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Henri Mulet

di Federico Borsari




 Henri Mulet Alzi la mano chi di voi lettori non ha mai avuto modo di ascoltare le note della assai famosa toccata "Tu es Petra et portæ inferi non prævalebunt adversus te", decimo e conclusivo brano dei meno conosciuti "Dix pièces pour Grand-Orgue", composti tra il 1914 ed il 1919 da Henri Mulet.
Questi brani, composti, come dice l'autore, "en memoire de la Basilique du Sacré-Cœur de Montmartre", sono l'opera più conosciuta (ed al tempo stesso sconosciuta) di questo musicista e compositore francese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, figura assai particolare e controversa sia sotto l'aspetto musicale che sotto quello umano e che si è posta spesso in notevole antitesi con le teorie musicologiche del suo tempo ma che, a tutti gli effetti, può essere inserita nel quadro di quella che fu denominata come l'"avant-garde musicale" francese del primo Novecento.
Diciamo "Primo Novecento" perchè Mulet, pur essendo vissuto fino al 1967, si dedicò alla composizione solo fino al 1920 (e le "Esquisses Byzantines" -che è il titolo dei "Dix Pièces" di cui abbiamo parlato prima- sono in effetti l'ultima sua composizione). Nel decennio seguente, invece, si dedicò soprattutto all'approfondimento dell'estetica organaria ed organistica di quell'epoca, entrando in piena contrapposizione con essa e pubblicando alcuni saggi di aperta e feroce critica tra cui uno scritto dal titolo eloquentissimo ("Le tendenze nefaste ed antireligiose dell'organo moderno") ed un altro saggio critico sulle nuove concezioni che allora stavano prendendo piede nell'organaria francese dal titolo "Studio sul ruolo delle Mutazioni e sulla composizione razionale del Plein-Jeu nell'organo". Entrato in totale contrasto con l'ambiente organistico ed organario, nel 1937 -non prima di aver bruciato nella stufa tutti i manoscritti delle sue composizioni ancora inedite- lascia Parigi e si stabilisce a Draguignan, divenendo organista presso la Cattedrale ed intrattenendo abituali e frequenti rapporti con il locale monastero delle "Piccole Sorelle dei Poveri", dove poi morirà. E' molto significativo il fatto che a seguito di questo suo "ritiro" quasi-spirituale, egli non prese mai più in mano la penna per comporre, non riconoscendosi più in alcuna espressione musicale organistica della sua epoca e rimanendo, sia per sua volontà personale che per l'ostilità nei suoi confronti che la sua posizione aveva suscitato, pressochè completamente dimenticato.
Eppure Mulet si era preannunciato sulla scena musicale europea come una delle figure più interessanti e significative. Nato a Parigi nel 1878, nel quartiere di Montmartre, praticamente all'ombra di quella che in quel periodo era la costruenda Basilica salesiana del Sacro Cuore, era musicista di tradizione e di discendenza; suo padre era maestro di cappella e lui già da bambino suonava benissimo l'armonium assieme a sua madre, anch'essa pianista ed organista. All'età di quindici anni vince il primo premio in Violoncello con Delsart, dopodichè studia organo con Guilmant e Widor vincendo il secondo premio quattro anni dopo, all'età di diciannove anni. Brillante organista e musicista completo, dal 1901 fino al 1922 ricopre prestigiosi incarichi alle consolles degli organi di St.Pierre-de-Montrouge, di St.Eustache, di Sainte Marie des Batignolles, di Saint Roch e di St.Philippe du Roule, diventando anche Maestro di Cappella al Sacré-Coeur. In quegli anni svolge anche attività di insegnante sia alla Scuola Niedermeyer che alla Schola Cantorum. Insomma, per Henri Mulet si prospetta -e si concretizza- una brillantissima carriera musicale. Ma è proprio in questo periodo, all'età di neppure 50 anni, che accade qualcosa che lo induce a "rompere" con l'ambiente musicale organario ed organistico francese (e parigino). La mancanza di riferimenti precisi (a parte i due scritti che abbiamo citato sopra, non vi sono altre testimonianze che confortino una tesi precisa in merito) non ci permette di capire fino in fondo i motivi di quello che diventerà per lui un "grande rifiuto"; sicuramente un grande ruolo ebbe la sua personalità profondamente religiosa, quasi "mistica", attraverso cui egli considerava la musica, così come sicuramente entrò in gioco il fatto che in quel periodo il tardo-romanticismo stava cedendo spazi ed importanza rispetto alle teorie del neoclassicismo, che portava a rivedere dalle basi non solo l'arte organistica, ma anche l'arte organaria, che si stava aprendo al recupero delle sonorità e delle forme classiche.
