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Trascrizioni per organo di Bossi




Marco Enrico Bossi - Opera Omnia per Organo - Vol. XIV
Organista: Andrea Macinanti
Organo Cattedrale di Lucera
Tactus - DDD - TC862723 - 2019

Abbiamo già più volte parlato su queste pagine della trascrizione organistica, soprattutto di quella "moderna", trattando, ad esempio,le trascrizioni delle opere di Haendel (QUI), delle musiche di Verdi (QUI), quelle di Puccini (QUI), di Debussy (QUI), di Busoni (QUI) e la figura di Edwin Lemare (QUI), che ha la fama (tutta meritata) di essere stato uno dei più abili trascrittori (in particolar modo delle opere di Wagner) di musiche per organo.
Non abbiamo pressochè mai parlato dell'attività di trascrittore, invece, di Marco Enrico Bossi, che è conosciutissimo come compositore (e padre dell'arte organistica italiana moderna) ma altrettanto sconosciutissimo per le sue trascrizioni. Fortunatamente, negli ultimi anni, c'è stato il nostro bravo Andrea Macinanti che, nell'ambito della sua corposa "integrale" organistica di Bossi, ha posto rimedio a questa "dimenticanza" ed ha dedicato diversi volumi della raccolta, edita da Tactus, proprio alla considerevole attività di trascrizione svolta da Marco Enrico Bossi e questo disco (che è il quattordicesimo dell'integrale) è interamente dedicato (come i precedenti nn. 2, 12 e 13) alle sue trascrizioni e, specificatamente, alla raccolta di trascrizioni che Bossi pubblicò presso Ricordi negli anni compresi tra il 1912 ed il 1919 nella collana editoriale dal titolo "Il Repertorio dell'Organista", che era dedicata specificatamente non solo alle trascrizioni, ma anche alle cosidette "riduzioni" di opere strumentali ed orchestrali di vario genere per l'interpretazione all'organo.
La trascrizione organistica non è un'invenzione dell'Ottocento ma è sempre stata praticata nella storia dell'organo, basti pensare -solo per fare un esempio molto noto- ai concerti di Vivaldi trascritti per organo da Bach, ma è stato con l'avvento della musica "sinfonica" e di organi sempre più ricchi di timbri orchestrali (a partire dai nostri Serassi ottocenteschi che sembrano fatti apposta per le trascrizioni operistiche verdiane per finire ai grandi strumenti statunitensi del primo Novecento) che quest'arte si è evolulta in termini di spettacolarità e di magniloquenza (ascoltate la "Cavalcata delle Valchirie" di Wagner trascritta da Lemare e ne avrete un perfetto esempio). Bossi, anche se questo suo aspetto era fino a poco tempo fa poco noto, non fu da meno di Lemare; entrambi conoscevano alla perfezione la tecnica dell'orchestrazione e trattavano l'organo non come uno strumento, bensì come una vera e propria orchestra sinfonica (e questo lo si può agevolmente constatare anche in alcune composizioni organistiche bossiane di ampia ispirazione come i Momenti Francescani, Stunde der Freude ed altri, che dimostrano come Bossi abbia "pensato" queste opere come composizioni orchestrali e le abbia poi "scritte" per organo). Sotto questo punto di vista possiamo dire che le trascrizioni di Bossi (che egli suonava soprattutto nei suoi concerti) nulla hanno da invidiare a quelle di Lemare e, anzi, sotto alcuni punti di vista, sono anche superiori per ciò che riguarda alcune caratteristiche squisitamente "italiane", che in Lemare non sono -ovviamente- presenti. Un'altra particolarità delle trascrizioni bossiane rispetto a quelle dei suoi contemporanei sta nel fatto che egli fu, con tutta probabilità, il primo ad attingere dal repertorio "classico" (e qui, probabilmente, ebbe un qualche ruolo forse anche la "riforma ceciliana" italiana, che aveva aperto ai nostri organisti gli orizzonti di un repertorio "antico" che fino ad allora era stato assolutamente dimenticato). Anche Marco Enrico Bossi trascrisse -e molto bene- Wagner, Debussy, Chopin, Saint-Saens, Schubert e tanti altri "romantici" ma è stato probabilmente il primo organista italiano a trascrivere musiche di autori "classici" sia esteri (Kuhnau, Haydn, Gluck) che nostrani come Giovan Battista Martini e Baldassarre Galuppi (tutti presenti in questo disco). E' evidente che, ai tempi di Bossi, la filologia organistica non era neppure lontanamente pensabile, così come l'idea di eseguire le musiche antiche su strumenti "storici" non sfiorava neppure da lontano gli organisti; gli organi italiani del primo Novecento erano "sinfonici" e/o "riformati" e, di conseguenza, anche le musiche antiche dovevano essere "adattate" a questi strumenti e molto spesso questo "adattamento" (esattamente come successe più o meno nello stesso periodo in Germania per le trascrizioni bachiane di Reger per organo) lo si faceva introducendo voci che "riempissero" ed arricchissero le linee melodiche, innestando "parti" per "completare" le costruzioni armoniche ed introducendo parti di pedale a completamento del quadro musicale di riferimento, che era sempre quello del "quartetto d'archi" che sta alla base della scrittura orchestrale.
