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Johann Pachelbel Organ Music




Johann Pachelbel
Organista: Rodolfo Bellatti
Organi: Oratorio della Visitazione di Maria di Antillone
Chiesa di S.Gaudenzio di Baceno
Edizioni Leonardi Milano - DDD - LEOCD061 - 2018

Abbiamo ricevuto con piacere quest'ultima produzione delle Edizioni Leonardi di Milano che, nella collana dedicata agli antichi organi del Canavese, tratta gli importanti e storici strumenti presenti in due chiese della Val Formazza, rispettivamente quello costruito da Carlen e Walpen nel 1823 per la chiesa di San Gaudenzio di Baceno e quello realizzato da Biderbost nel 1690 (e poi ampliato nel 1727 da Carlen) per l'oratorio della Visitazione di Maria che si trova ad Antillone, una piccola frazione del Comune di Formazza.
L'importanza storica di questi due strumenti deriva dal fatto di essere localizzati in un "punto di incontro" (ci troviamo all'estrema propaggine settentrionale del Piemonte che si incunea in territorio svizzero) di diverse culture che da secoli qui si intrecciano e confrontano e la cui interazione ha influito anche -e molto- sull'arte organaria della zona. Si tratta di un'organaria "di frontiera" che anche qui, come nel caso di un'altra organaria simile (quella sviluppatasi ai confini con la Francia e di cui abbiamo parlato in passato su questa pagina recensendo un'interessante pubblicazione di Francesco Bigotti), ci presenta uno degli aspetti meno noti e conosciuti della storia dell'organo italiano, un aspetto che, pur trovandosi assai lontano dai grossi nomi ben noti, nel suo piccolo ha una spiccata valenza artistica e musicale che in questo disco viene magistralmente descritta tramite la musica di un grande dell'organo europeo del Seicento, Johann Pachelbel.
A prima vista non si comprendono bene le correlazioni tra questo organista e compositore germanico e questi due organi "italiani", in primis perchè, comunemente, la scuola organaria germanica si è sviluppata con caratteristiche ben differenti da quella "nostrana" e, poi, perchè Pachelbel nacque a Norimberga, e tra Norimberga e Formazza ci stanno settecento chilometri di distanza. Per comprendere meglio l'assonanza tra la scelta strumentale e di repertorio di questo disco bisogna considerare due cose: la figura musicale di Pachelbel e le caratteristiche dell'organaria delle zone della Germania dove egli operò.
Non è questo l'ambito per trattare la biografia di Johann Pachelbel ma una delle caratteristiche principali della sua opera è che essa fu fortemente influenzata dalla musica italiana, che egli conobbe ed apprezzò, durante la sua attività presso il Duomo di Vienna, da Johann Caspar Kerll che a sua volta l'aveva appresa da Giovanni Valentini, a sua volta allievo di Giovanni Gabrieli. Bisogna anche sottolineare che fu sempre Kerll, negli altri suoi periodi di attività svolti sia a Monaco di Baviera che a Bruxelles, a portare la musica italiana in varie altre parti dell'Europa, confermando l'ipotesi (ma ormai è realtà unanimemente accertata ed accettata) che le diverse scuole organistiche europee ebbero tutte origine dalla musica italiana (a partire da Frescobaldi, che nel 1607 portò personalmente la sua musica nelle Fiandre e fu proprio lì -e non in Italia- che fu pubblicata la sua prima opera a stampa).
D'altra parte, è proprio l'analisi delle sue composizioni per organo a dimostrare quanto "italiano" fosse Pachelbel, di cui si apprezza la predilezione per la melodia, la semplicità delle armonie e le modalità di sviluppo formale. Su queste basi egli sviluppò ed innestò diverse sue proprie peculiarità che lo portarono ad elaborare metodologie compositive che contribuirono a far evolvere alcune forme musicali (tra le quali la Fuga, la Fantasia e le Variazioni) verso quello che sarebbe poi stato il futuro del pieno barocco, influenzando in modo particolare, durante gli anni trascorsi ad Erfurt e ad Eisenach, diversi esponenti della famiglia Bach (di cui fu molto amico e, tra l'altro, fu l'insegnante di organo di Johann Christoph Bach) e, di conseguenza, anche l'opera di Johann Sebastian.
