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Pelazza Organ Music




Pelazza - Organ Music
Organista: Fabio Macera
Organo del Santuario del SS.Crocifisso di Borzonasca
Brlliant Classics - DDD - 95516 - 2019

"Eccone un altro!". Questo è ciò che abbiamo pensato non appena abbiamo ricevuto questo disco. E per "un altro" intendevamo un altro autore minore. Da qualche anno a questa parte riceviamo sovente segnalazioni di nuove produzioni discografiche specificatamente dedicate a quelli che comunemente vengono definiti "autori minori", cioè quegli autori di musica organistica che hanno operato, soprattutto nel secolo intercorrente tra metà Ottocento e metà del Novecento, ai margini dell'impero, cioè nelle varie realtà "provinciali" o "di paese", lontani dai grandi centri e dai grandi nomi che in quel periodo popolavano il panorama organistico italiano, e che spesso hanno anch'essi prodotto opere organistiche che, per diversi motivi e per alterne fortune, spesso sono rimaste poi sepolte e dimenticate negli archivi parrocchiali od abbandonate sulle polverose cantorie di organi mai più utilizzati.
Chiariamo subito che in quei tempi questi autori, cosidetti tout-court "minori", molto spesso erano solidissimi musicisti, di ottima scuola e di buon mestiere, che svolgevano il loro compito, come suol dirsi, "all'antica", esercitando cioè quasi sempre le funzioni di organista, direttore di coro e compositore; a tali incombenze, altrettanto spesso ed in particolare nelle realtà più piccole, univano anche le attività di maestro di musica, direttore della banda locale e via discorrendo. L'importanza di queste figure l'abbiamo già più volte sottolineata su queste pagine e spesso, leggendo le biografie di musicisti ben più noti di loro, scopriamo che, in moltissimi casi, questi grandi musicisti avevano iniziato a studiare proprio con tali maestri locali (ed è anche il caso -guarda caso- di Pietro Alessandro Yon, di cui recensiamo qui sopra l'integrale, che ricevette la prima educazione musicale da Burbatti).
Altrettanto chiaramente bisogna anche dire che nella miriade di questi autori molti di essi "minori" lo furono davvero, nel senso che le loro opere in tanti casi altro non sono che scopiazzature, tentativi malriusciti di trascrizioni, composizioni di gusto scadente e senza alcun interesse e spesso maldestri tentativi di utilizzare stilemi musicali a quel tempo molto apprezzati ma che, nelle loro mani, risultano senza carattere e, altrettanto spesso, riescono persino ad infastidire l'ascoltatore di oggi, ormai avvezzo ad ascoltare gli originali piuttosto che le "brutte copie".
Nel panorama discografico attuale (ma anche nei canali video generalisti della Grande Rete) talvolta si è teso a privilegiare il fatto che un autore fosse "sconosciuto" o "dimenticato" per affibbiargli meriti musicali in realtà ben poco meritati. Di "Messe per Organo" recuperate da vecchi archivi parrocchiali ce ne sono centinaia (ed in futuro se ne scopriranno certamente altrettante) ma è ormai appurato che non tutte queste opere (ed i loro autori) hanno le caratteristiche necessarie (formali, musicali e stilistiche) per essere gratificate da un'incisione discografica. Certo, per una realtà locale è senz'altro molto soddisfacente vedere le musiche del "vecchio organista della Parrocchia" suonate da un celebre organista ed incise su un disco, ma è altrettanto vero che oggi, in un panorama discografico e multimediale in cui si può trovare di tutto e di più, queste composizioni non possono reggere il confronto con quelle degli altri autori più conosciuti, famosi e, ovviamente, più bravi.
