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Gershwin ed altre musiche per organo




Rhapsody in Blue on the Organ
Organista: Ivan Ronda
Organo chiesa di S.Tommaso Apostolo di Pontevico
Fugatto Records - FUG067 - DDD - 2017

Il titolo accattivante di questo disco è il pretesto per l'organista di proporre un repertorio che non solo presenta il capolavoro di Gershwin in un brillante "adattamento" per l'organo che chiude il CD ma, anche, riguarda tre grandi nomi della letteratura organistica europea a cavallo tra Ottocento e Novecento, Max Reger (di cui Ronda ci presenta il "Te Deum" Op. 59/12 e la "Fantasia e Fuga su B.A.C.H." Op. 46), Julius Reubke (di cui possiamo ascoltare l'opera omnia organistica, cioè il "Trio in Mib Maggiore" e la "Sonata sul Salmo 94") e Flor Peeters con la sua "Suite Modale" Op. 43. Il tutto introdotto da un altro geniale "arrangiamento", sempre opera dell'interprete, dell' Ouverture all' "Occasional Oratorio" di Hændel.
Come si vede, il repertorio è "tosto" e quanto mai significativo, prescindendo da Hændel, di un periodo assai significativo della musica organistica, che parte dalla metà del XIX secolo per arrivare fino alla metà del secolo successivo; in pratica un secolo di organo in cui è incastonata la figura del musicista più rappresentativo del "Nuovo Mondo", quasi a farci assaporare pienamente le differenze stilistiche e musicali che caratterizzavano una musica europea che evolveva nella tradizione verso nuovi orizzonti ed una musica "americana" che si affrancava dalle origini per evolversi non più nella tradizione, bensì arricchendosi di linguaggi nuovi portati da altri popoli che nei decenni seguenti le avrebbero dato, oltre alla nascita ed evoluzione del jazz, le caratteristiche che tuttora mantiene e sviluppa in una miriade di linguaggi e stili che quasi ne "fotografano" la varietà di ispirazione e la spiccata multiculturalità.
Abbiamo detto che il disco si apre con un bell'arrangiamento dell'Ouverture all'Occasional Oratorio di Hændel. L'Oratorio fu "composto" in brevissimo tempo (circa un mese) nei primi mesi del 1746 e fu presentato in prima esecuzione al Covent Garden di Londra il 14 Febbraio con un cast di solisti "internazionale" (le due soprano erano, rispettivamente, francese ed italiana, il tenore era inglese ed il basso di origini germaniche) con un grandissimo successo. Abbiamo messo tra virgolette la parola "composto", poichè Hændel lo "assemblò", come era molto in voga nell'Inghilterra musicale di quel periodo secondo una prassi inaugurata dallo stesso Hændel, "mettendo insieme" diversi brani di altre opere. Nello specifico, le varie parti dell'Oratorio furono realizzate "recuperando" parti dal "Sansone", dal "Judas Maccabæus", dall' "Athalia", dal "Comus", dall' "Israel in Egypt", da "Zadok the Priest", dal "Concerto di Natale" di Corelli, dalla "Birthday Ode for Queen Anne" nonchè utilizzando il tema del corale luterano "Ein feste Burg ist unser Gott". In particolare, l'Ouverture trae due movimenti (Grave e Fuga) dall'Oratorio "Deborah" mentre il tema dell'Allegro è di Telemann (Musique de Table). Dobbiamo sottolineare, a proposito di questa "tecnica" compositiva, che se a quei tempi fossero esistiti i diritti d'autore il nostro Hændel avrebbe probabilmente finito i suoi giorni sotto uno dei tanti ponti del Tamigi.
