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Integrale delle Sinfonie di Vierne




Louis Vierne: le Sei Sinfonie per Organo
Organista: Fausto Caporali
Organo Chiesa di S.Giovanni Evangelista di Alessandria
Organo Chiesa di S.Anastasia di Villasanta
Organo Cattedrale di Voghera
Organo Chiesa di S.Pietro di Limone Piemonte
Organo Cattedrale di Abano Terme
Organo Cattedrale di Cremona
Fugatto Records - FUG 060 (3 CD) - DDD - 2015

Ricevendo questo cofanetto, quello che subito più ci ha colpito è stato il "contro-titolo": "I migliori organi d'Italia". Si, avete letto bene: I MIGLIORI. E, subito dopo, andando a vedere di quali organi si trattasse, siamo, come suol dirsi, "andati in brodo di giuggiole" perchè dopo decenni durante i quali come migliori organi italiani venivano considerati solo quelli costruiti prima del 1890, per noi -nati e cresciuti su un Bossi 1897 pneumatico e che consideriamo l'organaria italiana del Novecento tra le migliori del Mondo- vedere in un colpo solo rivalutati ben sei strumenti che appartengono alla categoria dei fino a ieri negletti organi "eclettici" ed ascoltarli magistralmente utilizzati per un "monumento" musicale ed organistico quali sono le sei Sinfonie di Vierne è stato un vero grande piacere.
Louis Vierne compose le sue Sei sinfonie per organo nel periodo dal 1898 al 1930 e solo la prima non risente del "condizionamento" dell'organo di Notre-Dame di Parigi (Vierne ne divenne titolare solo due anni dopo). Se la prima Sinfonia è piuttosto una "Suite" per organo, è nelle altre che si possono ben notare da una parte l'influenza dello strumento per cui furono scritte e l'evoluzione stilistica e formale, che da una parte consolida la struttura "sinfonica" con una sempre crescente unitarietà tematica e dall'altra "razionalizza" la forma musicale con una scrittura sempre più "sistematica" che evolve il gusto per il cromatismo di tipo franckiano delle origini fino ad un cromatismo pressochè totale delle ultime due sinfonie (un tema della sesta, ad esempio, utilizza tutti e dodici i suoni della scala cromatica ed un altro ne utilizza undici!), cosa che crea diversi momenti di "sospensione" della tonalità e che, assieme al sapiente utilizzo dei temi ciclici, fa di queste sei sinfonie uno dei capisaldi della musica organistica di tutti i tempi.
Personalmente, su queste pagine, avevamo iniziato tempo fa un lavoro di analisi formale di queste sinfonie che, per mancanza di tempo, si era fermato alla prima sinfonia (che potete trovare qui). Quello che qui ci interessa di più, oggi, sono le parole dello stesso Vierne riguardo all'importanza dello strumento nella sua opera compositiva. Egli, nei suoi "Souvenirs", dice, testualmente: "La mia musica per organo mi è stata suggerita dagli strumenti di Saint-Sulpice e Notre-Dame. I miei primi brani singoli e la mia prima Sinfonia vengono da Saint-Sulpice; Notre-Dame mi ha ispirato tutto il resto. Ho cercato la pulizia delle idee, la chiarezza dei piani sonori, la solidità della costruzione ed i colori con larghe pennellate, unica estetica possibile in queste grandi chiese e compatibile con le particolari esigenze che comporta il 'governare' questi grandi cinque tastiere. Mettere in campo tutte le risorse di questi organi esige una tecnica speciale che deve tenere in conto l'effetto musicale e, al tempo stesso, le combinazioni timbriche da cui esso dipende. E' chiaro che queste combinazioni mi hanno obbligato ad utilizzare uno stile che, se si fosse trattato di altri strumenti, sarebbe stato senza dubbio ben differente." Sulla base di ciò, in effetti (e con noi tutta la critica musicale più accreditata), abbiamo sempre considerato al "top" delle incisioni discografiche l'integrale di Pierre Cochereau del 1975-1976 a Notre-Dame, che fu, e probabilmente rimane tuttora, l'integrale che più risponde alle parole dell'autore. Ovviamente, delle sinfonie di Vierne ne abbiamo ascoltato moltissime altre versioni, tra cui alcune "live" su organi italiani (tra cui una splendida sesta di Gaston Litaize sul Tamburini 1934 del Conservatorio di Torino ed una bellissima terza di Maxime Patel sul Bossi 1914 della Parrocchia di Cremolino) e sempre ci siamo stupiti di quanto le sonorità di questi nostri strumenti fossero perfettamente adatte all'esecuzione di questi capolavori, "a prescindere" dallo strumento che li aveva in effetti ispirati.