A tutte queste cose pensavamo mentre aprivamo la custodia del disco, ma non appena abbiamo iniziato l'ascolto i nostri dubbi hanno trovato una soluzione molto positiva. Giovanni Maria Pelazza è senz'altro un autore "minore" di nome, ma non di fatto. Inoltre, le sue vicende personali e musicali lo accomunano per diversi aspetti proprio -anche qui guarda caso- a Yon, poichè entrambi furono figli della terra piemontese ed allo stesso modo vissero l'avventura di emigrare nel Nuovo Mondo, dove diventarono stimati e conosciuti musicisti e là riposano ancora oggi.
Giovanni Maria Pelazza nasce, una quarantina di anni (per la precisione trentanove) prima di Yon, nel 1847 a Carmagnola, a sud di Torino (Yon era invece di Settimo Vittone, che si trova a Nord del capoluogo piemontese). Non si hanno notizie molto dettagliate della sua vita ma essa si indirizzò subito nell'ambito delle Case Salesiane, che egli frequentò fin da bambino, dove effettuò i suoi studi -anche musicali, con Giovanni Cagliero- e di cui fece sempre parte come laico. Molto dotato per la musica, nel 1871 -a 24 anni- vince il concorso (...ebbene si, a differenza di oggi, a quei tempi in Italia per fare l'organista si doveva affrontare e superare un concorso) per il posto di organista titolare presso la Parrocchia di Romano Canavese, dove si trova a sedere alla consolle di un bellissimo strumento costruito da Bianchi solo quattro anni prima che contava (e conta tuttora) una sessantina di registri disposti su due tastiere e pedaliera. Pelazza ricopre l'incarico di organista a Romano Canavese per sedici anni ed in questo periodo, anche sollecitato dalle caratteristiche del pregevole organo di cui è titolare, si dedica alla composizione e produce diverse opere che vengono pubblicate sia dagli stessi Salesiani (in una collana di fascicoli intitolata "L'Organista Provveduto", nella quale comparivano anche opere di suoi contemporanei come Carlo Bodro, Giovanni Quirici ed altri) che dall'editore Cantone di Torino. Queste composizioni, il cui "corpus" più importante è rappresentato dalle "Dodici Suonate su varii tuoni", furono molto apprezzate e diventarono assai note anche grazie alla capillare diffusione che gli stessi Salesiani ne fecero tramite le loro Case e le loro Comunità sparse nel Mondo. Nel 1887 Pelazza, diventato abbastanza noto, si trasferisce in Francia, a Marsiglia, e partecipa, senza esito, al concorso per il posto di organista presso la chiesa di Sainte Augustine di Nizza. Si ferma a Marsiglia per undici anni, dove continua a dedicarsi attivamente alla musica sia come organista (si esibisce sugli organi di molte chiese della zona) che come direttore d'orchestra e di coro, lavorando in diverse città e paesi della Provenza. Nel 1898, infine, si imbarca per l'America ma, al contrario dei fratelli Yon, che si diressero verso il Nord, egli (come moltissimi altri piemontesi suoi conterranei di quell'epoca) veleggia verso il Sud e sbarca in Argentina, dove si stabilisce a Buenos Aires.
Anche di questo suo periodo americano non si hanno molte notizie se non quelle tramandate dalle memorie dei Salesiani di laggiù che lo conobbero ed apprezzarono. E' quasi certo che egli divenne organista presso la chiesa di San Giovanni Evangelista, nel distretto di Boca, all'interno di una nutritissima comunità italiana formata da emigranti piemontesi e liguri. Pelazza rimarrà in Argentina per trentotto anni, fino alla sua morte, avvenuta a Tigre (Buenos Aires) nel 1936. Durante questo periodo svolge la sua attività musicale come organista e come direttore d'orchestra e di coro con molta passione e con totale dedizione, tanto che diversi racconti della vita musicale salesiana argentina di quell'epoca ne descrivono sia la vigorosa ed energica direzione d'orchestra che le indiscutibili doti musicali, anche come compositore (in quel periodo compose diverse opere, tra cui anche un pregevole Oratorio dal titolo "Cristoforo Colombo"). Si sa, inoltre, che inaugurò il nuovo organo che Vegezzi Bossi installò nella chiesa di S.Giovanni Evangelista dove era titolare.
