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Organo della Cattedrale di Uppsala




Grandes Orgues Ruffatti de la Cathédrale d'Uppsala
Organista: Domenico Severin
Organo Cattedrale di Uppsala
Syrius - SYR 141479 - DDD - 2017

La cattedrale di Uppsala, in Svezia, è uno dei monumenti religiosi più famosi ed apprezzati e tra le sue particolarità ha anche quella di essere fornita di quattro organi. Essi sono, rispettivamente, un Positivo con una tastiera e quattro registri (costruito da Gustavsson nel 1981), un organo corale, con due tastiere e quindici registri (costruito da Marcussen nel 1950), un organo "principale" posto in tribuna al di sopra del portale di ingresso con tre tastiere e cinquanta registri -61 reali- (costruito da Akerman nel 1871) ed, infine, un recente strumento, realizzato da Ruffatti nel 2009, con quattro tastiere e sessantaquattro registri (83 reali). Inutile dire che dalla sua costruzione quest'ultimo strumento ha guadagnato pari dignità artistica con lo storico Akerman e, anzi, lo ha anche superato poichè, essendo sistemato nel transetto di sinistra e vicino al coro, risulta molto più aderente e rispondente alle esigenze liturgiche attuali.
Esistono già alcune incisioni discografiche, effettuate sia alla consolle del "vecchio" Akerman che di questo nuovo organo, ma possiamo dire che Domenico Severin in questo bel disco, con un repertorio a dir poco "travolgente", fa "cantare" tutte le voci di questo maestoso (ed anche molto bello a vedersi) organo, di cui possiamo apprezzare tutte le sfumature e tutte le particolarità fonico-timbriche e che fin dalle prime note si dimostra un degno figlio di quella prestigiosa casa organaria italiana (ma, ormai da tempo, è famosissima anche a livello internazionale) che è la Fratelli Ruffatti.
Il sottotitolo -che non c'è- del disco, a nostro parere avrebbe benissimo potuto essere una cosa del tipo "Toccate varie ed eventuali" poichè in questa incisione -che conta tredici brani- ben otto di essi sono Toccate organistiche ed i restanti, pur recando titoli diversi, a parte uno -"Eventide"- di Frysinger, non si discostano poi molto da una magniloquenza propria del linguaggio toccatistico come, ad esempio, le "Litanies" di Jehan Alain che chiudono l'incisione.
Il disco si apre -ma guarda un po'- con la supergettonata ed ipernota "Toccata e Fuga in Re minore BWV 565" di Bach. Beh.. direte voi, nulla di speciale; l'abbiamo sentita, risentita e strasentita centinaia di volte... Ma Domenico Severin ci riserva subito una sorpresa. Non si tratta di un'interpretazione "normale" (se per normale intendiamo secondo i canoni estetici e filologici oggi comunemente applicati) ma, oseremmo dire, "rivisitata" secondo un punto di vista doppiamente nuovo. Doppiamente perchè se l'interprete non deroga di un millimetro dalla rigorosità della partitura e dalle caratteristiche intrinseche dell'opera, da una parte ci propone una visione decostruttiva e ricostruttiva dei vari episodi di questo brano in una chiave di lettura che riprende alcuni fondamentali cari all'Harald Vogel "prima maniera". A questo proposito, a suo tempo, avevamo frequentato uno dei corsi di Vogel sulla musica di Buxtehude ed eravamo rimasti affascinati da come egli "smontasse" le varie parti delle composizioni di questo autore e ne estraesse uno spirito che potrebbe benissimo essere definito "protoromantico", con tutte le implicazioni che questo termine comporta. Questa, a nostro parere, è la prima "chiave di lettura" che troviamo nell'interpretazione di Severin. La seconda, sempre a nostro parere, è che quest'opera di decostruzione e ricostruzione porge all'organista molte possibilità di "esplicare" in modo oltremodo efficace alcune caratteristiche timbriche di questo strumento, cosa che in una corretta (ma per noi assai banale) interpretazione "in organo pleno" non sarebbe assolutamente possibile. Certo, per alcuni iperfilologi dell'ultima ora un tale tipo di visione potrebbe essere considerata una specie di "bestemmia" ma, sinceramente, a noi non dispiace affatto -ogni tanto- scoprire che si può dire qualcosa di "relativamente" nuovo anche suonando un pezzo "risaputo"; rimane il fatto che, ovviamente, per poter dire qualcosa di nuovo bisogna anche cercarlo questo "nuovo", e Domenico Severin dimostra che non solo lo ha cercato ma, anche, trovato.
