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Marco Enrico Bossi: Organ Works III




Marco Enrico Bossi: Organ Works III
Organista: Sandro Carnelos
Organo Chiesa di S.Carlo Borromeo di Ponte della Priula di Susegana
Rainbow Classics - RW 20150177-33 - DDD - 2015

Quasi vent'anni fa, nel 1997, in una delle prime pagine dedicate alle recensioni (la trovate qui), avevamo trattato il primo volume dell'integrale delle opere di Marco Enrico Bossi eseguite da Sandro Carnelos. Allora ci eravamo rallegrati per questa iniziativa editoriale, che sarebbe andata a completare in modo egregio il panorama discografico dedicato al "padre" dell'organo moderno italiano. Abbiamo quindi atteso con pazienza l'uscita dei seguenti volumi. Ed ecco che oggi, a distanza di tempo, appare il terzo volume (il secondo non è stato ancora pubblicato per problemi tecnici), dove sono contenute molte opere tra le più significative del Bossi e, soprattutto, dove si può notare una corposa evoluzione interpretativa, arricchita dallo strumento utilizzato, lo Zeni "francese" realizzato nel 2011 per la chiesa di S.Carlo Borromeo di Ponte della Priula di Susegana, prestigioso ed interessante organo che abbiamo trattato in passato in questa pagina.
In quest'incisione troviamo i "Six Pièces" Op. 70, la "Toccata" Op. 59, tre brani dall' Op. 132, il primo, "Ländliche Szene", il quarto, "Stunde der wehie" ed il quinto, "Stunde der Freude"; concludono il disco altri tre brani senza numero di opus, l'"Aria popolare del paese di Ath", la "Preghiera Fatemi la Grazia" e l'"Intermezzo lirico". Questi brani, assieme a quelli del primo volume (brani tratti dall'Op. 92, 94, 104 e 118), ci forniscono un panorama già abbastanza completo dell'opera di Marco Enrico Bossi, che a partire dai brani più "facili" e conosciuti (Chant du Soir, Ave Maria, Resignation, ecc.) fino a quelli di più complessa costruzione presenti in questo disco, sottolinea quello che è l'aspetto compositivo fondamentale di Bossi, che testimonia quanto egli trattasse l'organo (e, di conseguenza, scrivesse la sua musica) come una vera e propria orchestra sinfonica; in effetti, come si può capire dall'analisi di molte delle sue composizioni -soprattutto quelle più evocative e descrittive- pare quasi che da un'idea musicale concepita e nata in termini squisitamente orchestrali egli tragga delle "riduzioni" da eseguirsi all'organo; in pratica, egli "scrive" per l'organo come se si trattasse di un'orchestra, e questa è la peculiarità -a nostro parere- fondamentale e più caratterizzante della produzione organistica di Bossi.
Alla figura di Bossi dedicheremo una futura pagina di questo sito; quello che ci preme sottolineare qui -ed è molto ben evidenziato in questa produzione- è la personalità musicale di questo compositore, che non a caso viene considerato come il "padre" dell'organo italiano moderno (e qui, per "organo", intendiamo non solo la musica, ma -anche- la tecnica interpretativa, le soluzioni timbrico-foniche e l'utilizzo di sonorità provenienti da altri Paesi europei, che proprio grazie a Bossi furono introdotte -e mediate- nell'organaria italiana del primo Novecento); in effetti, pur senza nulla togliere agli altri musicisti che lo precedettero e lo affiancarono (e che abbiamo trattato su queste pagine in precedenza), fu soprattutto grazie alla sua opera che da una parte si superò l'estetica tardo-ottocentesca per far evolvere la musica organistica e l'arte organaria italiana verso la modernità, una modernità che Bossi non introdusse solo nel linguaggio musicale (fortemente derivato -come abbiamo detto- dall'estetica postromantica orchestrale) ma, anche, in una concezione fonico timbrica nuova, che egli costruì durante gli anni soprattutto grazie alle sue tournées in tutto il Mondo, dove aveva modo di apprezzare non solo le timbriche di registri nuovi, ma altresì nuovissime e rivoluzionarie tecniche costruttive, tutti fattori che egli portava con se in Italia e che, in stretta collaborazione con l'altro "grande" Bossi organaro, Carlo Vegezzi, fece introdurre nei nuovi strumenti che quest'ultimo costruiva, dando così inizio ad una "vera" nuova epoca per l'organo italiano, che da allora non sarebbe mai più stato lo stesso. Se consideriamo Marco Enrico Bossi sotto questa duplice luce, non possiamo fare a meno di apprezzarne ancora più profondamente non solo la evidente statura musicale ma, anche, la personalità fortemente e radicalmente innovativa, senza la quale in Italia non avremmo avuto nè la musica, nè gli organisti nè gli organi di oggi.