Abbiamo citato in precedenza le "Dodici Suonate su varii tuoni", che sono interamente presenti in questo disco e che costituiscono forse la raccolta più significativa per conoscere la personalità musicale di Pelazza. Nella sua produzione, poi, si contano due Messe per Organo, una in Do ed una in Re, di cui Fabio Macera ci presenta alcuni brani, rispettivamente: dalla Messa in Do i "Sei Versetti per il Gloria", "Dopo l'Epistola", "Suonata per l'Offertorio" e "Pel Postcommunio" e dalla Messa in Re "Per dopo l'Epistola", "Per l'Elevazione" e "Per dopo la Messa". A questo si aggiungono tre brani tratti dai due volumi di "Dieci Suonate per la Benedizione del SS.Sacramento", rispettivamente la seconda e la nona del Primo Volume e la seconda dal secondo volume.
Bisogna qui, a proposito del repertorio organistico italiano ottocentesco, sottolineare come la denominazione "Sonata" non fosse riferita alla "forma Sonata" classica (cioè, per capirci, articolata in tre tempi solitamente nella formulazione di un tempo lento racchiuso tra due tempi veloci) e, neppure, alla Sonata organistica "romantica" europea dello stesso periodo (ci riferiamo qui alle Sonate organistiche di Rheinberger, assolutamente coeve a quelle di Pelazza ma ben differenti). Nell'estetica organistica italiana, che prendeva spunto dalle Sonate mono-bipartite dei decenni precedenti (ad esempio quelle di Valeri, di cui abbiamo parlato in una precedente recensione) e che traeva dalla musica orchestrale, dal "Bel Canto" e dalla produzione teatrale le sue linee espressive più significanti, la parola "Suonata" stava a significare, essenzialmente, un brano da "suonare" (all'organo o su altri strumenti) in cui il contenitore perdeva la rigidità formale per trasformarsi in una successione di sezioni diverse, che potevano variare da una a molte, più o meno collegate tra di loro tematicamente e di carattere diverso che potevano a loro volta essere sottosezioni di sezioni formali più elaborate, in una successione apparentemente disordinata ma volutamente indirizzata a fornire all'organista più metodologie espressive; non ultimo (anzi, molto spesso era questo il primo scopo) di queste composizioni era il poter "dimostrare" nel modo più ampio e completo tutte le capacità e possibilità fonico-timbriche degli organi per cui queste opere venivano composte, e questo è anche il caso dei Versetti Istrumentati", che per gli autori del tempo erano il modo più utilizzato per far sentire agli ascoltatori (cioè ai fedeli che partecipavano alle Messe) tutte le migliori voci solistico-strumentali degli organi orchestrali di quell'epoca; nello specifico, ogni versetto era composto per esaltare il timbro di uno o più determinati registri (Clarinetto, Voce Umana, Corni, Claroni, Viole, Trombe, ecc.) e molto spesso questi brevi brani, che non duravano più 1-2 minuti, erano dei veri e propri "pezzi di bravura" sempre molto apprezzati. Questa era l'estetica organistica italiana dell'epoca e noi, personalmente, oggi fatichiamo non poco nell'immaginare questi Versetti suonati "alternatim" al canto gregoriano del Gloria, così come ci riesce difficile conciliare una Presentazione delle Offerte con una squillante mazurca.
