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Organ Recital




Organo Recital Voll. I e II
Organista: Maria Grazia Amoruso
Mainzer Kammerorchester
Organo portativo a canne (1965) costruito da Giorgio Questa
Devega - DD1135 e DD1136 - DDD - 2017

Abbiamo già parlato di Giorgio Questa e del "suo" organo, costruito interamente da lui e tutto in legno (trovate tutto QUI). Si trattava (e si tratta tuttora) di un organo "portatile", nel senso che si smonta in tante parti che il Mestro Questa trasportava (montandolo e smontandolo ogni volta) a bordo di un furgoncino attraverso massacranti itinerari per tutta l'Europa. Di questo, e di tanti altri aspetti della vita artistica (e non solo artistica) di Giorgio Questa parla un bel libro di Egidio Bonomi dal titolo "Organista a domicilio", di cui parleremo più ampiamente in una prossima trattazione.
Questa volta tratteremo, invece, due bei dischi editi da "Devega", che contengono una "summa" del repertorio che Giorgio Questa presentava nei suoi concerti interpretata da Maria Grazia Amoruso che, come molti sanno, è discepola artistica di Giorgio Questa e che da lui ha ricevuto anche in "eredità" lo strumento di cui abbiamo parlato sopra.
La Amoruso è, nei fondamenti, una brava pianista genovese che, dopo alcune lezioni ricevute da Questa, ne ha abbracciato la filologia interpretativa e che ha deciso di valorizzare l'organo "con la coda di scoiattolo" (così lo definiva un articolo per via della oda di scoiattolo che, sistemata al di sopra della canna più grande, veniva lasciata cadere sul malcapitato organista che avesse avuto l'ardire di "tirare" un registro dal nome quanto mai eloquente "Noli me tangere!").
I due dischi contengono una registrazione "live in concert" -effettuata nei primi mesi di quest'anno 2017- di quattro concerti di Haydn, rispettivamente il n. 1 in Do Maggiore, il n. 2, anch'ess in Do Maggiore, il n. 3 in Fa Maggiore ed il n. 4 in Do Maggiore, tutti tratti dall'Op. HbXVIII. A questi concerti si aggiungono tre estratti dai "Flötenhurstücke" (Un Andante e due Minuetti), quattro Corali per organo di Brahms ("Schmucke dich o liebe Seele", "O Gott du frommer Gott", Es ist ein Ros' entsprungen" e "O wie selig seid ihr doch ihr frommen"), un "Duo sur les Tierce" di Couperin, due brani di Cavazzoni, due di Merulo, la "Fantasia e fuga in La minore" BWV 561 attribuita a Bach e -molto significativi- cinque brani di Frescobaldi tratti dal Secondo Libro (la "Toccata Quinta sopra li pedali e senza", la "Canzon Prima", la "Toccata Quarta per la Levatione", la "Canzona Sesta" e la famosa "Toccata Nona" che reca come commento ell'autore "Non senza fatica si giunge al fine") che ci presentano qui nel senso più completo la filologia interpretativa che Giorgio Questa tramandava ai suoi allievi durante i corsi annuali che teneva a Fontainebleau, durante i quali il Maestro esigeva dagli allievi un impegno assoluto, che spesso portava a studiare lo stesso brano per tutta una giornata.
Il repertorio scelto dalla Amoruso è, per certi versi, "storico", in quanto ricalca i programmi da concerto che Giorgio Questa amava portare in giro per l'Europa, caricando la sua "Girobalda" (questo era il nome con cui aveva battezzato il suo furgoncino Fiat 750) non solo della parte "fisica" del suo strumento ma, anche, della parte musicale, una specie di filologia "ante litteram" che, per quei tempi (a parte Tagliavini -recentemente scomparso- e pochissimi altri), qui in Italia era ancora ben lungi dall'esplodere in tutta la sua dirompente novità (ed, in seguito, anche in esagerazioni decisamente fuori luogo). La filologia organistico-organaria di Questa rimandava direttamente alle origini dell'organo italiano, quello "classico", degli organi del Cinque-Seicento a trasmissione meccanica, nei quali egli ritrovava il suono "puro" dello strumento e la totale padronanza da parte dell'organista delle varie sfumature che il "tocco" poteva fornire con la diretta correlazione del movimento del dito con quello del ventilabro. Se il giovane Giorgio Questa aveva "scoperto" l'organo tramite Bach, è con la conoscenza di Frescobadi e degli altri autori italiani classici che divampa in lui l'amore per un determinato tipo di musica e per un tipo di strumento che, negli Anni Sessanta del secolo scorso, con l'allora imperante consuetudine della trazione elettrica, era pressochè dimenticato. Di fronte a questa situazione, Questa decide di costruirsi il "suo" organo, e lo realizza da solo, tutto a mano, dal 1962 al 1965, per poter dare senso compiuto alla sua arte senza dover scendere ad alcun compromesso di tipo strumentale. Sotto questo aspetto, la figura di Giorgio Questa si pone agli antipodi di quella del normale organista-concertista, che solitamente "adatta" il repertorio a seconda degli strumenti su cui si trova ad esibirsi; Questa, invece, non deroga dalla sua linea artistica: quello è il "suo" repertorio e quello è il "suo" organo. Prendere o lasciare.