Il secondo brano è estratto dalla raccolta di composizioni per armonium Op.101 (della quale è il quinto) di Sigfrid Karg-Elert, un autore abbastanza fuori dalle convenzioni stilistiche della sua epoca ed a cui abbiamo dedicato una pagina su questo sito (che trovate QUI). Il titolo originale della raccolta è "Portraits, 33 Stilstudien von Palestrina bis Schönberg" ed i brani in essa contenuti furono composti durante dieci anni, dal 1913 al 1923. La caratteristica di queste composizioni è che esse sono state scritte "nello stile di..." e recano sottotitoli che vanno da "Alla Mozart" a "Alla Berlioz", passando così in rassegna, con Orlando di Lasso, Bach, Beethoven, Weber, Palestrina, Liszt, Bruckner, Sinding, Wagner e molti altri, più di trecento anni di storia della musica. Il pezzo qui propostoci da Severin reca come titolo "Ein Siegesgesang Israels" e, come sottotitolo, "Alla Händel". Come abbiamo detto, questo brano fu composto per armonium (specificatamente, per quello che a quei tempi era denominato "armonium d'arte", che aveva possibilità fonico-timbriche di tutto rispetto e che poteva essere considerato, a tutti gli effetti, come un vero e proprio "organo da casa") e la registrazione prevista dall'autore era "Grand Choeur à tous les claviers" con alternanze in eco tra fortissino e forte nella prima e terza parte mentre il dialogo si svolge tra forte e mezzoforte nella parte centrale; ovviamente, il pedale non era obbligato e Karg-Elert lo indica in partitura come "ad libitum". Si tratta di un brano dall'andamento solenne ed ispirato -a nostro parere- più dalle "Imperial March" britanniche ottocentesche piuttosto che dalle opere di Haendel, ampi echi delle quali si trovano piuttosto nella parte centrale della composizione. Di questo brano, molto bello e "d'effetto", esistono anche diverse trascrizioni tra cui -molto apprezzata soprattutto negli Stati Uniti- una per organo e quintetto di ottoni (due Trombe, Corno, Trombone e Tuba) che ne esalta le caratteristiche di grandiosità. Domenico Severin ne propone qui una versione molto ben curata ed accattivante (rigorosamente "originale", priva delle quattro battute "aggiunte" successivamente da alcuni revisori nell'ultima parte), utilizzando ampiamente le splendide ancie di questo organo e regalandoci tre minuti e mezzo -tanto dura questo brano- di pura emozione.
Segue poi un "trittico" di conosciutissime toccate francesi: quella di Gigout (quarto brano dei "Dix Pièces" del 1890), quella di Dubois (terzo brano dai "Douze Pièces" del 1889) e quella più recente di Vierne, tratta dal secondo libro (Op. 53) dei "Pièces de Fantaisie". Di questi brani, molto conosciuti e famosi, c'è poco da dire; l'unica impressione che possiamo codividere con i nostri lettori è che ascoltare questi tre sfavillanti brani di assoluto virtuosismo uno di seguito all'altro è un vero piacere.