Pelazza, nelle sue composizioni, si rivela perfetto -ed espertissimo- figlio del suo tempo. Dalle sue composizioni emerge in pieno, e con caratteri molto spiccati, l'estetica orchestral-operistica dell'Ottocento organistico italiano, arricchita anche dal fatto che egli ebbe a disposizione uno strumento per quei tempi davvero molto elaborato e di assoluta novità sia tecnica che timbrica, sul quale si era giocoforza sollecitati a "farlo cantare" nel migliore dei modi. Le "Suonate" di Pelazza sono perfettamente aderenti ai canoni formali e stilistici che abbiamo sottolineato in precedenza e se, talvolta, in alcuni passaggi si possono "confondere" con similari composizioni di suoi contemporanei (come, ad esempio, Quirici), in molte e differenti occasioni egli dimostra di avere, e di saperci mettere, molto del suo. Affiora spesso una ricerca armonica, non facilmente riscontrabile in altri autori del tempo, che, senza nulla togliere al trionfo della melodia, denota un buon lavoro di approfondimento e di ricerca di novità. Molto sofisticata appare, inoltre, l'arte della registrazione, cioè la ricerca delle combinazioni timbriche più adatte per sottolinerare le caratteristiche dei suoi brani ed in questo -come abbiamo detto- gioca un ruolo basilare la tavolozza timbrica molto ricca e variegata del Bianchi 1862 di cui era titolare e che, con le sue due tastiere, gli permetteva di prevedere ed effettuare cambi di piani sonori che conferivano alle sue composizioni anche una discreta dose di contrasto di blocchi timbrici di assoluta novità che si potranno poi ritrovare come abituale prassi nei grandi autori del periodo seguente (Petrali in primis).
La scrittura di Pelazza è leggera ed intensa al tempo stesso, dimostra un'ottima padronanza del linguaggio e rivela una scuola molto solida (di tipo "classico", che affiora qua e là in alcuni piccoli passaggi), una tecnica compositiva di ottimo livello ed una particolarmente profonda conoscenza dell'arte organaria dell'epoca e tutto questo fa in modo che il suo repertorio si piazzi ad un livello che supera abbondantemente quello di molti altri suoi contemporanei. Certo, è evidente, non stiamo parlando di un Davide da Bergamo o di similari, ma Giovanni Maria Pelazza dimostra di avere le carte in regola per meritarsi una citazione in più nella Storia della Musica organisica italiana e, ovviamente, una bella incisione discografica come quella di cui stiamo disquisendo.
Fabio Macera è un bravissimo organista ligure, molto apprezzato come concertista in ambito europeo, che ha studiato con Traverso a Genova e si è poi perfezionato con grandi maestri europei (Stembridge, Radulescu, Lecaudey ed altri) approfondendo la conoscenza e la pratica sia della musica antica che di quella moderna e contemporanea. Lo abbiamo apprezzato qualche anno fa su questa pagina recensendo un suo bel disco dedicato alla musica francese ed italiana dell'ottocento-novecento interpretata al grande organo Tamburini di Recco. Oggi, in questa produzione, egli ci propone una lettura molto attenta ed accurata di un repertorio che, pur apparendo "facile", in effetti -come tutto il repertorio ottocentesco operistico italiano- necessita di un notevole ed accurato lavoro di approfondimento delle "radici" da cui nasce, rappresentate dalla musica teatrale del settecento, su cui vanno poi innestate tutte le componenti artistiche e stilistiche sia strumentali che vocali che da quel tipo di musica portarono poi alla musica "operistica". A tutto questo si deve poi unire una conoscenza particolarmente approfondita dell'evoluzione dell'arte organaria italiana dello stesso periodo, che portò i nostri strumenti, per più di un secolo, ad arricchirsi di registri coloristici e di assolo (molti dei quali importati dalla Francia) che li fecero diventare delle vere e proprie "orchestre" a canne su cui gli organisti (compreso il Pelazza) potevano esprimere musicalità, estro ed inventiva con ampi margini di libertà e fantasia. In ultimo, ovviamente, per poter interpretare questo tipo di repertorio, è necessario conoscere molto bene le prassi esecutive -anche qui strumentali e vocali- del tempo e, ovviamente, saper utilizzare questo tipo di organi che, se ben sollecitati, riescono a dare ai brani caratteri e colori assolutamente spettacolari. Fabio Macera dimostra ampiamente tutte queste doti e, così come aveva fatto nel precedente disco su di un repertorio totalmente diverso, sfoggia una conoscenza del repertorio, una padronanza della tecnica ed una sensibilità musicale che gli consentono di offrirci le musiche di Pelazza nella loro freschezza, originalità ed ispirazione, consentendoci di conoscere -ed apprezzare- meglio la sua figura musicale.
