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Passato, presente e futuro - Quarta Parte




Abbiamo citato brevemente nella precedente trattazione i motivi per cui assumere conclusioni e formulare prospettive per l'organo italiano risulta, oggi, abbastanza difficoltoso. In effetti le voci che punteggiano il panorama organistico ed organario italiano sono molte, diverse e spesso in contrasto tra di loro.
E' altrettanto indiscutibile che l'attuale situazione di confusione ed incertezza prende le mosse da quarant'anni di "smobilitazione" dell'organo dalle nostre chiese ad opera di quella parte di gerarchie ecclesiastiche che hanno malamente interpretato le disposizioni emanate dal Concilio Vaticano Secondo, che nonostante fossero state pensate con tutte le migliori intenzioni, dati alla mano si sono rivelate per l'organo italiano e per la sua musica una discreta sventura. L''organo ha così perduto la sua valenza principale di strumento per la liturgia, la sua dignità di strumento musicale ed il suo patrimonio di storia millenaria. A peggiorare le cose c'è poi stata la conseguente e progressiva disaffezione dei sacerdoti per questo strumento, che improvvisamente è stato visto come un motivo di impedimento allo svecchiamento di una Chiesa che in pochi decenni ha praticamente cassato tutti i riferimenti estetici, artistici, musicali e visivi al soprannaturale. In questo panorama di progressivo avvizzimento della Liturgia, l'organo e la sua musica sono stati tra le vittime più illustri. Non è il caso qui di ricordare quanti preziosi strumenti, in precedenza amorevolmente accuditi ed utilizzati da organisti fors'anche dilettanti ma sinceramente appassionati e frettolosamente liquidati per fare posto a chitarre e percussioni, siano stati ridotti dapprima al silenzio e poi, inevitabilmente, al degrado e, addirittura, alla vendita.
Analogamente, per gli stessi motivi, anche l'insegnamento musicale che veniva impartito nei Seminari si è quasi dissolto e sono drammaticamente cadute le impalcature di quella solida scuola musicale liturgica che, senza scomodare il Perosi, aveva formato quell'ultima generazione di sacerdoti-musicisti che si sta ora spegnendo e che vedeva nel Canto Gregoriano e nella musica organistica i capisaldi di un movimento musicale essenzialmente e tipicamente italico che ha rappresentato anche uno dei più importanti aspetti della cultura musicale europea del Novecento.
E' ovvio, a queste condizioni, che non ha molto senso, oggi, lamentarsi, come mi è capitato di sentire da parte di esponenti del Clero, che non si trovino più in giro organisti con una buona preparazione liturgica, tale da renderli capaci di svolgere il loro ministero come dovrebbesi. Sfidiamo infatti chiunque a formare organisti liturgici adeguatamente preparati dopo aver praticamente annichilito la cultura del servizio organistico, aver ridotto al lumicino le possibilità di utilizzo dell'organo durante le sacre liturgie, aver spalancato le porte a chitarre e tamburi ed aver ridotto la figura dell'organista, che dovrebbe essere tra le più importanti del ministero liturgico, a quella di banale accompagnatore (a proposito, a che punto è la querelle sul contratto nazionale per gli organisti di cui si parla da decenni e che è stato ancora non molto tempo fa cassato dalla Conferenza Episcopale Italiana?...).
A queste condizioni, dicevamo, perchè stupirsi se l'organo italiano naviga da decenni in un mare di notevole sofferenza? E non ci consola il fatto che da un paio di decenni si assista ad una sua modesta e spesso malintesa rivalutazione. In effetti, venendo a mancare la filosofia-base dell'organo italiano, perdutasi ormai insieme alla sua musica, ecco le nostre chiese popolarsi di organi-copia di strumenti germanici, francesi e fiamminghi che invero nulla hanno a che vedere con la nostra tradizione. Riconosciamo, ovviamente, la grande valenza artistica e musicale di questi strumenti (il più interessante dei quali sarà senz'altro l'organo attualmente in costruzione a Rieti da parte di Formentelli su progetto di Dom Bédos e che sarà ultimato in Ottobre), ma sinceramente riteniamo che questo non solo non contribuisca, ma sia anche molto dannoso per la nostra scuola e tradizione. Analogamente non riusciamo a comprendere pienamente quella radicalizzazione dell'aspetto filologico che consente il fiorire di strumenti che ricalcano pedissequamente la filosofia costruttiva organaria italiana di quattrocento anni orsono, annullando in un colpo solo diversi secoli di storia ed evoluzione tecnica.