Nelle trascrizioni di Bossi di questo disco sono ben presenti questi aspetti ma, soprattutto per ciò che riguarda i "classici" italiani, possiamo notare un'accuratezza assai particolare che egli mette nel cercare di non "stravolgere" il senso dell'ispirazione originale di queste opere e, soprattutto, un riguardo particolare nel tenere sempre ben presenti gli strumenti (o le formazioni strumentali) per cui questi brani erano stati originariamente pensati. La scrittura che egli adotta, sempre perfettamente "organistica", non risulta mai "ridondante" (al contrario di quella che possiamo trovare in altri autori a lui coevi) e talvolta può anche sembrare che (in rapporto alle caratteristiche degli organi utilizzati) "manchi qualcosa" in una visione spiccatamente "sinfonica" di queste trascrizioni. Quello che emerge in modo magistrale, però, da questi brani (ed in questo disco) è come egli riesca a "rendere" -per quei tempi- attuali queste composizioni utilizzando una "leggerezza" di scrittura che viene magistralmente sottolineata dalla scelta di registrazioni (originali, da Bossi scrupolosamente annotate in partitura e differenti a seconda degli organi utilizzati) che pur nell'ottica di un sinfonismo organistico di carattere squisitamente postromantico, si rivelano, spesso anche inaspettatamente, perfettamente aderenti a quell'estetica protoclassicista che proprio in quegli anni stava iniziando a prendere campo qui in Italia e che avrebbe portato, nei decenni seguenti, ad un movimento neoclassicista che sarebbe poi sfociato, a partire dagli Anni Settanta del secolo scorso, nella definitiva presa di coscienza del valore e dell'importanza della nostra musica antica e, ovviamente, alla rivalorizzazione del grande patrimonio storico organario italiano.
In quest'incisione troviamo undici trascrizioni che spaziano su duecento anni di musica, da Azzolino Bernardino della Ciaja, di cui viene presentata la trascrizione dei primi due movimenti della "Prima Sonata" per cembalo, fino a Franz Liszt, di cui Macinanti ci propone la trascrizione dell' "Ave Maria" (denominata anche "Le campane di Roma"), composta -appunto- a Roma nel 1862. Tra questi due capisaldi, troviamo poi l' "Adagio e Allegro" (dalla Sonata in Do per cembalo) di Galuppi, il "Coro della Primavera" tratto dall'oratorio "Die Jahreszeiten" di Haydn (Bossi lo diresse alcune volte nella sua vita a poi lo trascrisse per organo), la "Marcia Funebre" (dalla Seconda Sonata) di Chopin, la "Siciliana" (dalla Nona Sonata per cembalo) di Giovan Battista Martini, due dei sei "Momenti Musicali" (n. 2 e n. 4) di Schubert, l'"Aria popolare del paese di Ath" (tratta da un canto popolare belga), i primi tre movimenti (Allegro Mestoso, Adagio, Allegro) dalla "Terza Sonata" di Johann Kuhnau (autore di cui parliamo in altra pagina), ed una "Melodia" (conosciuta anche come "Danza degli Spiriti Beati") tratta dall' "Orfeo ed Euridice" di Gluck.