Per l'incisione, Macera ha utilizzato il "suo" organo, il Serassi 1821 (restaurato nel 1996 da Dell'Orto-Lanzini) del Santuario del SS.Crocifisso di Borzonasca. Si tratta di uno strumento non molto grande rispetto ad altri Serassi più rinomati e decisamente "piccolo" rispetto all'organo Bianchi per cui Pelazza aveva scritto le sue composizioni ma la sua impostazione di base è assolutamente significativa della tipologia di strumenti di quell'epoca e ne comprende tutte le caratteristiche più rilevanti: una piramide del Ripieno da otto piedi alla Quadragesima, i classici flauti (Traversiere, in Ottava e Flagioletto di due piedi), Cornetto (a quattro file), Voce Umana, l'immancabile Violetta ai Bassi, una Sesquialtera nei bassi, i Corni da Caccia di 16 piedi nei soprani ed un'adeguata sfilza di ancie (Fagotto, Tromba, Clarone, Corno Inglese) alla tastiera (di 54 note) mentre alla pedaliera (soliti 17+2 pedali corta ed inclinata) troviamo i Contrabbassi con Rinforzi (16+8) ed i Tromboni. I registri meccanici sono i Campanelli e gli Uccelli, il resto as usual.
Piccola nota: siamo rimasti leggermente delusi dalla scelta dell'organo. In effetti, visto che sappiamo con precisione la tipologia dello strumento utilizzato dall'autore e che di tali tipi di strumento -alcuni restaurati e perfettamente funzionanti- se ne trovano diversi anche nella zona del Basso Piemonte-Ovadese, ci siamo chiesti il motivo per cui non si sia cercato per quest'incisione -appunto- un Bianchi due tastiere "fratello" di quello realizzato per Romano Canavese, che sarebbe stata un po' la ciliegina sulla torta di quest'incisione. E' da dire, comunque, che il Serassi di Borzonasca si rivela assolutamente perfetto e le sue sonorità, che contengono l'essenza degli ideali fonico-timbrici dell'organaria ottocentesca italiana, rendono particolarmente vive e gradevoli le composizioni di Pelazza.
Le registrazioni sono state effettuate nel Novembre 2017. Presa del suono, editing, mastering e postproduzione a cura dell'inossidabile Federico Savio, di cui abbiamo già parlato tante volte su queste pagine, di cui apprezziamo anche qui la cura quasi maniacale per una resa timbrico-fonica perfetta sia degli insiemi che delle varie -bellissime- voci solistiche che sono uno dei punti di vera forza di questa produzione.
Il libretto a corredo, di 12 pagine comprese copertine, è molto ben curato con interessanti testi ed essenziale ma esauriente iconografia. Non smetteremo -ed è una nostra idea fissa che abbiamo già espresso altre volte- di dolerci del fatto che per una produzione discografica che riguarda un autore italiano, un organo italiano ed un organista italiano i testi siano presentati nella sola lingua inglese; comprendiamo che molte produzioni discografiche oggi siano destinate ad un mercato (e ad un pubblico) internazionale, ma questo non ci appare un buon motivo per penalizzare la nostra lingua, che è e rimane [patriotic mode ON] la più bella del Mondo [patriotic mode OFF].
Un bel disco, con un gradevolissimo ed interessante repertorio, un bell'organo ed un bravissimo organista. Acquistatelo e gustatevelo tutto. Vi piacerà!



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