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Roberto Marini plays Symphonic Organ Music




Roberto Marini plays Symphonic Organ Music
Organista: Roberto Marini
Organo: Chiesa di Santa Rita da Cascia di Mestre
Fugatto Records - CD - DDD - FUG079 - 2020

Abbiamo gradito quest'ultima fatica musicale di Roberto Marini per diversi motivi. In primis per il fatto di ascoltarlo nuovamente mentre si confronta con "grandi" (in tutti i sensi) brani organistici, che sono una delle sue specialità; in secondo luogo perchè in questo disco possiamo anche apprezzare in modo assai completo le sue qualità di trascrittore.
Indubbiamente in quest'incisione, che contiene "solo" quattro brani, è concentrato un panorama musicale molto vasto, proprio dell'estetica musicale tardo-romantica, in cui l'aspetto orchestrale e sinfonico dell'organo era predominante. In quest'ottica si ricomprende anche l'arte della trascrizione non come semplice "adattamento" all'organo, bensì come "ri-creazione" di brani che, originariamente concepiti per altri strumenti, assumono una personalità nuova del tutto coerente con lo spirito di quell'epoca.
Solo quattro brani, dicevamo, ma di eccezionale spessore sia musicale che organistico. In quest'incisione troviamo infatti la "Sonata Eroica" di Jongen, l'elaborazione per organo della "Ciacona BWV 1004" per violino solo di Bach realizzata da Ulisse Matthey, il "Preludio e Doppia Fuga" di Ferruccio Busoni e, per finire, la "Sonata in Si minore" di Franz Liszt trascritta ed elaborata dallo stesso Roberto Marini.
Quello che ci colpisce sempre -ed anche in questo caso- di Roberto Marini è la serietà, l'accuratezza ed il grande lavoro di preparazione con cui egli affronta le partiture. Sotto questo aspetto nulla è lasciato al caso; Marini approfondisce con cura ed attenzione non solo le musiche, ma anche il periodo storico e musicale, le vicende musicologiche, la personalità dell'autore e le sue caratteristiche anche meno evidenti. Tutto questo, unito ad una tecnica sopraffina e ad un'assoluta padronanza dello strumento, fa si che tutte le sue performances siano di altissimo livello e facciano di lui uno dei più apprezzati organisti a livello mondiale.
La "Sonata Eroica" è il brano organistico più conosciuto di Joseph Jongen, che fu un personaggio musicale importante non solo in Belgio, suo Paese natale, ma anche in diverse altre nazioni europee. Musicista molto raffinato, durante i suoi viaggi attraverso l'Europa effettuati a cavallo tra Ottocento e Novecento ebbe occasione ed opportunità di conoscere -e di studiare con- diversi importanti musicisti tra cui D'Indy, Richard Strauss (di cui fu allievo), Fauré ed altri che segnarono profondamente la sua estetica musicale. Il catalogo delle composizioni di Jongen conta quasi duecento brani, una trentina dei quali composti durante i suoi viaggi europei e che testimoniano ampiamente il suo percorso artistico giovanile. Il grosso della sua produzione risale però al mezzo secolo che egli, dal 1902 al 1952, trascorse a Liegi e a Bruxelles dopo essere ritornato in patria. In questo ampio repertorio possiamo constatare che Jongen fu un musicista davvero completo, i cui orizzonti spaziavano in tutti i generi musicali, dalla grande orchestra al pianoforte, dalla musica corale al quartetto d'archi, dalle formazioni strumentali più diverse all'organo. Per questo strumento solista egli compose, nell'ordine, i Cinque Pezzi per Organo (1893-1896), i Due Pezzi per Organo del 1917, la Sonata Eroica del 1930, la Toccata per Organo del 1935, altri Due Pezzi per Organo del 1938 ed il Preludio e Fuga del 1943. Tra le sue composizioni per organo ed altri strumenti spicca la Symphonie Concertante per organo ed orchestra composta nel 1927. Per inquadrare nel giusto modo questo brano nell'ambito del disco è opportuno sottolineare come Jongen avesse inizialmente intitolato quest'opera come "Variazioni" e solamente dopo la "prima" esecuzione, avvenuta a Bruxelles il 6 Novembre 1930, abbia deciso di cambiarne il titolo in "Sonata" proprio per le affinità che questo brano presentava con... la Sonata in Si minore di Liszt. Non sfuggirà quindi ai lettori più attenti che non è certo un caso se questi due brani "aprono" e "chiudono" questo disco.