Se negli altri CD di quest'integrale (soprattutto nel tredicesimo) Andrea Macinanti aveva sottolineato le caratteristiche più propriamente "sinfoniche" delle trascrizioni bossiane, è in questo disco che egli ci rappresenta un Bossi trascrittore più rivolto al passato e, come abbiamo detto, molto "rispettoso" (per quanto era consentito dall'estetica del tempo) delle caratteristiche originali dei brani, dimostrandocene un approccio che se non si può definire "filologico" nel senso che oggi diamo a questa parole, sicuramente -per quell'epoca- ci si avvicina molto.
Macinanti è un organista solido e di notevole esperienza e bravura a cui abbiamo già dedicato un paio di recensioni su queste pagine, la prima (QUI) dove trattavamo un suo interessantissimo testo critico sui tre Corali di Franck e la seconda (QUI) in cui recensivamo un suo interessante disco di musiche di autori bolognesi. Bolognese egli stesso, diplomato in Organo, Cembalo e Canto a Bologna e perfezionato con Schnorr, è ormai un interprete apprezzatissimo anche in ambito internazionale sia nel campo della musica antica che moderna. Tra le sue incisioni, oltre alla colossale integrale dedicata a Marco Enrico Bossi, anche dischi dedicati a Respighi, Tebaldini e Giarda. Docente presso il Conservatorio di Bologna, ha scritto anche diversi interessanti testi critici e di approfondimento sulle musiche di Frescobaldi, Scarlatti e Martini. Parallelamente all'attività musicale si dedica anche ad altri interessi sia nel campo letterario (è laureato in Lettere e Filosofia) che sportivo (è Cintura Nera IV Dan di Karate). Anche in questo disco (così come nei precedenti tredici dedicati alla musica di Marco Enrico Bossi) Macinanti ci dimostra, da una parte, un approccio molto preciso alle caratteristiche musicali di questo autore (di cui dimostra di conoscere a fondo sia l'ispirazione che la personalità) e, dall'altra, un tanto rispettoso quanto approfondito studio delle caratteristiche tecnico-foniche degli strumenti per cui queste musiche sono state composte (e la scelta strumentale di questo disco ne è un'ulteriore testimonianza), andando così a cogliere in modo perfetto un connubio musicale che, unitamente ad un'interpretazione precisa, attentissima e molto partecipata, ci offre anche questa volta un ritratto molto preciso ed aderente di questo grande autore italiano.
Lo strumento qui scelto ed utilizzato, dobbiamo dirlo sinceramente, è -a nostro parere- una "ciliegina" sulla torta di questa integrale. Si tratta del grande organo realizzato da Carlo Vegezzi Bossi nel 1899 per la Cattedrale dell'Assunta di Lucera (Foggia) e che può vantare (così come tanti altri strumenti realizzati in quel periodo dallo stesso organaro) di essere stato inaugurato proprio da Marco Enrico Bossi, che lo aveva giudicato tra i migliori fino ad allora costruiti in Italia. Un'ulteriore particolarità di questo strumento è di essere stato -con tutta probabilità- il primo organo inaugurato in Italia nel Ventesimo Secolo, poichè la sua inaugurazione ufficiale avvenne, esattamente, nella notte di Capodanno tra il 1899 ed il 1900.
Si tratta di un corposo organo che rientra nel primo periodo dell'attività "riformata" di Carlo Vegezzi Bossi, periodo in cui egli tendeva a mantenere presenti nei suoi strumenti alcune caratteristiche specifiche dell'organaria italiana dei secoli precedenti (come ad esempio le prime file del Ripieno separate) integrandole con timbriche di carattere "coloristico-orchestrale" di nuova concezione (Concerto Viole) o di estrazione classica estera come la Voce Corale (che è la Voix Humaine ad ancia francese). Questo strumento, sistemato in stile "ceciliano" (cioè senza cassa esterna) su di una artistica tribuna lignea che si accorda perfettamente con le linee architettoniche del gotico essenziale della chiesa, presenta anche un artistico baldacchino superiore che sembrerebbe messo lì per una funzione meramente decorativa ma che, in effetti, è stato pensato dall'organaro come un pannello fonoriflettente (oggi lo si definirebbe come una "lente acustica") il cui compito, in mancanza della cassa esterna dello strumento, è quello di "orientare" verso il basso il suono dell'organo (che altrimenti si dirigerebbe verso l'alto) e che consente di evitare la formazione degli echi e dei riverberi che l'altezza del tempio inevitabilmente comporterebbe.