Ma le perplessità e le incongruenze non riguardano solamente la costruzione di organi nuovi, ma anche il restauro di quelli antichi. Qui dobbiamo purtroppo constatare come quasi non esista univocità di indirizzi e di procedure. Si restaura spesso a caso, senza approfondimenti seri, modificando e spesso menomando gli strumenti senza tenere conto della loro evoluzione storica, tecnica, artistica, fonica e musicale. Inoltre negli ultimi anni si sta affermando la teoria secondo cui per restaurare al meglio un organo gli si devono togliere tutte le parti eventualmente aggiunte in seguito. Il vero problema è che questa teoria, che dovrebbe essere messa in opera solamente in casi molto specifici, sta diventando il presupposto assoluto, accreditato di valenza universale e, purtroppo, già se ne sono visti i primi, disastrosi, risultati. Per coronare il panorama del restauro c'è infine la diversità di vedute tra i funzionari delle varie Sovrintendenze, che ha portato -e porta tuttora- ad avere strumenti dello stesso autore, della stessa epoca e con caratteristiche assolutamente simili, restaurati in modi radicalmente differenti per il solo motivo di trovarsi sotto la giurisdizione di Sovrintendenze diverse.
Il problema più grosso, a questo punto, è che non ci pare che questa situazione di forte confusione tenda a normalizzarsi. Ed allora, chiudendo questa finestra sull'organo italiano, ci limiteremo a formulare un paio di auspici del tutto personali ed opinabili su quello che desidereremmo vedere in futuro nel panorama organario italiano.
Saremmo in effetti già abbastanza soddisfatti, come prima cosa, che venisse in via generale e condivisa adottato il principio secondo cui la storia dell'organo italiano comprende tutti i suoi periodi, anche quelli meno felici e più contrastati come, ad esempio, la Riforma, e che le tavolozze timbriche dei nostri organi attuali ne tenessero sempre debito conto. Questo, ovviamente, senza mai transigere sul fatto che alla base di tutto deve stare la piramide degli armonici del Ripieno, che sono il fondamento essenziale senza il quale l'organo italiano non esisterebbe. In effetti, la capacità di ben valutare il peso e l'importanza di ogni epoca storica senza peraltro trascurarla è la chiave di accesso a quell'evoluzione stilistica che porta una scuola organaria ad essere al tempo stesso "moderna" e strettamente legata alla tradizione.
Un altro principio fondamentale che ci piacerebbe veder applicato nelle nostre chiese è quello secondo cui dovrebbe sempre essere preferibile ed adottata la costruzione di un nuovo organo in stile italiano, e che la costruzione di strumenti di ispirazione e modello straniero dovrebbe essere decisa dopo accuratissimi approfondimenti e solamente a seguito di specifiche e particolari situazioni artistiche e storiche che lo rendano effettivamente necessario.
Tecnicamente, invece, desidereremmo che venisse messa da parte la pratica di rifiutare aprioristicamente ed acriticamente l'utilizzo di tipi di trasmissione che non siano rigorosamente, integralmente ed esclusivamente meccanici. Le attuali scuole organarie germanica e francese ci insegnano, in questo campo, che il connubio tra la tradizione più radicata e le moderne e più attuali tecnologie non solo non nuoce all'organo, ma ne sviluppa ed amplia significativamente le possibilità espressive e musicali.
Nel campo dei restauri, invece, visto il notevolissimo e preziosissimo patrimonio di organi antichi che possiamo vantare, sarebbe sufficiente che venissero decise a livello generale alcune linee-base di intervento relative alle varie tipologie di strumenti ed in relazione alla loro collocazione storica, artistica e musicale, in modo da non avere quelle differenze di valutazione di cui abbiamo parlato prima, che creano confusione e disorientamento e non contribuiscono alla rinascita di una scuola organaria nazionale con indirizzi e scopi effettivamente condivisi.
In definitiva, ci basterebbe che sia per la costruzione dei nuovi strumenti che per il restauro di quelli antichi si utilizzassero anche qui in Italia quei pochi principi di buon senso e di obiettività che dovrebbero essere necessari ed utili a far ritornare grande un'arte millenaria di cui dobbiamo essere fieri.
Ma per chiudere definitivamente questo capitolo dobbiamo ancora sottolineare un principio fondamentale: l'organo, come tutte le cose, cresce e progredisce solamente se viene considerato e valorizzato prima di tutto da chi lo possiede e lo utilizza ed in Italia purtroppo, come abbiamo visto, la situazione sotto questo aspetto è piuttosto triste e se non interverrà -e finora non ci sono molti segni premonitori di un cambiamento in tal senso- una nuova presa di coscienza del valore e della fondamentale importanza dell'organo nella liturgia, continueremo ancora per lunghissimo tempo a ritrovarci su queste pagine a dire le solite cose.

(4 - Fine)



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