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Sonate per Organo di Mendelssohn




Felix Mendelssohn Bartholdy - Sonates pour Orgue Op. 65
Organista: Domenico Severin
Organo della Collegiale Saint-Thiébaud di Thann
Appassionato - AP.008.2015.04 - DDD - 2015

Dei tempi, ormai lontani, delle nostre frequentazioni in Conservatorio ricordiamo la croce e delizia di dover "capire" come si potessero eseguire le Sonate per organo di Mendelssohn. Gli insegnanti di allora, figli del Primo Novecento postromantico, le intendevano "romantiche" e, in effetti, Mendelssohn è stato un musicista romantico nel vero senso del termine. Una ventina di anni dopo, negli stessi Conservatori, i nuovi insegnanti nel frattempo subentrati intendevano queste sonate come una delle prime espressioni del neoclassicismo organistico europeo e, in effetti, le opere organistiche di Mendelssohn possiedono moltissime caratteristiche per essere definite tali. Oggi, trascorsi ulteriori vent'anni, pur rimanendo ancora presente questa dicotomia, gli organisti tendono a seguire due linee interpretative che, pur apparendo simili, in verità non lo sono affatto. La prima consiste in un tipo di interpretazione di impostazione squisitamente "classica" su cui innestare la visione d'insieme romantica che caratterizza tutte le altre musiche di questo compositore. La seconda consiste nell'andare a ricercare lo spirito essenzialmente romantico dell'autore innestandovi gli stilemi propri del classicismo, specificatamente quel contrappunto che Mendelssohn ebbe modo di conoscere ed apprezzare durante la riscoperta delle composizioni di Bach, delle quali fu il primo "riesumatore" dopo un periodo di oblìo durato quasi un secolo.
Per capire questo particolare approccio, bisogna tenere presenti alcune caratteristiche di Mendelssohn. La prima è che egli fu, fin da giovanissimo (era ancora un bambino), un valentissimo ed apprezzatissimo organista e, pertanto, conosceva molto bene la scuola organistica tedesca dei decenni passati, che non aveva mai abbandonato le solide basi del contrappunto. La seconda particolarità la troviamo nei suoi studi musicali, in cui potè conoscere, apprezzare ed assimilare la musica di Mozart e Beethoven, il classicismo preromantico di Clementi, i prodromi romantici del belcanto e molti dei migliori compositori "romantici" suoi contemporanei, tra i quali Berlioz, Meyerbeer, Rossini e Cherubini, che conobbe tutti personalmente. Una terza caratteristica la troviamo nei suoi viaggi (adesso le definiremmo tournées) attraverso diversi Paesi Europei (Francia, Italia, Inghilterra ed altri) dove, oltre ad esibirsi con grande successo come direttore d'orchestra, pianista ed organista, venne a contatto con le varie realtà musicali di quei Paesi. In definitiva, Mendelssohn fu figlio (musicale, ovviamente) di un'epoca di forte transizione, nella quale da una parte si stava facendo strada una nuova concezione stilistica che privilegiava l'espressione ed il "sentimento" della musica come capacità di esprimere ed indurre "emozioni" e dall'altra si subivano ancora le risultanze di un lungo periodo, durato alcuni secoli, le cui radici (in particolare quelle contrappuntistiche) erano ancora ben salde ed aspettavano di riprendere nuova linfa vitale. In tale situazione, a differenza del pianoforte e dell'orchestra, l'organo (e quello di Mendelssohn era l'organo tedesco) era lo strumento più naturalmente adatto per compenetrare tutte queste particolarità e Felix lo utilizzò per esprimerle tutte in modo magistrale, creando un tipo di musica che da una parte prende le mosse dalle forme più classiche (Preludi e Fughe e Sonate) e ne ripropone gli stilemi più affermati mentre dall'altra ben si presta ad un preciso e sapiente lavoro di "innesto" di tutte quelle caratteristiche, allora assolutamente nuove, che proietteranno entro pochi decenni la musica europea nel definitivo alveo del "Romanticismo". E' proprio questo sapiente lavoro di mélange tra vecchio e nuovo, tra antico e moderno che rappresenta il punto di rottura di queste composizioni e che, è bene ricordarlo, lo si trova espresso così pienamente solo nelle composizioni organistiche di questo autore e che -aspetto altrettanto importante- non si ritroverà più nelle composizioni per organo degli autori del periodo successivo. Nessuno dopo di lui, neppure Rheinberger (che di sonate organistiche se ne indendeva e che anch'egli utilizzò la medesima impostazione classico-romantica), riuscirà più a fondere in modo così magistrale il classico con il moderno. Sotto questo punto di vista le Sonate di Mendelssohn (ed anche i Preludi e Fughe) rappresentano un "unicum" musicale che vive di vita autonoma e che abbisogna da parte degli interpreti anche più scafati di un particolare approccio che riesca a risolverne pienamente l'apparente contraddizione.
In quasi cinquant'anni di frequentazioni organistiche abbiamo ascoltato le Sonate di Mendelssohn in tutte le più svariate salse (dalle esecuzioni scolasticamente corrette ed asettiche a quelle magniloquentemente postromantiche e sinfoniche, fino alle volate pindariche di alcuni "nuovi" interpreti che pretendevano di cavare conigli bianchi dal cilindro); solo molto raramente abbiamo potuto apprezzare interpretazioni nelle quali risultasse evidente lo sforzo da parte dell'organista di "capire" (e, soprattutto, di proporre sotto la giusta luce) l'essenza di questi brani, che personalmente riteniamo siano da annoverarsi tra i capolavori dell'organo.
