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La presenza organaria europea in Italia e gli inizi del Movimento Riformista




L'anno 1890 rappresenta per l'organo italiano una data importante. Mentre per gli estimatori dell' organo classico segna l'inizio del tramonto di tale modello, per i cultori dell'organo 'da concerto', rappresenta l'inizio di una grande era artistica e musicale. Ma occorre riandare indietro nel tempo per approfondire le cause di un movimento artistico così radicale nei mutamenti da prendere il nome di 'Riforma'.
Gli organi che venivano costruiti, ancora dopo la metà del 1800, dagli organari italiani derivavano direttamente dai 'positivi', fatte salve le inevitabili evoluzioni della meccanica. L'organo-tipo di quel tempo aveva una tastiera, registri spezzati, corpo d'organo unico, pedaliera ridottissima e trasmissione meccanica. Tale tipo di organo era molto ben considerato dagli organisti per un paio di motivi fondamentali: conservava il timbro classico nei Principali e nei Ripieni, per cui il suo uso nella liturgia fruiva appieno di queste sonorità; dall'altra parte, l'impiego di registri particolari di assolo e la presenza di accessori come campanelli e tamburi, permetteva di riproporre le arie ed i motivi delle opere teatrali allora di moda.
Gli organari, per parte loro, non avevano problemi nel costruire tali strumenti, forti di una plurisecolare tradizione tutta basata sulle due principali famiglie dei registri organistici: i Principali ed i Flauti. In effetti, però, non è vero che gli organari italiani di quel tempo non fossero a conoscenza di ciò che accadeva negli altri paesi Europei, anzi, si può dire che lungo tutti i secoli della lunghissima storia dell'organo gli organari sono stati la categoria di persone che più manteneva contatti all'estero; d'altra parte, prendendo ad esempio i Serassi, a ragione considerati i migliori artigiani del tempo, vediamo che introdussero i registri spezzati, che già esistevano in Spagna da almeno due secoli, così come i registri tipo Nazardo o Bombarda li introdussero dopo averli acquisiti dall'organaria francese del settecento.
E' quindi inesatto affermare che in Italia non si sapeva di ciò che avveniva all'estero; è invece vero che gli organari italiani della prima metà dell' 800 risentirono delle particolari condizioni dell'estetica musicale di allora; d'altra parte gli organari non erano artisti e mecenati, e dalla loro attività traevano di che vivere, per cui anche per loro valeva la legge di mercato di tutti i tempi: fornire ai committenti gli strumenti che desideravano. Con questi presupposti è quindi chiaro che se essi avessero operato anche solo cinquant'anni più tardi, la loro abilità nella tecnica costruttiva e nell'intonazione li avrebbero resi molto più famosi di quanto in effetti furono.
Mentre in Italia si verificavano queste situazioni, all'estero l'organo subiva radicali trasformazioni. Fin dal 1835 Barker aveva impresso una svolta decisiva con l'invenzione della leva pneumatica, che apportò una rivoluzionaria innovazione nella tecnica organaria; a seguito di ciò Cavaillé-Coll piegò le nuovissime tecniche al servizio della nascita di un organo di concezione nuova. Assieme a lui altri organari francesi ed inglesi diversificarono i campi d'azione introducendo innumerevoli altre piccole innovazioni che cambiarono totalmente le caratteristiche dell'organo. E furono proprio costoro a tentare un primo approccio alla realtà organaria italiana.
Nel 1868 Cavaillé-Coll costruisce l'organo per il Collegio Americano di Roma e qualche tempo dopo tenta il colpo grosso: sottopone al Papa Pio IX un progetto di organo per la Basilica di San Pietro che prevede 124 registri su cinque tastiere e pedaliera; il Papa ringrazia, ma poi non se ne fa nulla. E' interessante rilevare, a questo proposito, che la proposta di un organo tutto francese (il progetto verrà poi rielaborato da Mutin) per il Vaticano verrà portata avanti fino alle soglie del primo conflitto mondiale, attraverso due successivi pontificati e con l'invio di una cospicua somma in denaro da parte di un comitato presieduto da Widor, ma il risultato non cambierà.
 Organo San Giovanni in Laterano Nel 1879 Saint Saens rifiuta di suonare l'organo del Conservatorio di Milano; la polemica che sorge fa capire che il modello dell'organo italiano comincia a non essere più totalmente accettato.
Nel 1881, Merklin, francese di nascita, tedesco di origini e belga di residenza, cresciuto alla scuola dei Walcker, costruisce l'organo per la chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma. Nello stesso anno George Trice, organaro inglese, inizia, a Genova, l'attività di costruzione organi su modelli d'oltralpe.
A questo punto la presenza organaria straniera in Italia non può più passare inosservata; questi nuovi strumenti stupiscono moltissimo gli organisti italiani che li vanno a provare, dischiudendo loro orizzonti inimmaginabili ed anche alcuni organari italiani vengono incuriositi dall'utilizzazione delle nuove tecniche. Dall' unione di un organista, Filippo Capocci, e di un organaro, Morettini, prende origine il primo organo costruito da una ditta italiana su nuovo modello: lo strumento della Basilica di San Giovanni in Laterano di Roma (foto a lato), costruito nel 1886, solo quattro anni prima del fatidico 1890.