Giorgio Questa è mancato nel 2010 e di lui non si parlava più da qualce decennio, nonostante egli abbia proseguito per un certo tempo la sua attività musicale, musicologica e di docenza. A questa specie di oblìo non è stata certamente estranea la sua personalità, amabile ma "dura", propria di chi non scende a compromessi, ed a diversi suoi atteggiamenti critici (talora feroci, seppur sempre elegantemente proposti) nei confronti sia degli organisti che degli organi "moderni". Sicuramente, questi atteggiamenti non gli hanno giovato; ma se da una parte il mondo organistico "ufficiale" lo ha tenuto a rispettosa distanza, dall'altra egli ha sempre conservato un rapporto quasi speciale con i suoi allievi, quelli che avevano attinto a piene mani dalla sua particolarissima visione musicologica e che, ancora oggi, ne ripropongono le caratteristiche più importanti e significative. Ed è sintomatico coonstatare come, di questi allievi, ben pochi derivino dalla scuola organistica ma, al contrario, siano molto spesso musicisti di altra estrazione come, nel caso dei dischi che recensiamo oggi, Maria Grazia Amoruso.
Maria Grazia Amoruso è una valente pianista genovese. Brillantemente diplomata al "Paganini" di quella città, perfezionatasi con Berman, Huizing, Yablonskaja, Malter, Naumov e Leister, può vantare un repertorio pianistico che spazia da Bach ai contemporanei, comprendendo Mozart, Ravel, Schubert, Schumann, Debussy, Fauré e tanti altri; per il repertorio organistico, che presenta sull'organo di Giorgio Questa, la Amoruso propone un ampio ventaglio di proposte per organo ed orchestra che va da Vivaldi ad Haendel e da Haydn a Mozart ed un interessantissimo repertorio per organo solo, tra cui -oltre a Frescobaldi- brani di classici italiani (Gabrieli, Merulo, Fogliano, ecc.) ed europei (De Cabezon, de Arauxo ed altri) con alcune composizioni di Bach e qualche incursione sul primo romanticismo (Schubert e Brahms), il tutto seguendo perfettamente la linea storico-musicologica di Giorgio Questa. Interprete di ottimo valore, Maria Grazia Amoruso ha effettuato diverse incisioni discografiche sia al pianoforte (con musiche di Debussy, Schubert, Beethoven e Brahms) che all'organo portativo (tra cui i due dischi oggetto di questa trattazione). E' anche Direttore Artistico del "Festival Internazionale di Musica Isola di Capraia" da lei istituito nel 2006.
Interpretativamente parlando, l'organista ci propone in questo disco -soprattutto per ciò che riguarda i brani per organo solo- una filologia che si discosta abbastanza decisamente da quelle che sono le attuali teorie. Se Giorgio Questa era stato, per vari aspetti, uno dei primi fautori del recupero delle antiche prassi esecutive, bisogna anche dire che da allora di acqua ne è passata molta sotto i ponti e la prassi esecutiva qui presentata da Maria Grazia Amoruso -pensiamo- è ancora quella del suo maestro. Lasciando da parte il Tagliavini, che merita un'attenzione particolare, sotto questo aspetto Ton Koopman ha sicuramente tracciato un solco profondo che ha diviso in due periodi ben precisi la storia dell'interpretazione della musica antica ed ha aperto il panorama organistico alla conoscenza di antichi manoscritti, alla riscoperta della antiche diteggiature, all'approfondimento delle diverse scuole nazionali circa l'esecuzione degli abbellimenti, all'approfondimento delle modalità di fraseggio e tante altre cose che hanno fatto si che le odierne interpretazioni "filologiche" delle antiche musiche italiane presentino diverse differenze con quelle che furono le interpretazioni di Giorgio Questa e che ritroviamo in questo disco della sua allieva. Maria Grazia Amoruso ci propone quindi un'interpretazione abbastanza "pura", nel senso che si mettono in luce non tanto le caratteristiche "filologiche", quanto il "contenuto" musicale dei brani. Abbiamo già sottolineato altre volte in queste pagine quanto, al giorno d'oggi, gli organisti diano molta più importanza ai dettagli singoli (peraltro proponendoli in modo filologicamente perfetto) per tralasciare, spesso anche inconsapevolmente, il messaggio musicale o la costruzione delle varie composizioni. Nei brani di questi dischi, e grazie anche ai tempi relativamente lenti utilizzati, l'interprete unisce ad una precisione tecnico-esecutiva di grande spessore, una lettura molto approfondita delle partiture, andandone ad evidenziare (e questo riguarda in special modo la musica di Frescobaldi) gli aspetti formali e contrapppuntistici che le caratterizzano (e qui si vedono e si sentono i risultati delle intere giornate di studio che Giorgio Questa imponeva ai suoi allievi). Gli ascoltatori -ed i critici musicali, noi compresi- sono oggi assuefatti alle interpretazioni filologiche e, sicuramente, il primo ascolto dei brani di questi dischi è leggermente spiazzante; dopo un paio di "ripassi", però, ecco che, soprattutto per noi, che ci occupiamo di musica organistica da circa quarantacinque anni, ritornano in mente gli anni in cui alcuni "protofilologi", in un'epoca in cui lo "standard" organistico e concertistico vedeva in prima pagina organi enormi, elettrici e -come si diceva allora- "eclettici", faticosamente e privi dei riferimenti documentali che sarebbero stati recuperati almeno a partire dal decennio successivo, ponevano le basi della rinascita della musica antica italiana e dei suoi strumenti. Ecco, Giorgio Questa è stato uno di costoro ed il suo merito più grande, a nostro parere, è stato il lavoro continuo ed incessante che ha svolto per insegnare le sue idee ai suoi allievi e, in particolare, per costruire, realizzare e tramandare fino a noi il suo organo.