Segue poi un brano, a nostro parere molto bello, di un autore contemporaneo, quel Grimoaldo Macchia pianista, organista, arrangiatore, direttore d'orchestra e compositore di cui abbiamo già recensito le musiche QUI e QUI e del quale Severin ci propone un brano composto in onore di Massimo Nosetti, uno dei nostri maggiori organisti -nonchè amico- purtroppo prematuramente scomparso, il "Cathedral Tuba Tune", composizione ispirata dall'estetica religiosa anglicana statunitense e che affida alle splendide Tube di questo strumento una melodia di grande espressività. Questo brano è stato inserito da Domenico Severin non solo per la sua bellezza musicale ma, anche e soprattutto, per ricordare Nosetti, la sua vicinanza personale ed artistica, la sua predilezione per gli strumenti di questo tipo e, non ultimi, i suoi legami professionali con i Fratelli Ruffatti.
Percy Eastman Fletcher è stato un musicista e compositore inglese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento che lavorò precipuamente per alcuni teatri londinesi, componendo musiche per orchestra, per coro, ballate e -anche- musica per organo e per utilizzo liturgico. Le sue composizioni per solo organo non sono molte e tra di esse sono conosciuti soprattutto due brani, la "Fountain Reverie" e, appunto, la "Festival Toccata", scritta nella forma tradizionale A-B-A, in cui sono presenti due temi, il primo espresso in accordi alternati alla maniera "francese" mentre il secondo, presentato quasi incidentalmente nella prima parte, viene poi ampiamente sviluppato nella parte centrale. La terza parte è la riproposizione -pari pari- della prima, corredata di una conclusione in grandi accordi molto grandiosa e magniloquente.
Nella letteratura "romantica" organistica italiana la Toccata non è un genere molto praticato "allo stato puro"; esistono tanti autori che hanno composto toccate (e tra di essi anche molti "riformisti") ma solitamente -soprattutto in quel periodo- le composizioni di quel tipo erano quasi sempre "celate" sotto titoli "liturgici" e raramente presentavano caratteristiche formali esclusivamente "toccatistiche". Uno dei brani che presenta chiaramente il titolo di toccata è la "Toccata di Concerto" di Marco Enrico Bossi il quale, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenza su queste pagine, non fu un "riformista", bensì -piuttosto- un innovatore e, al tempo stesso, incarnò forse l'unica figura di "organista concertista" che il nostro Paese ebbe in quegli anni del primo Novecento (anche Pietro Yon lo fu, ma il suo destino si sviluppò -per sua fortuna- dall'altra parte dell'Oceano Atlantico). Questa composizione, risalente al 1900 e pubblicata come quinto brano dell' Op. 118, è -come dice chiaramente il titolo- un pezzo da concerto in cui il virtuosismo è la caratteristica predominante ed in cui le complesse figurazioni sia del manuale che del pedale si susseguono in una successione di episodi (spesso tecnicamente molto impegnativi) che fanno di questo brano un ottimo esempio di come la musica organistica italiana di quel periodo nulla avesse da invidiare a quella dei coevi francesi e di come spesso -come in questo caso- le fosse anche superiore in fatto di ispirazione e di espressività.
La "Toccata" di Georgi Alexandrowitsch Muschel è un brano poco conosciuto, scritto da questo musicista russo, attivo per molti decenni in diversi campi della musica e deceduto all'età di ottant'anni nel 1989. Al suo attivo come compositore egli può vantare musiche di diversi generi, dalle composizioni vocali a quelle orchestrali, dalle musiche per balletto alle colonne sonore e, ovviamente per pianoforte ed altri strumenti tra i quali l'organo, per cui egli scrisse una decina di composizioni. Dall'apparenza semplice e dall'andamento gradevole e quasi "naif", questa toccata -che in partitura non prevede indicazioni di registrazione ma solamente un generico "forte"- viene siluppata da Severin dapprima sui timbri flautati per passare gradualmente fino al fortissimo finale in grandi accordi.