Di Max Reger abbiamo parlato, riparlato e forse anche straparlato in tante occasioni su queste pagine, a partire da una trattazione monografica, che trovate QUI, fino alla recente recensione di un bel disco a lui dedicato da Adriano Falcioni, che trovate QUI e dalla quale riportiamo quanto detto a proposito della Fantasia e Fuga su B.A.C.H.: "La "Fantasia e Fuga su B.A.C.H. Op. 46" fu composta nel 1900 e pare che Reger abbia impiegato solamente quattro giorni per scriverla. Si tratta di un omaggio che l'autore rivolge alla musica del Kantor di Lipsia, musica su cui si era formato, su cui aveva già lavorato ampiamente (effettuando trascrizioni sia per organo che per pianoforte) e che, soprattutto, rappresentava per quei tempi il concetto stesso di "germanicità musicale", che non era allora ancora intesa con un concetto di superiorità, bensì come una definizione di "genere" autonomo, svincolato dalle influenze dell'estetica francese allora dominante in Europa e rispettoso e fiero delle sue origini. Se pensiamo alle dimensioni ed alle caratteristiche formali, contrappuntistiche e musicali di questo brano e teniamo conto del fatto che Reger lo scrisse in quattro giorni, ci appare ben chiara, al di là di ogni altra considerazione musicologica, la personalità dell'autore. Sicuramente, questo brano -che è forse uno dei più conosciuti ed eseguiti di Reger, rappresenta (anche se molto spesso lo si considera solamente un "pezzo di alto virtuosismo organistico") in modo completo tutti gli aspetti di questo compositore.". Il "Te Deum" è invece l'ultimo brano della raccolta Op. 59, il cui secondo libro contiene altri brani "liturgici" (Kyrie Eleison, Gloria in Excelsis ed il famosissimo Benedictus) dei quali questo pezzo è la chiusura. Impostato su di un andamento vivace, dopo un'esposizione del motivo gregoriano, grandi accordi introducono una sezione in cui il tema, dapprima presentato dal pedale, dopo poche battute si trasferisce in fortissimo al manuale. Dopo una sezione in mezzo-forte, che si va a spegnere in un pianissimo al Recitativo, appare lo "stretto" finale, a cinque voci, che sfocia nelle battute finali, caratterizzate da grandi accordi in fortissimo sgranati al manuale mentre il pedale articola un'ardita figurazione in quartine e doppio pedale nelle ultime due battute. Come abbiamo già avuto modo di dire anche sopra, anche questo brano, che solitamente si definisce "minore" della produzione regeriana, rappresenta -nel suo piccolo- un'eccellente raffigurazione della personalità musicale di Reger che trova qui, come in tanti altri brani minori, una specie di "riassunto" stilistico da cui emergono tutte le sue molteplici sfaccettature.
Julius Reubke, che fu anche allievo prediletto di Liszt, è una figura particolare nel panorama musicale del suo tempo. Musicista solidissimo e di straordinaria magniloquenza "romantica", morì all'età di soli ventiquattro anni e se pensiamo che nella sua brevissima vita artistica diede alla luce tre pregevolissime opere per pianoforte (tra cui, famosa, la Sonata in Sib minore) e la monumentale (a seconda delle interpretazioni, la sua durata può variare dai venticinque minuti alla mezz'ora) "Fantasia sul Salmo 94" per organo, si può facilmente immaginare quale sarebbe stato lo spessore e l'importanza musicale di questo autore se la vita non fosse stata così avara nei suoi confronti. Di carattere ampiamente romantico (anzi, oseremmo dire, lisztiano, poichè in questa composizione sono ben presenti gli echi delle grandi opere organistiche del suo maestro), questa Sonata rappresenta -e rappresenterà sempre- un ideale organistico che trae le sue origini da un romanticismo "spinto", magniloquente ed appassionato e che vira già in molti suoi aspetti verso i prodromi del postromanticismo, poi ampiamente rappresentati dal re delle Sonate organistiche, Rheinberger, e del successivo sinfonismo organistico di ampio respiro e di grandi orizzonti.
