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Guglielmo Mattioli

di Federico Borsari




 Guglielmo Mattioli Del periodo della "Riforma" della Musica sacra, liturgica e religiosa italiana (e, di conseguenza, anche dell'organo "riformato" italiano) si sa ancora poco. Nel campo organistico ed organario, a parte gli addetti ai lavori, pochi conoscono questo periodo molto importante, che iniziò verso la fine del XIX secolo e che si protrasse per circa centocinquant'anni, fino all'avvento della cosidetta "filologia organaria", che prese campo verso la metà del secolo scorso e che tuttora caratterizza l'arte della costruzione degli organi italiani. Bisogna dire che, come tutti i periodi di grande rivoluzione ideale, anche il cosidetto "Movimento Riformista" ebbe i suoi momenti di gloria ed i suoi momenti di infamia (e la stessa cosa si può dire del movimento neoclassicista seguente); rimane il fatto che si trattò di più di un secolo in cui l'organo italiano "classico" cambiò pelle e si evolse in quello che tutti noi oggi -a torto od a ragione- definiamo come "organo moderno italiano".
Abbiamo già trattato, anche ampiamente, questa fase storica in queste pagine e non è questa la sede più opportuna per riproporre argomentazioni già fatte; quella che intendiamo trattare oggi è una delle tantissime figure musicali che caratterizzarono il Movimento Ceciliano, figure che agli organisti di oggi risultano assolutamente dimenticate ma che, all'epoca, assunsero posizioni di assoluta rilevanza nel panorama musicale (ed organistico in particolare) italiano ed internazionale.
A questo proposito, qui in Italia, è molto conosciuto Marco Enrico Bossi, che è considerato (con ragione) il padre dell'arte organistica moderna italiana (ma che, per la verità, non fu un "riformista" puro) ed, assieme a lui, si ricordano figure come Ravanello, Bottazzo e pochi altri (e questi, invece, furono effettivamente dei "veri" riformatori). C'è poi una moltitudine di personaggi "minori" che da qualche decennio si vanno riscoprendo e dei quali si stanno rivalutando le opere musicali, che spesso si rivelano dei veri e propri capolavori. C'è, infine, una parte di personaggi che, nonostante in vita fossero molto noti, conosciuti ed apprezzati, ad oggi non sono ancora approdati ad una conoscenza condivisa nell'ambito del panorama organistico nè nazionale nè, tantomeno, internazionale; si tratta di decine di autori che hanno dedicato l'intera loro vita ed attività musicale all'organo "riformato" ma dei quali non si conosce pressochè nulla. Tra di essi c'è Guglielmo Mattioli.
Emiliano (nacque a Reggio Emilia nel 1857), già da bambino si dimostrò molto interessato alla musica, soprattutto a quella delle campane delle chiese, per il cui suono dimostrò una vera passione, diventando ben presto un bravo campanaro. Quando aveva undici anni morì la madre e Guglielmo fu ospitato presso la casa di accoglienza per bambini (allora si chiamavano orfanotrofi) del Comune e fu qui che iniziò a studiare il pianoforte, nonostante un paio di anni prima, a causa di un incidente scolastico, gli fosse stato amputato il dito mignolo della mano destra. Ottenne subito buoni risultati, nonostante i suoi studi musicali si svolgessero senza regolarità nè metodo, ed in quel periodo iniziò anche a suonare l'organo presso alcune chiese della zona e rivelando anche buone doti nel campo della composizione, che egli svolgeva -anche qui- senza avere la possibilità di seguire un piano di studio organizzato nè regolare. La sua prima composizione musicale, un Capriccio Sinfonico per pianoforte, risale al 1873, quando aveva sedici anni, ed è egli stesso che annota, come sottotitolo, di averla composta "senza conoscere neanche l'armonia".
Negli anni seguenti Guglielmo continuò a studiare musica in modo disorganizzato e fu solo cinque anni dopo, quando morì anche il padre, che egli, grazie all'aiuto di un fondo benefico (il "Ferrari Bonini", istituito verso la fine del Settecento a Reggio Emilia dall'abate Giuseppe Ferrari Bonini per consentire l'accesso agli studi per i giovani della città che non ne avevano la possibilità), si trasferì a Bologna dove, finalmente, entrò al Liceo Musicale ed iniziò a seguire con regolarità e metodo le lezioni (armonia, contrappunto e composizione) di Alessandro Busi, noto e rinomato musicista bolognese a cui si deve -tra l'altro- il merito di essere stato, con tutta probabilità, il primo a trascrivere le composizioni organistiche di Frescobaldi. Durante il suo soggiorno bolognese, Mattioli ebbe l'opportunità anche di frequentare la bottega dell'organaro Verati, dove ebbe modo di studiare ed approfondire le tecniche organarie dell'epoca.
Nel 1881, Mattioli si diploma, con il massimo dei voti e la lode, in Composizione e ritorna a Reggio Emilia dove gli vengono subito affidate le cattedre di pianoforte, composizione e canto presso la Scuola Civica di Musica della quale, negli anni seguenti, diventerà anche Direttore. Parallelamente all'attività di docenza, egli intraprende anche una fruttuosa attività di compositore e in contemporanea, forte delle conoscenze acquisite dalla frequentazione delle botteghe organarie, si dedica anche all'attività di collaudo di nuovi organi. In questo campo, inoltre, Mattioli si interessa con attenzione alle novità che iniziano ad arrivare dalle diverse scuole organarie europee ed alle idee della nascente Riforma Ceciliana, orientandosi verso una visione dell'organo italiano che, prendendo basi e spunto dalla tradizione classica, comprenda anche alcune delle più interessanti novità fonico-tecniche internazionali, anticipando di qualche decennio quelle che diventeranno poi le linee-guida della famosa Conferenza Organistica di Trento. Questa sua tendenziale linea di aderenza alla Riforma gli procurò, ovviamente, diverse critiche da parte dell'ambiente organario meno sensibile alle novità; in ogni caso Mattioli può -sotto questo punto di vista- essere considerato, in quegli anni in cui il movimento rinnovatore era assai "agguerrito", come un riformista moderato e molte delle sue posizioni diventeranno in seguito i capisaldi dell'organaria "moderna" italiana del Novecento.