Il brano che segue è assai conosciuto negli Stati Uniti e fu composto nel 1914 da J.Frank Frysinger, un autore statunitense vissuto tra il 1878 ed il 1954, che compose diverse opere per organo di carattere anche liturgico (Canzona, Benediction Nuptiale, Chant Seraphique, Gethsemane, Toccata, ecc.) e che presenta le caratteristiche di un "cantabile" che potremmo definire "old school" per via delle sue caratteristiche formali e costruttive. Si tratta di "Eventide" (Vespro), un delicato pezzo redatto nella più classica forma A-B-A in cui troviamo un tema cantabile di grande espressività (l'autore prevede espressamente per questo tema l'utilizzo del registro di Saxofono) accompagnato da suggestive seste che viene poi ripreso nella sezione finale mentre la parte centrale è formata da due episodi nel secondo dei quali appare un bel tema sottolineato dal registro dei campanelli mentre l'accompagnamento si dipana dapprima tra i registri di Voce Umana (quella ad ancia) con tremolo e poi di Voce Celeste.
Di Andreas Willscher, compositore amburghese nostro coetaneo di eclettica cultura musicale e rinomato organista, abbiamo già recensito in passato un brano ("Preludio, Corale e Variazioni su Greensleaves") interpretato da Marco Lo Muscio all'organo della chiesa di S.Bernardo di Baden-Baden. Questo musicista, che vanta una invidiabile produzione musicale di tutti i generi ma, in particolare, per l'organo (tra cui dodici sinfonie ed un imponente numero di composizioni sia liturgiche che da concerto), rappresenta un mirabile esempio di quella che in altri ambiti si chiamerebbe "fusion", cioè l'intreccio di tecniche compositive e formali proprie di altri generi musicali (jazz e rock in particolare) su canovacci di ispirazione molto aperta su cui l'autore può lavorare in modo molto libero a fortemente creativo. Il brano presentato in questo disco come"My Beethoven Rag" -il titolo originale è "Mein Beethoven (Concert Rag)"- si appropria degli stilemi propri del Ragtime statunitense del Primo Novecento per "rivisitare" alcuni dei temi più noti del compositore di Bonn in una chiave musicale che fa dell'umorismo e del divertimento la sua principale, e gradevolissima, chiave di lettura e che, con un pizzico di nostalgia, richiama alla mente di noi "anziani" l'atmosfera magica dei films comici muti del migliore Ben Turpin.
Dopo questa gaia parentesi arriva la "Toccata" romantica forse più famosa e conosciuta, cioè quella dalla "Quinta Sinfonia" di Widor. Anche in questo caso c'è ben poco da dire su questo pezzo, che è e rimane uno dei cavalli di battaglia per tutti i concertisti d'organo degni di questo appellativo e che qui Severin ci sciorina in un'interpretazione abbastanza lontana dalle molte esecuzioni "da corsa" che da tempo ci vengono propinate da molti organisti che, alla fine dei conti, vogliono fare solo chiasso ed effetto fine a se stesso. Severin ce la propone, invece, sotto una luce più attenta e precisa e con una lettura che ci aiuta molto a scoprirne diverse sfumature che solitamente non vengono portate adeguatamente alla luce.
Il disco si conclude con le "Litanies" di Jehan Alain, altro brano di grande virtuosismo e di complessa lettura. L'interprete utilizza le sofisticate registrazioni dei vari piani sonori dello strumento per presentarci uno dei brani più noti della letteratura organistica del Novecento e, dobbiamo dire, segue molto attentamente quello che l'autore diceva a proposito dell'interpretazione di questa composizione, cioè che risulterebbe ineseguibile alla velocità indicata a meno di non usare un intelligente "rubato" per non "sfigurare" il brano, che per una perfetta esecuzione bisogna mantenersi sempre ai limiti della massima velocità senza perdere però mai la chiarezza e, infine, che se l'interprete non si ritrova "esaurito" alla fine del brano ciò significa che non ha nè capito nè eseguito il brano secondo i desideri del compositore.