Anche di Flor Peeters abbiamo già ampiamente parlato ed anche a lui abbiamo dedicato una pagina monografica, che trovate QUI. La "Suite Modale" è uno dei suoi brani più conosciuti e suonati, poichè ne rappresenta molto bene la personalità. Scritta nel 1938, quando ancora Peeters traeva ampi riferimenti per la sua musica dal sinfonismo organistico, quest'opera, per diverse caratteristiche, già vede le aperture alla modernità che Peeters esplicherà poi, e ben compiutamente, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, a partire dagli Anni Cinquanta del secolo scorso. Questo brano, concepito su di un'impostazione formale squisitamente "romantica" (ampi riferimenti di impostazione dei vari movimenti riportano direttamente alla Suite Gothique di Boellmann), vi innesta una costruzione tematica che prende le mosse dalla musica modale, in particolare dai modi gregoriani. Articolata su quattro movimenti, questa suite vede un primo movimento "Koraal" in cui il tema, armonizzato in grandi accordi, è alternato tra il fortissimo del Grande Organo con pedale ed il Recitativo in "piano" senza pedale. Il secondo movimento, "Scherzo", di andamento brillante ("Allegro") e leggero, presenta una formulazione A-B-C-A-B-A dove dapprima il tema si svolge su di una registrazione "neoclassica" composta da Flauto 8, Nazardo e Terza con un accompagnamento di Flauti nelle tessiture di 8 e 4 e pedale di 16 e 8; una sezione più "respirata" ("Poco Mosso") ci presenta un bellissimo tema scandito al Recitativo con uno Schalmey (oppure Oboe) di 8 piedi che conduce, introdotto da un paio di battute preparatorie di pedale solo, ad un episodio leggermente più mosso sviluppato sempre al Recitativo sui registri di Voce Celeste e Gamba; segue una ripresa delle prime due sezioni ed una conclusione finale in cui un frammento della prima sezione funge da "coda". L'"Adagio" seguente è formulato su di un accompagnamento tipicamente "classico", scandito da Corno di Camoscio 8 e Flauto 4, su cui si dipana un tema di carattere quasi melanconico cantato dal Cromorno; una ripresa di nove battute, con il tema questa volta suonato da Flauto 8 e Nazardo e accompagnato dal solo Corno di Camoscio, conclude il movimento per condurci alla "Toccata" conclusiva, che è articolata su tre sezioni. La prima (tutto l'organo e unioni) vede una virtuosistica figurazione in quartine a mani alternate sulla quale il pedale sviluppa un tema dal vago sapore di fanfara; la seconda sezione, più complessa (con quattro cambi di tonalità) vede una specie di moto perpetuo come accompagnamento in pianissimo mentre il tema viene sviluppato in canone all'ottava tra Grande Organo e Pedale; la sezione finale riprende la prima ma l'accompagnamento è questa volta in sestine che sfociano nelle cinque battute finali in grandi accordi.
George Gershwin (vero nome originale: Jacob Gershovitz) è considerato da tutti l'iniziatore della musica "americana" e da tempo ormai è annoverato tra i compositori "classici" e questo, per un quasi totale autodidatta, è una gran bella soddisfazione. Si dedicò alla musica, specificatamente al pianoforte, all'età di dieci anni e portò avanti i suoi studi musicali in modo disordinato, incongruo e -soprattutto- privo di una guida "ragionata". Se da una parte questo lo mise in posizione di debolezza rispetto agli autori europei che egli amava (Debussy e Ravel in particolare) ed ai quali cercava di ispirarsi, molti critici sostengono che questa debolezza formale gli consentì di assimilare senza pregiudizi le musiche che erano allora di moda negli Stati Uniti, che egli cercava di riprodurre al pianoforte e che gli diedero una grande fonte di ispirazione. Questo gli riuscì così bene che diventò ben presto un rinomato autore di "songs", cioè di canzoni, ed all'età di soli diciott'anni lo troviamo già come compositore ufficiale per il teatro di Broadway. In questo ambiente, Gershwin fu ben presto ampiamente apprezzato e fu così che nel 1924 gli fu chiesto di scrivere un'opera sullo stile di quello che allora era chiamato "jazz sinfonico" e che prevedeva l'utilizzo di uno strumento solista (pianoforte) con l'orchestra. Nacque così la "Rapsodia in Blue", composta in pochissimo tempo (circa tre settimane) e che fu rappresentata nel Febbraio 1924 con enorme successo. Da quel momento George divenne la star musicale americana per eccellenza ed i suoi successi si susseguirono incessanti ed i titoli delle sue opere (o, meglio, dei suoi "musicals") li conosciamo tutti: Porgy and Bess, Tip Toes, Oh Kay!, Girl Crazy e, ovviamente, Un Americano a Parigi, scritta -appunto- a Parigi durante il suo soggiorno europeo del 1928. A questo proposito, è interessante notare che Gershwin, una volta arrivato in Francia, chiese ripetutamente a Maurice Ravel (che, lo ricordiamo, era uno dei musicisti da lui più amati) la possibilità di ricevere da lui lezioni per approfondire la tecnica compositiva ma Ravel non glielo concesse. Su questa vicenda le opinioni sono discordanti; alcuni dicono -confortati dalla corrispondenza tra i due musicisti- che Ravel considerava Gershwin già un ottimo compositore a cui non era necessario dare lezioni mentre altri pensano, citando la stessa corrispondenza ("Perchè volete diventare un Ravel di seconda mano, quando siete già un Gershwin di prim'ordine?") che per Maurice la musica di George non fosse altro che una cosa ben distante -e ben meno seria- dai canoni della musica classica europea. A prescindere da questa vicenda, sta di fatto che Gershwin rimase fino alla morte (avvenuta nel 1937 per un tumore cerebrale) una figura musicale di fondamentale importanza per l'evoluzione della musica "classica" americana verso quegli orizzonti di novità che la caratterizzano tuttora. Ovviamente Gershwin con l'organo non ebbe mai la seppur minima frequentazione. I suoi interessi, in effetti, erano ben distanti da questo aspetto della musica a lui praticamente estraneo; sta di fatto, però, che la sua opera musicale influenzò ampiamente nei decenni seguenti - ed anche tutt'oggi- moltissimi compositori ed organisti statunitensi (William Bolcom, con i suoi "Gospel Preludes" per organo e le sue tante composizioni che coniugano classicismo ed innovazione ne è forse l'esempio più recente).