Ed eccoci, dunque, nel 1890. La città che testimonia l'inizio del nuovo corso è Genova. Nella stessa città, nello stesso anno, si chiude anche ufficialmente l'era dell'organo italiano classico. Infatti, mentre nella cattedrale di San Lorenzo l'organaro Camillo Guglielmo Bianchi sta terminando il suo ultimo strumento di tipo classico, nella chiesa dell' Immacolata Concezione l'organaro inglese Trice è indaffarato al completamento di quello che diventerà il manifesto del nuovo movimento organario italiano: un organo a tre tastiere e pedaliera estesa, costruito secondo i metodi ed i canoni delle moderne tecniche europee.
Nessun appassionato di organo può ignorare questa pagina di storia dell'organo italiano: un organo di dimensioni mai viste prima in Italia, rivoluzionario per concezione e costruzione viene tenuto a battesimo da tre organisti che rappresentano il passaggio di consegne della nuova arte interpretativa dai grandi maestri francesi ai nuovi maestri italiani. Alexandre Guilmant, compositore e rappresentante del concertismo organistico francese, Filippo Capocci, compositore e rappresentante del nuovo concertismo organistico italiano e Giovanni Battista Polleri, organista genovese a cui viene affidato lo strumento, durante tre giorni affascinano il pubblico che accorre ad ascoltare questo nuovo strumento. A questi concerti è presente, come ascoltatore, un giovane organaro italiano, Carlo Vegezzi Bossi.
 Targa Bianchi Questo anno 1890 si chiude, da una parte, con la morte di Camillo Guglielmo Bianchi, ultimo esponente della tradizione classica e con l'inizio, dall'altra parte, della frenetica attività di Carlo Vegezzi Bossi, primo organaro attuatore della Riforma.
Abbiamo parlato, a proposito del Bossi, di attività frenetica. Il termine non sembri esagerato; risulta infatti che questo organaro, dal 1890 al 1896 abbia costruito ben sedici organi, tutti di nuova concezione. Se consideriamo il fatto che questi strumenti erano tutti di notevoli dimensioni e che il Bossi li curava tutti personalmente, possiamo renderci conto, sapendo che il tempo medio impiegato per la costruzione ed installazione di uno strumento era di otto-dieci mesi, di quanto lavorasse questo artigiano. I frutti di questo lavoro, che non risparmierà al Bossi lunghi viaggi e trasferte faticosissime, non tardarono a venire, anche grazie alla sua amicizia con Marco Enrico Bossi, il primo vero organista-concertista italiano, il quale, durante le sue tournées all'estero gli riportava le ultime novità costruttive degli organi stranieri e che spesso inaugurava gli strumenti nuovi che costruiva.
 Carlo vegezzi Bossi A questo punto la presenza organaria estera in Italia si esaurisce ed il definitivo passaggio di consegne dagli esteri agli italiani in fatto di nuove tecniche organarie avviene nel 1896, proprio a Genova, ove aveva avuto inizio questa grande rivoluzione: Carlo Vegezzi Bossi rileva in blocco la fabbrica di George Trice e diventa il maggior organaro italiano dell'epoca. Da questo momento, e per molto tempo, in Italia dire organo significa dire Bossi, nonostante si registri la nascita di nuove grandi case organarie. La fama del Bossi passerà poi, di molto, le frontiere nazionali; negli anni successivi l'opera di questo geniale artigiano e del fratellastro Francesco, che uniranno i loro sforzi in una attività enorme, lo porterà a costruire organi in ogni parte del Mondo (Liegi, Buenos Ajres, Montevideo, Menton, S.Paolo del Brasile, Betlemme, Nazareth, Gerusalemme, Punta Arenas, ecc.., ecc..), in un crescendo che si arresterà solo a causa del secondo conflitto mondiale.
Chi scrive ha avuto l'onore ed il piacere di conoscere Carlo Vegezzi Bossi, figlio di Francesco, ed è stato entusiasmante constatare come per questa stirpe di organari l'organo non fosse assolutamente un mestiere od una professione ma una ragione di vita, un'attività in cui essi donavano sempre tutto di loro stessi.