L'altro aspetto utile alla comprensione di quest'incisione è, come abbiamo detto, la caratteristica degli organi su cui Pachelbel si trovò a dover "lavorare". Oltre a Vienna, infatti, la vita artistica di Pachelbel si svolse tutta negli stati di quella che oggi corrisponde alla Germania centro-meridionale, zona nella quale l'arte organaria presentava caratteristiche differenti da quella della Germania settentrionale. Se al Nord gli organi presentavano molte tastiere, pedaliere estese ed una consistenza timbrica assai variegata, ai tempi di Pachelbel gli strumenti della Germania del Sud non erano altrettanto elaborati e, fondamentalmente, si richiamavano ancora all'arte organaria italiana del secolo precedente. Egli si trovò quindi ad operare su organi che presentavano quasi sempre una sola tastiera (raramente due), pedaliera ridotta e timbriche abbastanza essenziali che, a parte le mutazioni composte come il Ripieno a file unite (il cosidetto Mixtur) ed il Cornetto, presentava ben poche mutazioni semplici ed altrettanto poche ancie (che si trovavano quasi sempre al manuale).
E' da queste due considerazioni che traiamo il "senso" del connubio, a prima vista improprio, che questo disco ci propone, perchè i due strumenti scelti ed utilizzati, anche se ci possono trarre in inganno con i nomi dei registri in lingua tedesca arcaica, dall'altra presentano un'impostazione "italica" che, se meno evidente nel piccolo ed essenziale organo di Antillone, appare invece molto spiccata in quello di Baceno.
L'importanza di Pachelbel come compositore è conosciuta dalle sue biografie piuttosto che dalla sua produzione a noi pervenuta, che è una minima parte sopravvissuta alle dispersioni avvenute in Germania nella prima metà del secolo scorso. Si sa che egli compose molto e, come era d'uso e d'obbligo a quell'epoca, per diversi strumenti e formazioni sia vocali che strumentali. Nel suo catalogo figurano cantate, musica da camera, brani clavicembalistici, vocali e strumentali di diverso genere e stile, ma la sua figura è oggi apprezzata soprattutto per le sue oltre duecento composizioni organistiche, la metà delle quali sono Fughe, la quasi totalità delle quali è costituita dalle cosidette "Fughe Magnificat" (ma il titolo originale reca solamente la dicitura "Magnificat" e la specificazione del tono salmodico sul quale sono impostate). Le altre composizioni per organo comprendono Toccate, Preludi, Fantasie, Corali e Variazioni. Molto interessanti sono due procedimenti formali che si ritrovano spesso in queste opere; per ciò che riguarda i Corali, quasi sempre egli fa seguire all'armonizzazione "classica" a quattro voci della melodia anche una fuga mentre in altre diverse occasioni Pachelbel è uno dei primi autori (forse il primo in assoluto) che unisce la fuga ad una forma diversa che la precede (Preludio e Fuga, Toccata e Fuga, Fantasia e Fuga...), aprendo così la strada verso quel binomio formale che nei decenni seguenti diventerà pratica comune. Anche nello stile formale delle Variazioni, Pachelbel introduce alcune novità che egli adotta soprattutto nelle sei "Ciaccone", nelle quali "elimina" la parte specifica della danza per adottare una forma che privilegia una ricerca contrappuntistica assai elaborata.
L'organista Rodolfo Bellatti in questa incisione ci propone un repertorio che coglie molto bene i diversi aspetti dell'arte compositiva di questo autore. Vi troviamo tre Ciaccone (in Fa maggiore, in Re minore ed in Re Maggiore trascritta in Fa), cinque "Magnificat" (due sul tono quinto e tre sul tono sesto), quattro Corali (Partita su "Werde Munter mein Gemüte", Partita su "Freu dich sehr o meine Seele", "Ach Herr mich armen Sünder" e "Allein zu dir Herr Jesu Christ"), una Toccata e Fuga (in Sib Maggiore), una Toccata (in Mi minore trascritta in Re), una Fantasia (in Re minore), un Ricercare (in Do Maggiore), un'Aria (in Re Maggiore trascritta in Fa) ed un'Arietta.