Ivan Ronda, in quest'incisione, "prende per le corna" l'opera più famosa di Gershwin, la "Rhapsody in Blue", e la trasporta sull'organo con una sua interessante versione che risponde assai bene alle caratteristiche stilistiche originali. Certo, molte delle peculiarità della versione orchestrale vengono perdute o poco evidenziate se eseguite su di un organo "classico" da chiesa ma dobbiamo dire con tutta sincerità che questa versione ci soddisfa ampiamente e, a tratti, anche più di certe versioni che abbiamo potuto apprezzare da eminenti organisti "da teatro" su prestigiosi Wurlitzer da concerto dotati di pianoforti, percussioni e quant'altro (due su tutte: quella "storica" del 1930 di Jesse Crawford al Wurlitzer del Paramount Theater di New York e quella di Lew Williams (1997) sul Wurlitzer dell' "Organ Stop Pizza" di Mesa, in Arizona). Ivan Ronda, con questa sua iniziativa, si è sicuramente preso un azzardo ma, altrettanto sicuramente, ha vinto la partita, presentandoci una versione bella, accurata, precisa e molto sentita di questo capolavoro.
Di Ivan Ronda abbiamo già parlato diverse volte su queste pagine in occasione di precedenti recensioni di sue performances ed abbiamo sempre espresso apprezzamento per le sue interpretazioni, che godono sempre di un'attenta lettura di tutte le caratteristiche storiche, musicologiche e stilistiche che le accompagnano. Oltre a tutto questo, inoltre, Ronda sa calibrare assai misuratamente la sua espressività, modellandola in modo molto adeguato alle varie epoche, agli stili ed alle contingenze storiografiche del repertorio, il tutto sulla base di un'ottima tecnica strumentale ed una profonda conoscenza dello strumento. In quest'incisione, inoltre, egli da prova di saper "adattare" molto bene opere pensate per una realtà sinfonico-orchestrale ad uno strumento complesso ma assai distante quale è l'organo. Il tutto a suo grande merito.
Lo strumento scelto per l'incisione (il prestigioso Mascioni 2009 della chiesa parrocchiale di Pontevico, con tre tastiere, pedaliera, 43 registri nominali -53 reali- e trasmissione mista) è particolarmente adatto al repertorio scelto, così come la sua disposizione fonica lo rende assai "flessibile" e, grazie anche ad un Positivo che ricalca le caratteristiche degli organi italiani classici, adatto all'esecuzione di un repertorio molto vasto e variegato.
La registrazione è stata effettuata nello scorso mese di Gennaio 2017 ed ha visto alla consolle Federico Savio, uno dei migliori tecnici del suono attualmente operanti in ambito europeo, che in questo caso si è occupato anche di tutte le operazioni di postproduzione nonchè dell'impostazione ed elaborazione grafica del libretto a corredo, molto esauriente (i testi sono di Ronda) seppur snello e di agevole lettura in doppia lingua (italiano ed inglese). Il tutto per un risultato a nostro parere ottimo sotto tutti i punti di vista. E' un disco che ci ha molto interessato, che abbiamo gradito in modo particolare e che consigliamo molto volentieri ai nostri amici lettori.



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