni riportò la musica da chiesa a riappropriarsi delle sue caratteristiche fondamentali ed originarie. Il suo contributo fu assolutamente fondamentale e si svolse non solo nell'ambito della composizione, ma anche nel campo dell'organaria e della teoria musicale, con una particolare dedizione alla ridefinizione del "posto dell'organo" nella liturgia e, più in generale, nell'approfondimento dei canoni su cui tutta la musica liturgica doveva "rifondarsi". A tale proposito, egli si distinse come oratore in diverse conferenze e convegni nell'ambito dei quali espose con una chiarezza esemplare non solo i principi estetici e musicali del nuovo corso, ma anche approfondì la struttura e l'analisi dell'organo italiano riprendendo le fila di un classicismo da tempo dimenticato, l'applicazione delle nuove tecnologie di costruzione, l'analisi delle timbriche di nuova generazione che a quel tempo arrivavano dagli altri paesi europei e la loro integrazione con l'organo italiano, le caratteristiche di una nuova estetica interpretativa in cui contrappunto e canto gregoriano erano gli ingredienti fondamentali che si integravano con l'estetica postromantica e con i primi echi del Novecento che iniziavano ad evolvere nel passagio alla musica moderna. Nel contempo si dedicò anche all'operazione più difficile, la radicale trasformazione delle cantorie (allora erano chiamate Scholae Cantorum) da gruppi di cantanti "operistici" in vere e proprie entità musicali dalla solida formazione musicale e dalle caratteristiche specificatamente "liturgiche", riaffidando loro le specificità di "cori polifonici" all'esclusivo servizio degli Offici Liturgici e con ben specificate competenze e caratteristiche; a questo proposito, fu lui che promosse l'idea (attuata nei decenni successivi) che in ogni chiesa parrocchiale dovesse essere presente -ben attiva e con adeguato repertorio polifonico- una cantoria musicalmente ben preparata e dedita all'esclusivo servizio liturgico. L'attuazione di questa idea, se da una parte permise ad ogni parrocchia di avere un proprio coro di buon livello, fu anche un formidabile veicolo di promozione della nuova "musica ceciliana" e fece in modo che anche nelle cittadine di provincia e nei paesi la musiche di Palestrina e di Perosi diventassero la "colonna sonora" più consona ai sacri riti.
 Partitura Luigi Bottazzo Come compositore, Luigi Bottazzo fu molto attivo; il numero complessivo delle sue opere arriva quasi al migliaio ma solo circa la metà di esse furono date alle stampe. Tra queste un grande numero di Messe, Motetti, Inni, Salmi e Responsori per solisti, coro di diversa composizione ed organo; diversi brani per organo solo e -anche- diverse composizioni di musica da camera (brani per pianoforte, canto e pianoforte, violino, violino e pianoforte e per piccole formazioni strumentali).
Tra le sue opere "didattiche" e divulgative, conosciutissimi sono i due testi propedeutici allo studio dell'organo e dell'armonium (L'organista di chiesa - Breve metodo per organo realizzato con Oreste Ravanello e L'Armonium quale strumento liturgico - Metodo teorico pratico), entrambi pubblicati nel 1901 e che rappresentarono le fondamenta su cui si formò l'intera generazione di organisti liturgici del seguente trentennio. Molto "gettonato" in quel periodo fu anche il suo Metodo di canto corale ad uso delle scholae cantorum, pubblicato nel 1905 e su cui si formarono praticamente tutte le corali che si stavano a quel tempo formando in ogni angolo d'Italia. Pubblicò anche un metodo per lo studio del pianoforte e diversi studi teorici tra i quali si devono ricordare gli Studi sulla periodologia musicale, il Metodo teorico-pratico di armonia e le Brevi nozioni sulle forme musicali.
Come si può constatare, Luigi Bottazzo fu non solo un musicista completo, rigoroso e di grande rilievo, ma anche uno studioso ed un didatta di grande rinomanza (nel corso della sua attività didattica ebbe più di trecento allievi, tutti divenuti ottimi organisti e musicisti di notevole levatura).
Le sue composizioni (sia organistiche che corali) denotano un'adesione incondizionata ai due principi fondanti della Riforma, il Canto Gregoriano ed il contrappunto concepito nella sua forma classicamente polifonica. Se da una parte alcuni critici musicali dell'epoca hanno trovato nelle sue opere uno stile contrappuntistico rigorosissimo, rigidissimo e stilisticamente "asciutto ed essenziale" di ispirazione quasi "ascetica" rispetto alle tendenze musicali fondamentalmente più "liriche" e postromantiche di quegli anni, altri osservatori più approfonditi, nell'analizzare le sue composizioni hanno visto nel recupero del diatonismo dei modi ecclesiastici sviluppato secondo la spiritualità essenziale della polifonia classica ma sapientemente innestato in procedimenti armonici spiccatamente postromantici, nella chiarezza formale e nello sviluppo sempre scevro da sovrastrutture effettistiche del tutto estranee al linguaggio musicale religioso un esempio di grande novità che si innesta alla perfezione in quello che verrà nei decenni seguenti denominato "neoclassicismo"; ed è proprio per queste caratteristiche che le opere di Bottazzo non solo ebbero grande seguito in Italia ma, anche, nella Germania del primo Novecento dove la figura di Bach stava riprendendo a giganteggiare per gli stessi motivi.
Oggi Luigi Bottazzo è un perfetto sconosciuto. La sua scuola si è estinta, le scholae cantorum si sono dissolte (o sono state smantellate) sotto il vento mefitico della modernità, sostituite da coretti sgangherati che invece di Palestrina e Perosi "urlano" canti dozzinali e raffazzonati accompagnati da chitarre, tastiere e batterie, L'organo ha perduto non solo il suo posto, ma anche quella funzione e dignità che grazie anche a Bottazzo aveva faticosamente riconquistato. In un cinico (e tragico) ricorso storico le chiese di oggi -come le chiese dell'Ottocento erano diventate succursali dei teatri- sono diventate succursali delle discoteche, delle sale da ballo e della vacua inutilità degli "happenings" giovanili di woodstockiana memoria che se da una parte non hanno mai portato -e mai porteranno- un fedele in più nelle nostre chiese, dall'altra hanno dato e danno -oggi più che mai- una enorme quanto sterile visibilità mediatica ad una Chiesa che giorno dopo giorno perde irrimediabilmente la sua autorevolezza magistrale e dottrinale.
Confidiamo (poco, per la verità) nei corsi e ricorsi della Storia ed aspettiamo che venga un nuovo Luigi Bottazzo che rimetta le cose a suo posto.



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