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L'Organo Italiano nell'Ottocento - Prima Parte




 Organo Serassi Abbiamo in passato trattato il periodo della Riforma Organaria Italiana di fine Ottocento, approfondendo le figure di Camillo Guglielmo Bianchi e di George William Trice, i due organari che hanno rappresentato il passaggio tra l'organo italiano classico e quello moderno (riformato). Ma se Camillo Guglielmo Bianchi è stato l'ultimo esponente dell'organaria italiana classica, nei cent'anni precedenti si era sviluppata una scuola organaria del tutto particolare, una scuola che, influenzata dallo stile musicale operistico allora in voga, aveva prodotto strumenti che pur prendendo a base la struttura fonica dell'organo classico italiano, l'aveva arricchita di tutta una serie di registri di tipo coloristico ed orchestrale, compresi tamburi e campanelli, che aveva reso l'organo italiano del tutto particolare, quasi una banda-orchestra su cui diveniva possibile ed oltremodo agevole eseguire le trascrizioni delle arie delle opere teatrali più conosciute e per il quale un nutrito stuolo di compositori sfornava melodie e brani di tipo sinfonico-operistico da destinarsi non solo alla delizia del pubblico, ma anche e soprattutto alla liturgia. Nel periodo di massimo splendore di questa scuola organaria ed organistica era quindi normale, durante la Messa, ascoltare polke e mazurke, con tanto di accompagnamento di piatti e grancassa, all'Offertorio od alla Comunione.
L'esagerazione di questo utilizzo di musica sinfonico-operistica nei Sacri Riti fu tra le cause della rapida fine di questa scuola organaria. Ad essa si aggiunse poi la riscoperta e la rivalorizzazione della musica antica, del contrappunto e, non ultimo, uno spirito di modernità che, proveniente dall'estero insieme alle nuove scoperte della tecnica, fecero si che l'organo italiano ricevesse una forte spinta verso la sua modernizzazione. Ma di questo abbiamo già parlato.
Fino alla fine del Settecento l'organo italiano non si era mai discostato molto dal modello classico. Gli strumenti costruiti nel Settecento da Donato del Piano, da Gaetano Callido, da Nacchini, da Concone, da Piacentini e dai Roccatagliata non differivano di molto sia tecnicamente che fonicamente da quelli costruiti nei secoli precedenti dalla dinastia degli Antegnati, a cui va il merito di avere preservato le caratteristiche timbrico-foniche dell'organo italiano dalla fine del 1400 fino al 1652, anno in cui gli Antegnati cessarono di costruire organi.
Nel Seicento ci furono alcune "contaminazioni" estere. Guglielmo Hermans, Eugenio Casparini ed Antonio Julien portarono nella penisola italica alcune novità dalla Germania e dalla Francia, ma queste novità più che rivoluzionare l'organo italiano, lo completarono adattandovisi ed acquisendone le caratteristiche, al punto che questi organari vengono unanimemente considerati come organari italiani a tutti gli effetti.
A loro si deve soprattutto la valorizzazione timbrica della piramide femminile dei registri, cioè l'introduzione di diversi registri di flauto nelle varie misure, cosa abbastanza nuova poichè fino ad allora l'organo italiano privilegiava nettamente la piramide maschile del Ripieno. Fanno quindi la loro comparsa i Flauti in Duodecima, in Decimanona, gli Ottavini e, in taluni strumenti grandi, anche i Flautini nella misura di 1 Piede. Questo tipo di strumento viene comunemente definito, nella storiografia organaria italiana, come "Organo Barocco Italiano", che vede anche l'introduzione di registri ad ancia di tipo diverso e con caratteristiche più spiccate.