Per via della sua intensa attività musicale, Guglielmo Mattioli, nell'ultimo decennio del XIX secolo, diviene molto famoso ed apprezzato (sia come compositore che come organista e pianista) non solo nella nostra penisola ma, anche, all'estero e tra le sue amicizie musicali si possono annoverare quelle di Marco Enrico Bossi e di Theodore Dubois.
Nel 1894 decide di tornare a Bologna pr conseguire il Diploma in Organo, titolo che gli viene attribuito a pieni voti, anche perchè egli era già da tempo considerato ed apprezzato anche a livello internazionale come un ottimo organista. L'anno seguente viene nominato Professore di Organo al Conservatorio di Parma e, dopo un anno -nel 1896-, viene chiamato da Mascagni a ricoprire gli incarichi di insegnante di contrappunto, fuga e composizione al Liceo Musicale di Pesaro.
Nel 1901 Mattioli, non particolarmente soddisfatto dell'ambiente musicale pesarese, si trasferisce a Bergamo, dove assume gli incarichi di Direttore della Cappella Musicale in Santa Maria Maggiore e di Direttore del locale Istituto Musicale. Durante i sette anni di permanenza a Bergamo, Mattioli si dedica intensamente alla composizione (soprattutto di musica corale e per orchestra) ed ottiene significativi riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale. Nel 1908, infine, viene proposto da Marco Enrico Bossi come docente di Organo e Composizione al Liceo Musicale di Bologna, incarichi che terrà fino al termine della sua carriera, senza dimenticarsi peraltro della passione coltivata sin da bambino per il suono delle campane, a cui dedicherà un saggio molto importante pubblcato nel 1921.
Guglielmo Mattioli torna alle Celesti Cantorie il 7 Maggio del 1924.
Come si vede, la figura di Guglielmo Mattioli non è per nulla di secondo piano nel panorama musicale a cavallo tra XIX e XX secolo. La sua opera si è rivolta a diversi campi, dall'interpretazione (organistica e pianistica) alla composizione (per generi molto diversi: organo, orchestra, gruppi strumentali, formazioni corali, ecc.), dall'organaria all'arte campanaria, dall'attività di docenza (tra i suoi allievi possimo citare anche Ildebrando Pizzetti) a quella di saggista. Insomma, Mattioli è stata una figura che alla Musica ha dedicato non solo la sua attività professionale ma, come succedeva spesso a quei tempi, tutta la sua vita. Nel campo dell'organo è dirimente la sua posizione come "riformista della prima ora" che ha però saputo discernere con attenzione ed estrema professionalità tra un'esterofilia spinta di alcuni suoi contemporanei fino a deleteri eccessi ed una calibrata mediazione tra le origini -sempre ben salde- classiche dell'organo italiano ed un misurato e consapevole inserimento di tecniche innovative provenienti dall'oltralpe. Quest'attenzione alla "classicità" delle origini italiane dell'organo Mattioli le dimostra anche nella sua attività, molto intensa, di consulente sia per la costruzione di nuovi strumenti che per il restauro di antichi organi; non possiamo, ovviamente, comparare le metodologie di "restauro" di quell'epoca con quelle di oggi ma è significativo che in tutte le sue "perizie" relative a lavori svolti su organi preesistenti (tra i quali anche l'organo "di Giuseppe Verdi" di Busseto), Mattioli abbia sempre cercato di mantenerne inalterato il carattere originale.
Come compositore, abbiamo detto, fu molto prolifico e nella sua produzione figurano opere per canto e pianoforte, due melodrammi, un oratorio ("L'Immacolata"), diverse Messe e composizioni sacre, opere per organo e diverse altre composizioni per un totale di circa duecento opere, alcune delle quali si distinsero coonseguendo prestigiosi premi sia in Italia che all'Estero. Molto interessanti sono anche i suoi saggi relativi al tema della Riforma Ceciliana (tra cui la relazione che egli tenne al Congresso di Musica Sacra di Bergamo del 1907), nei quali risulta ben chiara la sua posizione.
Nonostante a Guglielmo Mattioli siano state dedicate due strade, una a Reggio Emilia ed una a Bergamo, delle sue composizioni non si hanno quasi nè incisioni discografiche (a parte una "Messa Facilissima" e pochissimo altro) nè -tantomeno- video (tranne la "Toccata Brillante" per organo interpretata da Sandro Carnelos) ed è un vero peccato poichè egli ha sicuramente rappresentato -al pari di molti suoi contemporanei molto più noti- alla perfezione un periodo molto importante per la storia musicale (e non solo organistica) del nostro Paese. Ci auguriamo quindi che presto anche le sue opere possano essere annoverate in qualche incisione discografica a lui dedicata. Nell'attesa, ascoltiamoci la sua Toccata Brillante per organo interpretata da Sandro Carnelos:



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