Ritornando all'argomento principale di questa trattazione, possiamo dire che l'organo classico italiano aveva ormai le ore contate. Fermenti e novità arrivavano di continuo dall'estero; nuovi organisti francesi e tedeschi avevano ormai definito un nuovo tipo di estetica organistica e di tecnica esecutiva che non potevano essere ignorati più a lungo. Il vero problema italiano fu che in quell'epoca non esistevano ancora personalità capaci di attuare un'agevole mediazione tra le novità europee, molto distanti dall'estetica organaria italiana, ed il radicato convincimento che l'organo italiano dovesse rimanere ancorato a schemi antichi di secoli.
L'azione degli organari stranieri in Italia trovò un buon terreno anche perchè in Italia, in quegli anni, gli organari esistenti erano vecchi abbastanza per non essere in grado di recepire le novità mentre mancavano totalmente nuovi organari che potessero assimilare queste nuove tendenze. Il primo in assoluto ad intraprendere seriamente e totalmente questa strada fu, quindi, Carlo vegezzi Bossi ed il suo successo fu dovuto, essenzialmente, alla sua capacità di adattare le nuove tecniche organarie ad una tradizione organaria che, a ragione, egli ritenne che non dovesse mai essere rinnegata od abbandonata. I suoi strumenti, infatti, se da una parte adottavano rivoluzionari accorgimenti tecnici, dall'altra mantenevano un rassicurante aspetto casalingo dovuto alla presenza di quei registri spiccatamente italiani che egli si rifiutò sempre di eliminare.

In conclusione mi limiterò a dire che la Riforma organaria italiana è merito di una serie di fattori concomitanti tra cui, molto importante, l'attività svolta in Italia da alcuni organari stranieri che, di fatto, introdussero nel nostro Paese il germe di quello che poi fu la Riforma. E' indubbio, d'altro canto, che se non si fosse presentato sulla scena Carlo Vegezzi Bossi, gli organari stranieri l'avrebbero fatta da padroni ancora per lungo tempo e, a questo proposito, è doveroso ricordare quello che di lui dice Corrado Moretti nel suo libro 'L'Organo Italiano':"In un momento storico delicatissimo ebbe il grande merito di fermare, al confronto con le sue opere, la penetrazione degli organari stranieri in Italia, perchè seppe dimostrare, in meno di un decennio, di saper fare come loro e meglio di loro.".



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