Dobbiamo dire che in questi dischi la Amoruso si rivela una degnissima erede di Questa, sia nei brani solistici che, soprattutto, nei brani concertati in cui, come "all'antica", riveste le parti di solista e direttore, con una chiarissima visione delle partiture ed un'accurata analisi formale ed interpretativa che le derivano dagli anni di studio con Giorgio Questa che, uniti al background musicale derivantele dall'esperienza pianistica e concertistica a livello internazionale, le consentono di offrire un'immagine di pianista-organista di notevole spessore artistico.
L'organo di Giorgio Questa è, semplicemente, uno strumento "italiano" realizzato nel Novecento ma che racchiude in se tutte le caratteristiche fonico-tibriche degli organi rinascimentali e classici della nostra penisola. La sua caratteristica principale (oltre, ovviamente, ad essere stato costruito tutto a mano -pezzo per pezzo- dal Maestro) è che TUTTE le canne sono in legno (Pino di Svezia e Castagno Francese) e questa scelta ha due motivazioni. La prima è la ricerca di un suono il più possibile "naturale" (oggi lo potremmo definire quasi un suono "bio") mentre la seconda motivazione è la necessità di dover "accordare" in modo relativamente agevole l'organo prima di ogni concerto (teniamo presente che ogni volta che lo si utilizza, questo organo abbisogna di un paio d'ore per il montaggio e di altre quattro per l'accordatura...). Tecnicamente parlando, esso ha una tastiera di quattro ottave (come gli organi classici) ed una pedaliera retta costantemente collegata alla tastiera. I registri sono dieci (Principale, Ottava, Quintadecima, Decimanona, Vigesimaseconda, Cornetta (le cui canne sono intercambiabili con un Fiffaro-Voce Umana), Flauto in Ottava, Flauto in Duodecima, Vigesimasesta e Vigesimanona) più un accessorio classico come gli Uccelli (qui denominati "Passero e Passera") e, ovviamente, la coda di scoiattolo del "Noli me tangere". Il suono, grazie agli accorgimenti adottati da Questa per la manticeria (bassa pressione e sempre "en plein air") ed il somiere, è chiaro, aperto, sincero e, soprattutto, presenta quella brillantezza timbrica propria degli organi classici italiani che ormai si ritrova assai raramente anche negli strumenti abilmente recuperati e restaurati ma che non è assolutamente paragonabile alla brillantezza ddel suono delle canne di metallo; quest'organo "suona davvero italiano", e questo -secondo noi- è il suo più grande pregio.
Un paio di considerazioni sulla presa del suono, effettuata "live in concert" negli scorsi mesi di Gennaio e Febbraio 2017. Essendo riprese "live", ovviamente, non si può pretendere la perfezione e, in effetti -come d'altra parte in tutte le incisioni dal vivo- abbastanza presenti sono i rumori di fondo e di sala, soprattutto nei concerti, mentre più controllati si rivelano nei brani solistici (probabilmente incisi in assenza di pubblico). La presa di suono, realizzata da Franco Ghisalberti, è molto buona, chiara e precisa soprattutto per ciò che riguarda le voci dell'organo, sempre ben delineate ed ottimamente evidenziate; un poco meno precisa per le parti orchestrali, che comunque mantengono una buona presenza. Buono il lavoro di postproduzione mentre la presentazione in cofanetti singoli (uno per disco) avrebbe meritato -a nostro modesto parere- almeno un piccolo libretto con testi ed illustrazioni a corredo, di cui si sente la mancanza.
In definitiva: si tratta di una bella, ben riuscita ed ottimamente realizzata iniziativa editoriale che esula dai canoni "standard" della discografia organistica attuale e che consigliamo con piacere ai nostri lettori, che vi troveranno innumerevoli motivi di grande interesse e che susciterà certamente in loro la curiosità di approfondire la figura di Giorgio Questa e del suo "Organo con la coda di scoiattolo".



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