Rodolfo Bellatti, brillantemente diplomato in Organo e Cembalo a Genova con Dellepiane e Petrucci, ha poi studiato a Basilea con Bovet e a Vicenza con Antonello. Dopo un periodo di oltre quindici anni trascorso in Svizzera, dove è stato organista titolare a Neuchâtel, è poi ritornato in Italia, in Liguria, dove attualmente è titolare presso la Basilica di N.S. della Rosa a Santa Margherita Ligure. Pluripremiato nell'ambito di concorsi musicali sia in Italia che all'estero, si dedica attivamente e con molto successo all'attività concertistica ed alle ricerche musicologiche. Esperto in musica antica, ha inciso diversi dischi su strumenti storici ed ha effettuato registrazioni per alcune emittenti radio europee e per la RAI. E' componente dell'Ensemble Barocco "Rapallo Musica", associazione musicale di cui fa parte come membro della Direzione Artistica, ed ha collaborato con altre diverse formazioni strumentali. Svolge attività di docenza presso diverse realtà musicali ed ha promosso importanti iniziative nell'ambito della valorizzazione degli organi storici della Liguria.
In questo disco egli dimostra in maniera impeccabile le sue qualità tecniche, da cui emerge spiccata una tecnica cembalistica di prima qualità, precisissima ed accuratissima, che va a cogliere in modo splendido i fondamentali dell'opera di Pachelbel, creata in un'epoca in cui cembalo ed organo erano strumenti equivalenti. Bellatti qui ci offre un'ottimo excursus sulle varie sfaccettature della musica di questo compositore, andandone inoltre a sottolineare le spiccate caratteristiche di "italianità" mediante una filologia interpretativa che, a differenza di altre incisioni di queste musiche che spesso abbiamo trovato alquanto impersonali, non si ferma alla sterile autoreferenzialità ma ci rende anche in modo molto "presente" la poetica musicale su cui si fonda tutta la produzione organistica (e non solo organistica) di Pachelbel. A questo proposito, inoltre, non possiamo che complimentarci con l'organista per la scelta degli strumenti che, come abbiamo già detto in precedenza, rappresentano un ulteriore -e quanto mai azzeccato- valore aggiunto di quest'incisione. Rodolfo Bellatti infatti suddivide precisamente, a seconda delle loro caratteristiche, i brani del disco su questi due organi in modo da poterceli offrire tutti nella loro più adatta cornice timbrico-fonica.
L'organo di Antillone risale al 1690 e fu costruito, come abbiamo detto, da Ignaz Biderbost. Nonostante sia stato "ampliato" da Carlen una trentina d'anni dopo, esso era ed è rimasto un tipico esempio di "distillato" dell'arte organaria italo-svizzera di quel periodo. Le caratteristiche della fattura sono squisitamente italiane; le linee architettoniche del mobile, l'estensione della tastiera (45 tasti con prima ottava corta), il sistema di azionamento dei registri a manetta con i comandi a destra della consolle e diverse altre particolarità, così come il temperamento mesotonico (che è stato conservato), ci rimandano direttamente all'arte organaria italiana classica del Seicento. E' invece la disposizione fonica (unitamente alla pressione del vento sensibilmente più alta -72 mm- rispetto agli organi italiani di quel periodo) che ce ne sottolinea le differenze. Ci sono solo cinque registri in questo organo ma essi rappresentano lo "zoccolo duro" di quella che oggi comunqmqnte denominiamo organaria germanica ed è assai sorprendente vedere come, con soli Prinzipal, Suavial, Spitzflote, Oktav e Quinte, Biderbost riesca a fornire a questo strumento tutte -ma proprio tutte- le possibilità fonico-timbriche per rappresentarci in modo completo ed assolutamente affascinante tutto un repertorio che solitamente viene proposto su strumenti di ben più ampie dimensioni. Un cenno particolare lo dedichiamo al Suavial, un registro di origini antiche -che troviamo sovente anche oggi nei più grandi organi di scuola tedesca- che rispetto al suono abbastanza "duro" del Prinzipal, presenta una sfumatura di violeggiante che gli conferisce un carattere più "dolce" e che si presenta adattissimo per sottolineare i passaggi più melodici delle opere di Pachelbel. Perfettamente restaurato nel 2018 da Dell'Orto e Lanzini, questo strumento mantiene ancora oggi intatto il sistema di manticeria ad azionamento esclusivamente manuale ed il corista originale a 432,5 Hz.