La "Ciacona" per violino solo BWV 1004 di Bach fu scritta nel 1720 ed è l'ultimo movimento della "Partita n. 2" in Re minore. Sulla genesi e sulle caratteristiche musicali di questo brano si sono scritti fiumi d'inchiostro da parte di tutti i maggiori critici musicali di ogni epoca; quello che è universalmente ormai accertato è il fatto che questo brano solistico rappresenta uno dei massimi vertici della tecnica violinistica di tutti i tempi. A prescindere dalle varie analisi musicologiche, talora in contrasto tra di loro, questo brano ha suscitato l'interesse di altri musicisti già fin dalla sua prima edizione a stampa, avvenuta nel 1802 e già da allora questo pezzo di bravura fu visto come uno splendido disegno musicale su cui elaborare, ognuno secondo il suo stile e la propria sensibilità, costruzioni più complesse. Il primo a farlo fu Schumann, che già nel 1854 ne diede alle stampe una versione "con accompagnamento di pianoforte". In seguito furono moltissimi i musicisti che presero questo brano come base su cui costruire opere che sono poi passate alla storia della Musica. Uno di questi, nel campo organistico, fu Ulisse Matthey (lo abbiamo trattato in questa pagina), che ha rappresentato uno dei più alti livelli della scuola organistica italiana del Primo Novecento e che a tutt'oggi non è valorizzato come meriterebbe. Matthey fu un virtuoso dell'organo sinfonico e, a parte le sue magistrali ed eccezionali interpretazioni, ha scritto diverse opere (molte delle quali ancora sconosciute) in cui spicca un utilizzo dell'organo come strumento orchestrale al massimo livello ed in cui il grado di virtuosismo (e, quindi, di difficoltà esecutiva) è altissimo. La sua "trascrizione" della Ciacona di Bach non è -evidentemente- una trascrizione, bensì una raffinata elaborazione che pone le sue basi sull'opera originale per realizzare un'architettura musicale in cui per ognuna delle trenta variazioni che compongono l'opera l'organo assume una veste diversa, in un caleidoscopio di sfumature, andamenti, timbri e sonorità che rendono questo brano un vero e proprio capolavoro. Anche in questa scelta di posizionamento del repertorio nel disco ritroviamo quel "fil rouge" che Marini ha seguito per questa produzione discografica: in effetti, una delle migliori (e più conosciute) "trascrizioni" della Ciacona di Bach è quella per pianoforte di Ferruccio Busoni e, anche qui, non è un caso se il brano che segue nel disco è il "Praeludium und Doppelfuge" di Busoni.
Busoni è molto noto soprattutto nell'ambito pianistico per le sue composizioni originali e per le sue trascrizioni ma fu anch'egli un notevole compositore anche in altri ambiti strumentali tra cui il teatro musicale (compose quattro opere teatrali), l'orchestra, la musica corale ed altro. Quasi contemporaneo di Matthey, Busoni rivolse le sue attenzioni di trascrittore in particolar modo a Johann Sebastian Bach e le sue elaborazioni bachiane sono talmente caratterizzate dalla sua personalità musicale che vengono indicate con il doppio autore "Bach-Busoni", quasi a certificarne una doppia -peraltro giustificatissima- paternità. Il "Praeludium und Doppelfuge" è l'unica composizione di Busoni per organo ed è formata da due parti composte in momenti diversi. Il Preludio fu scritto nel 1880, quando Ferruccio aveva 14 anni ma già da sette calcava le scene come concertista e da due aveva iniziato a comporre (la sua prima opera, un concerto per pianoforte ed orchestra, la scrisse a 12 anni). La fuga, invece, risale a diversi anni dopo e presenta la caratteristica squisitamente bachiana dei due soggetti. Quest'opera, di assai difficile interpretazione tecnica, non è molto conosciuta e sono assai rare le sue incisioni discografiche.
Abbiamo detto che Busoni si dedicò all'arte della trascrizione ed è proprio in quest'ambito che troviamo l'ultimo collegamento "sotterraneo" che lega il repertorio di questo disco. Busoni elaborò infatti anche molte "trascrizioni" di Franz Liszt e, sempre non per caso, l'ultimo brano di quest'incisione è una trascrizione da Liszt. Da Jongen a Liszt attraverso Matthey e Busoni, un cerchio di intrecci tra opere originali e trascrizioni che si chiude alla perfezione.