Curiosamente, mentre in tutta la penisola si evolve questo tipo di strumento, peraltro sempre profondamente radicato e basato sulla tradizione organaria classica, nel Veneto si verifica un fenomeno di parziale rifiuto e di ritorno all'essenzialità dell'organo italiano classico basato esclusivamente sulla piramide maschile del Ripieno. Artefici di questo "neoclassicismo" dell'organo italiano furono soprattutto Pietro Nacchini e Gaetano Callido, organari che univano al mantenimento di un ideale "duro e puro" di organo italiano una stupefacente abilità costruttiva, che permise loro di produrre organi splendidi sia sotto l'aspetto tecnico che timbrico e fonico. I loro strumenti, pur se perfettamente realizzati, non indulgono minimamente a sonorità diverse dal Ripieno, riportando il tutto all'essenzialità ed alla semplicità classica dell'organo italiano, con una predilezione per la rivalutazione delle file più acute, che danno a questi strumenti un'inconfondibile brillantezza di suono ed un'impronta unica ed irripetibile. Ed anche i registri ad ancia sono esclusivamente quelli classici: Tromboncini e, in rari casi, Violoncello. Negli strumenti costruiti da questi organari (ne realizzarono centinaia, moltissimi dei quali ancora funzionanti e restaurati) noi possiamo trovare l'essenza dell'organo italiano.
Ma è con la fine del Settecento che in Italia si comincia a respirare aria nuova, quell'aria di Libertà e di Novità che, arrivata dapprima sulle ali della Rivoluzione Francese e poi più massicciamente propalata dall'epopea napoleonica, nonostante decenni di guerre e distruzioni, fece germogliare quel seme di unità nazionale che porterà nel giro di mezzo secolo all'Unità d'Italia.
Non è questo il luogo più appropriato per una lezione di storia patria, ma è indubbio che la prima metà dell'Ottocento fu forse uno dei periodi più tumultuosi ed al tempo stesso entusiasmanti della società italiana. Una società nuova, diversa, basata su ideali che capovolgevano secoli di oppressione era a portata di mano; un nuovo modo di vita, basato sull'uguaglianza degli uomini e su nuove possibilità di ricchezza e di lavoro diventava possibile e raggiungibile. Tutto questo in Italia fu rappresentato da una parola: Risorgimento, e questo movimento ebbe una caratteristica fondamentale: non fu un movimento d'elite, bensì si affermò in tutti gli strati della popolazione, infiammando tutta la penisola, dalle grandi città fino ai più piccoli paesi ed ebbe un formidabile propellente: la musica operistica, che con Giuseppe Verdi diventerà il simbolo stesso del Risorgimento. Se il "Va pensiero" divenne il filo rosso che univa tutti gli italiani nella lotta verso l'unità nazionale, Giuseppe Verdi divenne egli stesso il simbolo più amato e conosciuto del Risorgimento. Non a caso i famosi volantini gettati dai loggioni dei teatri recavano la scritta "VIVA VERDI", ma per VERDI si intendeva V(ittorio) E(manuele) R(e) D(i) I(talia).
E mentre nelle città e nei teatri ci pensavano le orchestre a suonare le opere di Verdi, nei centri più piccoli e nei paesi ci pensavano le bande e l'organo, perchè tutti i paesi, anche i più piccoli, hanno quasi certamente una banda e, sicuramente, un organo nella chiesa. A tutto questo si univa una sempre più crescente sensibilità musicale nei confronti della musica operistica in genere. Le arie e le sinfonie delle opere teatrali di Cimarosa, Rossini, Bellini e Verdi erano applauditissime ed apprezzatissime in ogni angolo della penisola italiana e venivano eseguite a furor di popolo anche dagli organisti nelle chiese, che ben presto si tramutarono da organisti liturgici in organisti "operistici", dando così inizio ad un periodo che se da una parte fu decisamente innovativo sia sotto l'aspetto musicale che strumentale dall'altra assestò un colpo pressochè mortale alla tradizione organistica ed organaria italiana classica che dopo aver resistito per secoli, nel giro di neppure un decennio dovette capitolare di fronte a questa ventata rivoluzionaria e distruttiva. Sotto questa spinta di fenomenale potenza, l'organo italiano non poteva che vacillare sulle sue fondamenta rischiando di crollare per sempre. Ma questo non accadde grazie ad una famiglia di organari bergamaschi che ne presero in mano le sorti e, accompagnandolo attraverso la storia per quasi un secolo, lo rinnovarono e lo trasformarono assecondando i cambiamenti senza peraltro mai abbandonare le linee guida dell'organaria italiana. Questi organari si chiamavano Serassi, ed il loro nome sarà per quasi cent'anni sinonimo di grandi organi, magistralmente realizzati e per certi versi ancora oggi insuperati ed insuperabili.

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