L'incisione di Caporali su ben sei organi "moderni" (il più "vecchio" è del 1962 mentre il più "giovane" è stato ultimato nel 2012) italiani, scelti in modo perfettamente appropriato, non ha fatto altro che confermare le nostre impressioni, rinsaldando anche vieppiù la nostra convinzione che l'organaria italiana moderna e contemporanea, quando non si lascia incantare dalle sirene della filologia puramente autoreferenziale e dell'esterofilia a tutti i costi, non è seconda a nessuno e può competere alla pari -e spesso molto meglio- con tutte le altre scuole organarie del Mondo.
La filosofia di questa incisione è semplice: una sinfonia-un organo, con una particolare attenzione nell'affiancare le peculiarità fonico-timbriche di ogni strumento con le caratteristiche musicali di ogni sinfonia. Caporali interpreta la prima sul grande Mascioni 2010 (tre tastiere, pedaliera, 47 registri nominali, 67 reali) della chiesa di S.Giovanni Evangelista di Alessandria, che abbiamo già trattato in occasione di una precedente recensione (che trovate qui) di musiche di Haendel incise da Massimo Gabba. La seconda sinfonia risuona sul grande Bonato 2012 (quattro tastiere, pedaliera, 91 registri nominali, 113 reali - progetto fonico di Paolo Oreni) della chiesa di S.Anastasia di Villasanta. Per la terza è stato scelto il maestoso Balbiani, realizzato nel 1962 per il Duomo di Pavia, successivamente smontato e ricostruito da Mascioni due anni fa, nel 2013, nel Duomo di Voghera (tre tastiere, pedaliera, 72 registri nominali, 105 reali). La quarta è interpretata, invece, sul "piccolo" Vegezzi-Bossi 2001 della chiesa di S.Pietro di Limone Piemonte (tre tastiere, pedaliera, 28 registri nominali, 37 reali). Il bellissimo Tamburini 1967/1975, ampliato da Bonato nel 1999, del Duomo di S.Lorenzo di Abano Terme (tre tastiere, pedaliera, 63 registri nominali e 83 reali) è il protagonista della quinta Sinfonia, mentre al possente Mascioni 1986 (tre tastiere, pedaliera, 52 registri nominali pari a 79 reali con ampia presenza di materiale fonico proveniente da precedenti strumenti) della Cattedrale di Cremona è affidata la conclusione con la sesta Sinfonia. Abbiamo già trattato incisioni effettuate su questi due ultimi strumenti rispettivamente qui e qui.
Di Fausto Caporali abbiamo già recensito (in questa pagina) una pregevole interpretazione dell'integrale franckiana. In questa produzione lo ritroviamo assolutamente in linea con la filosofia interpretativa che lo aveva guidato in quell'impresa, filosofia che supera sempre abbondantemente i canoni stilistici ed esecutivi di lunga sedimentazione per andarne a ricercare le essenze da cui egli trae nuovi spunti senza mai stravolgere quello che è il cuore profondo di queste musiche. Egli stesso, nel commento ai dischi, ci chiarisce perfettamente le "linee-guida" che ha seguito per realizzare queste incisioni: "gesto ampio e retorico nei temi principali, calore melodico, libertà ritmica da infervorato romantico, unità del discorso ed accuratezza dei trapassi, nonchalance nelle transizioni armoniche, mobilità dei tempi, soprattutto negli Adagio, giocosità brillante e azzardo virtuosistico nei Finali, ricerca di grandiosità sonora e bellezza di dettagli coloristici". Su queste basi Caporali innesta la sua prodigiosa tecnica strumentale, per proporci un risultato finale che definire strepitoso è riduttivo assai ed in cui, se da una parte ritroviamo molte delle caratteristiche dell'integrale "storica" di Cochereau (gesto ampio e retorico, disinvolte transizioni armoniche, giocosità brillante ed azzardo -fin troppo- virtuosistico), dall'altra possiamo osservare in filigrana un preciso ed accurato lavoro di analisi che, trasposto in un'interpretazione in cui affiora un'attenzione particolare alla cura dei fraseggi e del discorso musicale, in diverse occasioni ci propone una chiave di lettura differente, chiave di lettura che -soprattutto in questo caso- fa la differenza tra l'esecutore e l'interprete.