Sandro Carnelos ha ben presente in questa incisione (così come nella precedente) questa visione totalizzante della figura di Bossi e, da buon filologo musicale qual'è, la applica con rigorosità ed attenzione alle sue interpretazioni, che ci offrono un angolo di visuale molto accurato su questa musica, andandone a cogliere alcune sfumature che talora sfuggono ad altri interpreti. Per fare questo egli si avvale della sua stupenda tecnica organistica, in cui la precisione e l'accuratezza sono parte fondante, su cui innesta alcune caratteristiche interpretative -proprie del primo Novecento italiano- che caratterizzavano gli organisti dell'epoca, i quali, pur non perdendo mai di vista l'essenza "liturgica" dell'organo, vestivano sempre più spesso e volentieri i panni del concertista virtuoso. Sotto questo punto di vista, a differenza di altri (Bottazzo, Tebaldini, Ravanello...), Marco Enrico Bossi è stato la figura che più ha esaltato l'aspetto "concertistico" dell'organo, ma questa considerazione, passata grazie alla sua enorme popolarità acquisita sulle tribune degli organi più prestigiosi del Mondo, non gli rende piena giustizia. Le sue composizioni organistiche (ma non solo quelle) se da una parte non hanno come scopo il servizio "liturgico" (anche se egli operò come organista e Maestro di Cappella a Como per molti anni), dall'altra dimostrano una sincera ispirazione "religiosa", ispirazione che si disvela non solo in alcune delle sue più importanti composizioni organistiche (i "Momenti Francescani" ne sono la più alta testimonianza) ma anche in alcune opere diverse, come la cantata "Canticum Canticorum" Op. 120, i due Oratori ("Il Paradiso Perduto" Op. 125 e "Giovanna d'Arco" Op. 135) e diverse altre. Bossi non fu quindi, come alcuni critici erroneamente lo definiscono, uno dei fondatori od un esponente del movimento liturgico riformista; la sua opera e la sua carriera, piuttosto, lo definiscono, oltre che un profondo innovatore, soprattutto come uno dei primi -forse il primo in Italia- organisti "laici", quegli organisti -cioè- che considerano l'organo "oltre" alla sua valenza strettamente liturgica, considerandolo uno strumento -letteralmente- "musicale" che può suscitare -come l'estetica musicale del tempo chiedeva- sentimenti, suggestioni ed emozioni anche al di fuori dell'ambito sacro o liturgico. E questo aspetto di Bossi lo troviamo confermato nel fatto che nel suo "Metodo per Organo", mentre le prime due parti (dedicate alla Storia dell'organo, alla tecnica esecutiva ed all'arte della registrazione) sono state scritte da lui, la terza (dedicata al Canto Gregoriano, alla polifonia ed al loro accompagnamento) è stata scritta da Tebaldini, lui sì vero riformatore.
L'organo che Sandro Carnelos utilizza in questo disco rappresenta un'evoluzione rispetto alla scelta del primo volume. Se allora avevamo potuto apprezzare i timbri ed i suoni di un bello strumento italiano "moderno", il Ruffatti 1961 del Duomo di Vittorio Veneto, qui l'organista si avvale delle foniche squisitamente "francesi" dello Zeni realizzato nel 2011 per la chiesa parrocchiale di San Carlo Borromeo di Ponte della Priula di Susegana. Come abbiamo detto in occasione della trattazione di questo strumento, il cui progetto fonico -lo ricordiamo qui- è dello stesso Sandro Carnelos, nonostante l'impostazione fonica, che richiama l'estetica timbrico-fonica dei grandi organi romantici francesi, è uno strumento assolutamente "moderno" e splendidamente adatto alla proposizione di queste musiche, che dalla sua tavolozza sonora (tre tastiere, 29 registri nominali pari a 33 reali) traggono una luce del tutto particolare, sottolineata anche e soprattutto dall'interpretazione precisa, accurata ed affettuosa dell'organista. Anche in questo caso, come in occasione della recensione del precedente disco di questa serie, personalmente avremmo preferito che la scelta dello strumento si fosse orientata verso uno dei tanti strumenti "coevi" dell'autore, uno di quegli organi pneumatici realizzati da Carlo Vegezzi-Bossi nei primi decenni del secolo scorso, molti dei quali sono stati recentemente restaurati e riportati all'originale splendore e che -a nostro parere- avrebbero dato a questa produzione un "tocco di classe" in più.
Ma è anche sotto il punto di vista squisitamente "tecnico" dell'incisione che in questo disco si sentono tutti i quasi vent'anni trascorsi dal primo disco e l'evoluzione radicale delle tecnologie digitali. La presa di suono, grazie anche ad un posizionamento accuratissimo dei microfoni, è precisissima e di grande presenza, sottolineando con fedeltà quasi maniacale le caratteristiche dei vari registri, le cui voci risultano estremamente "pulite" sia nelle parti solistiche che negli insieme, la cui brillantezza e poderosità svettano e "squillano" in un "ambiente" perfettamente calibrato che non solo nulla toglie alla nitidezza della registrazione ma, anzi, esalta la resa fonico-timbrica complessiva dello strumento. Il libretto a corredo è assai essenziale; vi troviamo una bella biografia di Bossi a firma di Sandro Carnelos, il curriculum dell'organista e le caratteristiche tecnico-foniche dell'organo, il tutto solo in lingua italiana, unitamente ad alcune fotografie a corredo dei testi; il progetto grafico è dello stesso Carnelos.
In conclusione, un disco molto bello, ottimamente realizzato e di grande interesse per tutti coloro che amano l'organo in generale e quello italiano in particolare. Lo consigliamo molto volentieri ai nostri amici lettori.



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