La "Sonata in Si minore" è sicuramente una delle opere pianistiche più famose di Liszt. Si è discusso molto sulla sua struttura formale ed ancora oggi non si è addivenuti ad una definizione univoca poichè se da una parte la forma di questo brano NON è quella della sonata classica, è pur vero che all'epoca della sua scrittura il concetto stesso di Sonata si stava evolvendo in qualcosa di più ampie proporzioni, che Liszt (ed anche i suoi contemporanei) ipotizzava -e realizzava- in brani mono-movimento di grandi dimensioni in cui i "tempi" della Sonata classica si diluiscono e si concatenano con altre forme fino a raggiungere una caratteristica formale che ricalca da vicino, da una parte, gli stilemi della "Fantasia" romantica e, dall'altra, quelli del "Poema Sinfonico". Per questi motivi, ma anche per altri che riguardano l'aspetto della simbologia musicale, da parte di molti critici la Sonata in Si minore viene considerata, appunto, come un Poema Sinfonico. E come tale Roberto Marini la tratta nella sua trascrizione per organo, in cui esalta i caratteri spesso contrastanti di questo grande affresco mettendone in risalto le alternanze dinamiche spesso aspre e spigolose così come i momenti di grande tensione emotiva causati da un pensiero musicale intenso, a tratti grandioso, talora etereo ai limiti del silenzio quanto oscillante tra il grave (inteso come "drammatico") e l'esaltazione lirica propria dei grandi romantici.
L'organista Roberto Marini, che in passato ha sfornato (oltre a tutto il resto) un'integrale fantastica di Reger, l'integrale di Brahms, l'integrale di Schumann, una bellissima selezione delle composizioni di Flor Peeters ed uno splendido video dedicato a Liszt e Reubke, si dimostra anche qui come il grande interprete (attenzione, abbiamo detto "interprete" e non "organista" perchè se il primo termine comprende sempre anche il secondo, in effetti non sempre accade il contrario) che in effetti è. La sua visione musicale e musicologica di alto profilo, la tecnica sopraffina che, nonostante le innumerevoli sollecitazioni provocate da un tale tipo di repertorio, non sconfina mai in un virtuosismo autocompiacente e sterilmente spettacolare e l'approfondimento storiografico assolutamente corretto uniti ad un approccio assolutamente rispettoso delle peculiarità specifiche dei vari autori rendono questa sua fatica musicale veramente interessante e di grande spessore artistico.
L'organo scelto per l'incisione è il grande Tamburini originariamente (nel 1958) realizzato ed installato nella Basilica di San Marco a Venezia per volere dell'allora Cardinale Angelo Roncalli, poi eletto al Soglio Pontificio con il nome di Papa Giovanni XXIII e dichiarato "Santo" nel 2014. Quest'organo, dismesso e smontato nel 1994, è stato poi trasferito presso la Parrocchia di Santa Rita di Mestre ed accuratamente rimontato ed ampliato. Esso presenta 83 registri nominali suddivisi su tre tastiere e pedaliera. La disposizione fonica è squisitamente "eclettica", come quella di tutti i grandi organi italiani di quell'epoca, ma presenta una base "italiana" solidissima, il cui "zoccolo duro" al Grande Organo è rappresentato da un sostanzioso Ripieno di undici file di cui le prime sei azionabili singolarmente (esattamente come negli organi classici italiani). Numerosi e ben caratterizzati i Flauti, ben calibrate le Mutazioni semplici soprattutto al Positivo, buona dotazione di ancie (tra cui anche ottime Trombe a Squillo) ed alcuni sapienti inserti di registri coloristici ed "orchestrali" rendono questo strumento molto versatile ed assolutamente appropriato per rappresentare nel migliore dei modi le grandiose opere romantiche di quest'incisione.
Le registrazioni sono state efettuate nel mese di Ottobre 2019 con alla consolle di mixaggio il sempre impeccabile Federico Savio che, anche qui e come sempre, si dimostra un espertissimo -ed elegantemente sofisticato- tecnico del suono. A prescindere dalle sue evidenti qualità tecniche, che abbiamo sottolineato già più e più volte, possiamo dire che la collaborazione ormai da anni consolidata tra Savio e Marini anche in questo caso riescono a fare la differenza per una produzione discografica veramente bella, oltremodo interessante e di grande impatto.
Sempre molto assai gradevole la veste grafica (anch'essa curata da Federico Savio) ed il libretto illustrativo con interessanti ed esaustivi testi in Italiano ed Inglese ed un layout con corredo iconografico particolarmente curato. Il tutto in un disco che per repertorio, livello e qualità di interpretazione e risultato timbrico-fonico di altissimo livello riteniamo assolutamente indispensabile per tutti gli amici lettori e appassionati a cui lo consigliamo senza riserve.



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