L'organo di Baceno è invece più grande. Realizzato da Carlen tra il 1822 ed il 1824 (e poi modificato da Bernasconi nei primi anni del Novecento), presenta caratteristiche costruttive che, ad oltre un secolo di distanza dall'organo di Antillone, rispecchiano anche in modo "visivo" una derivazione dalla scuola organaria germanica del Sud. Già la "montre" ci rimanda agli strumenti "rococò" che troviamo in diverse città tedesche del Sud, con le "pedalturmen" laterali e la differenziazione dei piani sonori. La pedaliera retta (anche se solo di 14 tasti) ed i comandi dei registri a pomello-tirante sistemati ai lati della consolle sono squisitamente "nordici", ma è nella disposizione fonica (oltre che nella bassa pressione dell'aria -54 mm-)che troviamo un'influenza "italiana" assai maggiore rispetto all'organo precedente. Se analizziamo la disposizione fonica notiamo che, a dispetto della nomenclatura in tedesco quasi-arcaico dei registri, il quadro timbrico rispecchia molto da vicino quello degli strumenti che in quello stesso periodo venivano costruiti in Italia. Principale (di taglio però leggermente più stretto rispetto a quello italiano), Ottava, Decimaquinta, Voce Umana, Cornetto, Flauto in Ottava, Flauto in Quinta, Flauto Dolce, Flauto Traverso, Violoncello, Clarinetto, Tromba e Contrabbassi formano l'ossatura di questo organo (andatevi a vedere i registri di un qualsiasi Serassi e li troverete uguali), a cui si uniscono il Ripieno a file riunite (il Mixtur germanico), un Bordone ed un Subbasso al Pedale. Il temperamento è più recente (un Werckmeister II) ed il corista è fissato a 431 Hz, ancora più basso rispetto all'organo di Antillone. Anche questo organo è stato completamente restaurato da Dall'Orto e Lanzini nel 1994. L'azionamento dei mantici, peraltro ancora originali, è sia manuale che con elettroventilatore.
Le incisioni sono state effettuate nei mesi di Luglio (Antillone) e Settembre (Baceno) 2018 con Roberto Ricco alla consolle di registrazione. La presa di suono è differenziata per rappresentare nel migliore dei modi le diverse caratteristiche sia degli strumenti che delle chiese. Se il posizionamento abbastanza vicino dei microfoni per il piccolo organo di Antillone ne vanno a cogliere le specificità delle timbriche rendendocene tutte le sfumature più caratteristiche in un "ambiente" quasi cembalistico, la presa di suono più ampia utilizzata per l'organo di Baceno è calibrata in modo particolare per una resa più squisitamente "organistica" in cui anche il dosaggio sapiente dell'"ambiente" ci permette di apprezzare il suono di questo strumento nella cornice più adatta e confacente alle sue peculiarità espressive.
Ottimo il lavoro di editing e postproduzione. La veste grafica, come di prassi nelle produzioni di questa Collana Discografica, è molto curata e gradevole. Il libretto a corredo è anch'esso molto completo ed esauriente ed unisce ad interessanti testi di approfondimento anche schede completissime sugli organi utilizzati e, chicca che (a parte in alcune edizioni francesi molto "di nicchia") abbiamo finora riscontrato quasi solo nelle Edizioni Leonardi, l'indicazione delle registrazioni impiegate dall'organista nei vari brani del disco.
Ottima incisione, ottimo repertorio, ottimi strumenti ed ottimo organista. In pratica il massimo che ci si può aspettare da una produzione discografica di alta qualità. Cos'altro aspettate per andarlo a comprare?



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