Quali che siano state le cause, Mulet da quel momento letteralmente "sparisce" dalla scena musicale francese e la critica è unanimemente convinta che sia stato egli stesso a volersi in qualche modo "auto-emarginare", ritenendo di non aver più nulla a che spartire con quella che stava diventando la "musica moderna". E' curioso -e significativo- comparare qui la sua vita artistica con quella di un suo contemporaneo, Joseph Bonnet, il quale, pur avendo le stesse basi artistiche (ad esempio lo studio dell'organo con Guilmant), nel corso della sua attività abbracciò completamente la scelta dell'evoluzione in senso neoclassico dell'organo francese -senza peraltro mai tradire le sue origini tardromantiche- e diventandone uno degli esponenti più famosi e rappresentativi. Due modi diametralmente opposti di affrontare quello che in tutta europa fu un periodo di snodo fondamentale (e molto critico) della musica organistica (e non solo organistica) che portò Mulet ad annichilirsi e Bonnet a diventarne assoluto protagonista.
Nei suoi circa quarant'anni di "ritiro" volontario a Draguignan, Mulet suona (fino al 1958) l'organo della cattedrale ma svolge questo compito totalmente "sottotraccia", come un umile e laborioso organista di provincia; nel contempo approfondisce, grazie alle sue frequentazioni con l'ambiente monastico, gli aspetti più "mistici" della sua profonda e quasi radicale religiosità. Sposato ma senza figli, svolge la sua vita come un normale "provinciale", una vita fatta di quotidianità alternata tra gli affetti famigliari ed il chiostro delle Piccole Sorelle dei Poveri, dove probabilmente trova risposte (e sicuramente anche protezione spirituale) agli interrogativi che la vita gli pone.
Muore a Draguignan il 20 Settembre 1967, ormai scomparso totalmente dal panorama musicale di quel tempo. La sua morte passa assolutamente inosservata e nessun musicista nè critico musicale nè rivista specializzata ne hanno e ne danno notizia. Solamente Charles Tournemire, in un ricordo postumo, lo definisce come "strano e grande musicista, prigioniero di un ideale mistico.".
Come abbiamo detto, Mulet all'atto della sua partenza da Parigi bruciò tutti i manoscritti delle sue opere ancora inedite. Rimangono però le opere pubblicate in precedenza. E da queste si può capire la sua statura musicale. Oltre alle "Esquisses", troviamo una decina di opere per organo od harmonium, un paio di poemi sinfonici e sei composizioni per grande orchestra, una decina di opere vocali con accompagnamento di pianoforte, harmoniun od organo e quattro composizioni per formazioni strumentali miste. Purtroppo queste opere sono pressochè totalmente dimenticate e, organisticamente parlando, delle "Esquisses Byzantines" si conosce solo la Toccata Finale, che è diventato uno dei brani preferiti dei virtuosi statunitensi; è un vero peccato, perchè questi schizzi musicali, di tipo spiccatamente descrittivo, sono tutti, nessuno escluso, veramente interessanti e di grande bellezza. Fortunatamente, negli ultimi decenni, di quest'opera sono apparse un paio di incisioni discografiche (tra cui una molto apprezzabile di Eric Lebrun) che hanno aperto uno spiraglio sulla conoscenza di questa figura musicale così curiosa e controversa.
Certo è che se Henri Mulet, quel giorno del 1937, non avesse deciso di accendere la stufa con i suoi manoscritti, oggi ben altre parole si potrebbero spendere sulla sua persona e sulla sua opera.



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