L'interpretazione che Domenico Severin ci propone in quest'incisione va proprio in questo senso e personalmente riteniamo che l'approccio da lui tenuto con queste composizioni sia tra i più rispondenti all'esigenza di dare una risposta il più possibile organica alle problematiche di cui abbiamo parlato prima. Da una delle primissime integrali (e qui per integrali intendiamo l'incisione di tutte le opere di Mendelssohn per organo), quella famosa su vinile del 1976 di Marie-Claire Alain -che nostro parere è un capolavoro- fino ad una delle più recenti, quella di Giulio Piovani, esistono centinaia di incisioni parziali di questo repertorio ed ognuna di esse risulta caratterizzata da un lavoro di approfondimento musicologico che rispecchia il periodo in cui è stata effettuata. In queste Sonate proposteci da Severin troviamo forse qualcosa in più, un lavoro di sintesi che oltrepassa le sensibilità e le convenzioni del momento e che cerca di trovare un punto di giusto equilibrio. Egli è un organista che a monte delle sue interpretazioni pone sempre un intenso ed approfondito lavoro di analisi stilistica, musicale, storiografica e filologica, lavoro che gli permette di proporre un repertorio vastissimo ed oltremodo vario sempre nelle giuste ottiche e spesso anche riuscendo a coglierne sfumature inusuali. Ed è proprio grazie a queste sue particolari doti musicali che egli riesce a proporci una interpretazione veramente bella, sentita, accuratissima ed illuminante delle Sonate di Mendelssohn. Il contrappunto è rigoroso, serrato e splendidamente cesellato e va a formare la base formale di questi brani su cui Severin costruisce non solo le giuste atmosfere romantiche ma, anche, innesta diversi spunti di assoluta modernità, spunti già abbondantemente presenti, ad esempio, nelle interpretazioni di Finotti e della Mazzanti ma che Severin dosa molto sapientemente riuscendo a "dire la sua" in un repertorio che, per via delle ormai scontate definizioni di "facile" e "gradevole all'ascolto", viene spesso "tirato via" e poco approfondito.
Sul problema degli organi più adatti ad interpretare Mendelssohn sono ormai decenni che si dibatte. Ci sono in merito molte teorie, tutte con fondate basi. Si dice che, poichè queste Sonate furono scritte per gli editori Coventry & Hollier (e, molto probabilmente, dedicate all'organista britannico Thomas Attwood), il "meglio" possa essere un bell'organo inglese, dimenticando però che a quei tempi in Inghilterra gli strumenti erano di tipo germanico tardo-settecentesco (e nella stessa St.Paul Cathedral -ove era organista Attwood- c'era allora uno strumento realizzato dal tedesco -per alcuni era invece olandese- Bernhardt Schmidt). Altre teorie propendono per gli organi germanici, rimarcando il fatto che Mendelssohn era organisticamente nato e cresciuto in Germania ed era solito suonare molti dei migliori organi tedeschi barocchi (tra cui alcuni dei più rinomati Silbermann). Una terza teoria, partendo dal fatto che in queste musiche Mendelssohn (a differenza degli altri autori di quel periodo) non ha quasi inserito alcuna indicazione nè di dinamica nè di registrazione, propende per l'universalità dello strumento (in pratica, qualsiasi organo va bene per eseguire queste musiche). Domenico Severin bypassa queste perlessità scegliendo uno strumento che da una parte presenta robuste basi timbriche classiche e dall'altra una nutrita serie di registri squisitamente romantici. Si tratta del grandioso organo costruito da Rinckenbach nel 1888 per la Collegiale St.Thiebaut di Thann e completamente restaurato da Aubertin-Gaillard nel 1994. Con le sue quattro tastiere e 49 registri nominali, pari a 72 reali, pedaliera ed una tavolozza timbrica di tutto rispetto questo organo, dall'imponente ed impressionante "montre" neogotica, pare ritagliato apposta per rendere tutte le caratteristiche più eclatanti delle Sonate, di cui riesce a sottolineare in modo magistrale la rigorosità contrappuntistica, il romanticismo quasi affettuoso dei cantabili, la rutilanza dei tratti toccatistici e la solennità delle splendide armonie. E Domenico Severin lo utilizza nel migliore dei modi, aggiungendo così un ulteriore valore aggiunto a quest'interpretazione.
Sotto il punto di vista tecnico, l'incisione -effettuata nell'Aprile dello scorso anno 2015- è molto ben curata e riprende impeccabilmente i canoni che contraddistinguono le produzioni di questa casa discografica, di cui Severin è fondatore e direttore artistico. Molto apprezzabile è la presa di suono, che risulta molto precisa ed accuratissima, particolarmente attenta a sottolineare fin nei minimi particolari le varie voci solistiche dell'organo ma, anche, a presentarci gli insiemi (particolarmente robusti, brillanti e con eccezionale "presenza" dei formidabili registri ad ancia) in tutta la loro sfolgorante grandiosità e sempre in un "ambiente" accuratamente misurato per esaltare il suono nella giusta misura. Ottimo il lavoro di editing e postproduzione. Molto interessante il libretto a corredo, ricco anche di belle immagini ma -purtroppo- con testi solo in Francese.
In definitiva un disco molto bello, di sicuro interesse e molto gradevole all'ascolto. Lo consigliamo con grande piacere per la discoteca dei nostri amici lettori.



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