Fausto Caporali, in questo ambito, supera inoltre brillantemente il limite del condizionamento strumentale. Non importa -e questa è la regola per i "veri" interpreti- per quale organo sia stata scritta una musica; se si vuole "interpretare" un brano bisogna "spogliarlo" delle indicazioni di registrazione e di tutto ciò che ne consegue, bisogna "ridurre all'osso" la musica (e per musica qui non si intendono le note di partitura) per evidenziare il discorso ed il messaggio che essa rappresenta (la Musica, lo ricordiamo qui, è un linguaggio, ed ogni composizione musicale -come ogni discorso parlato o scritto- contiene idee, impressioni, suggestioni e, soprattutto in questo caso, emozioni); solo dopo aver adeguatamente individuato l'essenza della musica, la si può proporre e, a questo punto, non ha più eccessiva importanza lo strumento su cui la si suona. Nel nostro caso, è sempre Caporali che, nel suo commento, ci sottolinea il metodo di lavoro: "Il ricorso a organi differenti, fossero monumentali o piccoli, nuovi o della migliore organaria novecentesca restaurata, ma sempre di anima schiettamente romantica, ha permesso di giocare su suoni e acustiche, fermo restando che si è sempre cercata una chiarezza di fondo che aiutasse l'ascoltatore a districarsi nelle complesse trame musicali". Et voilà: chiarezza dell'esecuzione, organo (piccolo o grande non importa) romantico e Vierne è perfettamente servito.
E gli organi scelti ed utilizzati per questa integrale sono -appunto- "di anima schiettamente romantica" anche se rientrano nella categoria di quei tanto criticati e vituperati "organi eclettici", chiamati così perchè "in teoria" sulle loro tastiere si potrebbero suonare musiche di qualsiasi genere (e, in effetti, ciò risponde assolutamente a realtà, poichè ascoltare Bach eseguito sul Tamburini-Bonato di Abano Terme (in proposito potete leggere una nostra recensione qui) è un vero piacere). Tutti questi strumenti sono tra gli organi italiani da noi preferiti ed in questa incisione li abbiamo potuti anche agevolmente comparare timbricamente e fonicamente. Su tutti, abbiamo preferito i suoni del Balbiani-Mascioni di Voghera, il Tamburini-Bonato di Abano Terme ed il Mascioni di Cremona; a seguire il Bonato di Villasanta, il Mascioni di Alessandria ed il Vegezzi-Bossi di Limone Piemonte. E' doveroso dire, a questo proposito, che le nostre impressioni sono assolutamente opinabili e, sicuramente, nella nostra ipotetica graduatoria ha pesato -di molto- anche il modo in cui Fausto Caporali li ha utilizzati, sfruttandone tutte le possibilità foniche e le caratteristiche tecniche, in questo brilllantemente coadiuvato dal "grande" Federico Savio, che di questo cofanetto è, oltre che produttore, tecnico del suono. Anche in questo caso (e possiamo ben immaginare le difficoltà incontrate nella presa di suono di questi meravigliosi strumenti) non possiamo che apprezzare -una volta di più- la sua "arte" non solo nella registrazione, ma anche nel lavoro di editing, mastering e post-produzione. Per buona misura -come in altre occasioni- Savio è anche il graphic designer delle copertine e del curatissimo libretto a corredo, ricchissimo di immagini e con esaurienti ed interessanti testi in quattro lingue (italiano, inglese, francese e tedesco).
Abbiamo sistemato questo cofanetto in uno dei "posti d'onore" della nostra discoteca. Vi consigliamo caldamente di fare altrettanto.



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