Due tastiere e pedaliera di 30 note con trasmissione elettrica sono il cervello di questo organo, che presenta 29 registri nominali (una quarantina reali). Come dicevamo, la disposizione fonica rispecchia i fondamentali dell'organaria classica italiana con una piramide armonica di base 16 piedi con alcuni inserti di carattere orchestrale e coloristico, tra cui, oltre a quelli già citati, troviamo anche uno splendido Clarinetto (sonorità a cui Carlo Vegezzi Bossi era particolarmente affezionato). Al pedale, curiosamente, come ancia non troviamo la "solita" Bombarda, bensì un robusto e sonoro Trombone. Il tutto forma un organo che ad una compattezza sonora veramente notevole unisce una particolare versatilità sul versante delle timbriche solistiche, che spiccano tutte in modo eccezionale e che lo rendono assolutamente adatto per un repertorio sia di tipo classico che più spiccatamente "moderno".
Originariamente realizzato con trasmissione pneumatica tubolare, l'organo della Cattedrale di Lucera ha subito nel tempo alcuni interventi, dapprima con l'installazione di un motore elettrico per l'azionamento dei mantici nel 1920 e poi, nel 1950, con l'installazione di una nuova consolle con trasmissione elettrica (interventi effettuati dalla stessa ditta costruttrice); nel 1986 fu invece Continiello ad effettuarne una "revisione" ed, infine, è stato interamente restaurato nel 2013-2017 dalla ditta Brondino Vegezzi Bossi di Centallo, erede diretta della tradizione organaria del costruttore, con sistema trasmissivo elettronico; tale restauro ha consentito di poter riavere in perfetta efficienza un importante strumento che non è solo una splendida "macchina musicale" ma, anche, una preziosa testimonianza di un periodo dell'arte organaria italiana e di un organaro che, senza alcun dubbio, ha più di ogni altro contribuito alla nascita della moderna scuola organaria italiana, apprezzata in tutto il Mondo.
Le registrazioni sono state effettuate nel mese di Ottobre 2017 con Angelo Di Cosimo (Clab Studios) alla consolle di mixaggio. La presa di suono è molto accurata ed impostata secondo i canoni per cui l'effetto fonico complessivo si presenti il più possibile aderente ad un ideale punto d'ascolto "medio" tra l'organista in tribuna ed un ascoltatore ubicato in chiesa. Questa tecnica consente da una parte di avere una resa ottimale degli insiemi ed una giusta sottolineatura delle voci soliste, contribuendo inoltre a differenziare nel modo migliore i vari piani sonori delle due tastiere e, dall'altra, di conservare un "ambiente" il più possibile naturale che mantenga sempre equilibrate le percentuali di eco e riverbero, che in quest'incisione risultano perfettamente dosate. Ottimo il lavoro di editing e postproduzione, curato dallo stesso Di Cosimo e da Giuseppe Monari, che ci restituisce un suono brillante, compatto, oltremodo preciso e dettagliato e di grande compattezza degli insiemi che, soprattutto nei "fortissimo", si presentano veramente grandiosi e di spiccata personalità.
Ottima la veste grafica, che segue i modelli di sobrietà ed efficacia propri di questa casa musicale. Iconografia essenziale e testi (di Andrea Macinanti) interessanti ed esaurienti in Italiano ed Inglese caratterizzano un libretto di sedici pagine molto agile e piacevole da leggere.
Consigliamo molto volentieri questo disco (così come tutti gli altri di questa bella integrale) ai nostri amici lettori, appassionati e non, che vi troveranno, oltre ad un aspetto poco conosciuto del "padre" dell'arte organistica italiana moderna, diversi motivi di interesse uniti ad una particolare gradevolezza d'ascolto.



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