Lo strumento scelto da Severin per quest'incisione è, lo abbiamo detto, il prestigioso ed abbastanza recente Ruffatti della Cattedrale di Uppsala. Quest'organo segue e ricalca la filosofia costruttiva che i Fratelli Ruffatti hanno adottato da qualche decina d'anni a questa parte e che ha portato la nostra prestigiosa ditta organaria a sfornare veri e propri capolavori soprattutto all'estero e, specificatamente, negli Stati Uniti, dove è apprezzatissima. Il risultato di questa filosofia fonico-timbrica (che va di pari passo ad una perizia costruttiva di altissimo livello) ci propone strumenti ricchi di registri di ogni tipo, che permettono agli interpreti di esprimere al meglio le loro potenzialità ed un repertorio che -nella prospettiva di una tipologia di organo post-eclettico- spazia davvero dai grandi classici ai compositori contemporanei. Molti "puristi" dell'organo non condividono questo tipo di produzione; noi, pur rimanendo dell'idea che una Toccata di Frescobaldi la preferiamo comunque eseguita su di un bell'organo classico italiano, dobbiamo anche dire che l'ascolto delle timbriche perfettamente amalgamate e di perfetta intonazione di un organo come quello di Uppsala è un vero piacere. Come abbiamo accennato, questo strumento possiede quattro tastiere e pedaliera ed è dotato di due consolles, una in tribuna ed una mobile in chiesa. La "montre", incorniciata dalle linee essenziali e pulite delle casse lignee semplici ma molto eleganti, è imponente e presenta anch'essa il segno distintivo delle Trombe Orizzontali "en chamade" con le particolari tube a padiglione, non molto visibili perchè parzialmente "coperte" dal Positivo ma che quando entrano in scena fanno la differenza. La tavolozza timbrica, con fondi ben robusti, è ricca di mutazioni, registri coloristici di ogni tipo, ripieni chiari e ben caratterizzati ed ancie ben squillanti e di carattere. Il "Tutti" è, ovviamente, maestosamente grandioso e di splendido effetto.
L'interpretazione di Domenico Severin è -come sempre- molto accurata e straordinariamente precisa, attentissima alle sfumature e sempre ben rispettosa del carattere dei brani. In alcuni di essi, soprattutto nelle toccate più virtuosistiche, abbiamo notato che gli andamenti risultano leggermente più lenti rispetto a quello che altri interpreti sono soliti proporci. Questa caratteristica interpretativa -propria di Severin e che abbiamo già sottolineato in occasione di precedenti recensioni- non si rivela affatto penalizzante ma, anzi, permette all'organista di proporre (ed a noi di ascoltare ed apprezzare) particolarità formali e costruttive che spesso si perdono nell'enfasi di interpretazioni che privilegiano la velocità come componente principale del virtuosismo organistico, perdendo di vista il fatto che il vero "virtuoso" dell'organo non è chi riesce a correre più veloce degli altri, bensì colui che riesce a proporre il brano nelle migliori condizioni di ascolto e, soprattutto, tenendo sempre ben presente ciò che l'autore intende comunicare agli ascoltatori.
Anche questo disco si avvale, per la presa di suono (effettuata nel mese di Settembre dello scorso anno 2016) ed il montaggio, dell'opera di Bernard Neveu, che già aveva lavorato con Severin per l'incisione del disco dedicato alle opere di Nosetti e che con la sua pluridecennale esperienza maturata sul campo (ed iniziata quando ancora per le incisioni si doveva lavorare di "taglia-e-cuci" su chilometri di nastro magnetico) è un'assoluta sicurezza ed un grande valore aggiunto che arricchisce e rende ottimo il prodotto finale.
Ben curata la veste grafica (molto scenografiche le trombe orizzontali in prima di copertina) ed abbastanza completo il libretto a corredo con belle iconografie ed esaurienti testi in Italiano, Francese ed Inglese che illustrano abbastanza compiutamente il repertorio.
In conclusione, un disco che abbiamo gradito molto, che ci ha a tratti anche entusiasmato e che riteniamo molto interessante per tutti sia per il calibro dell'interprete, la bellezza dello strumento e la varietà e gradevolezza del repertorio. Se avete amici e/o conoscenti amanti della buona musica questo disco sarà per loro un'ottima strenna natalizia (ma, mi raccomando, una copia tenetevela per voi!).



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