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Punti d'ascolto.




 registrazione disco Nella fotografia qui a fianco potete vedere il "set" approntato da Federico Savio, noto tecnico del suono specializzato nella registrazione di musiche organistiche, per l'incisione di un disco nella chiesa Parrocchiale di Cremolino. Come si può constatare, vengono utilizzate due coppie di microfoni (quattro flussi sonori, due per ogni canale) sistemate ad un'altezza "centrata" rispetto al corpo d'organo e distanziate da esso di circa un quarto della lunghezza della chiesa. Questa fotografia ci offre lo spunto per approfondire -in modo assai empirico e per sommi capi- le metodologie utilizzate per "catturare" il suono di un organo.
Senza entrare nelle particolarità strettamente tecniche circa tipologia e qualità delle apparecchiature impiegate e senza approfondire le tematiche, assai complesse, delle procedure di postproduzione, quello che ci ha sempre interessato è -appunto- il dualismo che riguarda il posizionamento dei microfoni e la resa spaziale e fonico-timbrica che ne deriva.
Di acqua ne è passata sotto i ponti della tecnologia da quando -negli Anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso- Albert Schweitzer registrava i suoi dischi a Gunsbach, in Alsazia, con un solo microfono (non esisteva ancora il sistema stereofonico) ed ancora oggi, ascoltando quei vinili, ci si stupisce di quanto accurata fosse la presa di suono. Con l'avvento della stereofonia, nelle sue varie forme, è cambiato radicalmente il principio sia della presa che della riproduzione del suono e noi oggi, anche senza scomodare le recenti forme di stereofonia "spinta" (home cinema, surround, eccetera), possiamo fruire di un ascolto quasi perfettamente spazializzato la cui precisione e fedeltà dipende sostanzialmente dal numero dei flussi sonori che compongono ogni canale di registrazione e di riproduzione (destro e sinistro).
Stabilito che il numero minimo di microfoni necessari per una presa di suono stereofonica è due (due flussi sonori) e che ad essi, a seconda delle specificità del progetto discografico, se ne possono aggiungere innumerevoli altri (per i DVD e SuperCD Audio si arriva a sei e, con il surround, a otto), il problema che si pone all'ingegnere del suono è "come" e "dove" posizionare questi microfoni.
Non si tratta di un problema di poco conto, anzi è fondamentale per il risultato finale del prodotto mediale e, ovviamente, entrano qui in campo molte variabili tra le quali, assolutamente dirimenti, l'estetica dell'interprete, i desiderata della produzione e la scuola di pensiero del tecnico del suono, tutte variabili che prendono o perdono importanza a seconda di chi "produce" il disco. Se il disco è "autoprodotto" (nel senso che è l'organista che paga le spese della casa discografica, la quale si limita a realizzare i dischi basandosi sui "master" che le vengono forniti), solitamente sono l'interprete ed il tecnico di sua fiducia che stabiliscono, di comune accordo, le modalità della presa del suono. Se, invece, è la casa discografica che "produce" il disco, solitamente nell'ambito di uno specifico progetto editoriale che deve avere ben determinate caratteristiche, ecco che sono queste caratteristiche a determinare le modalità di presa del suono, ovviamente concordate con l'interprete ma legate alle finalità del progetto al quale devono comunque aderire in linea di massima.
Fatto salvo che la registrazione dei suoni dell'organo è probabilmente quella che comporta le maggiori difficoltà per diversi motivi (l'organo è l'unico strumento musicale che -da solo- riesce a produrre suoni che coprono tutta la gamma dell'udibilità umana (da 20 a 20.000 Hz), molti organi hanno corpi fonici posti anche a molta distanza -anche decine di metri sia in ambito verticale che orizzontale- tra di loro, molto spesso gli organi sono posti ad altezze da terra considerevoli), non ultimi anche i famigerati eco e riverbero, fondamentalmente, in tutti questi decenni, le due tendenze che abbiamo potuto riscontrare nelle produzioni discografiche sono, rispettivamente, il posizionamento dei microfoni molto vicini alle bocche delle canne oppure il posizionamento ad una distanza che può essere variamente intermediata tra lo strumento ed un immaginario ascoltatore "ideale".
Bisogna qui sottolineare il fatto che, nella maggioranza dei casi, l'ascoltatore "ideale" per un'incisione discografica organistica NON E' lo stesso che solitamente si suppone, cioè la persona che sta seduta in chiesa su di una panca ad ascoltare. Soprattutto nel caso di grandi ambienti, infatti, questa posizione -pur se apparentemente ritenuta ottimale- risente molto fortemente dei fenomeni di eco e riverbero; ma se questi fenomeni -grazie a specifici meccanismi neurofisiologici- vengono "filtrati" dall'orecchio umano che si "concentra" principalmente sui suoni provenienti dall'organo, altrettanto non avviene da parte dei microfoni i quali, ovviamente, captano e registrano tutto. Il risultato di una tale presa di suono sarebbe, quindi, oltremodo confuso e poco caratterizzato. Ecco, quindi, la necessità di trovare, come abbiamo detto, un punto "medio" che da una parte riesca a riprendere con fedeltà le caratteristiche fonico timbriche dello strumento e, dall'altra, riesca anche a dare alla registrazione una giusta dose di "ambiente", che altro non è che un livello misurato ed ottimale di eco e riverbero.
Nel caso, invece, delle prese di suono ravvicinate, cioè con i microfoni posizionati a poca distanza dalle canne dell'organo, i problemi che si pongono sono differenti. Se, in effetti, questo è il miglior modo per esaltare le caratteristiche timbrico-foniche di uno strumento, il primo problema che si presenta è la mancanza di "spazialità", cioè viene a mancare fortemente quella dose di "ambiente" di cui parlavamo prima e che consente ad uno strumento di risultare "posizionato" nell'ambiente. In effetti, con questo tipo di presa di suono, poco importa se l'organo si trova in una sala oppure in una sterminata cattedrale; il risultato fonico sarà pressochè uguale e questo, se da una parte esalta, come detto, la riproduzione delle anche seppur minime caratteristiche sonore, privilegiando fortemente anche i "rumori" che accompagnano l'esecuzione (catenacciatura, motori dei mantici, apertura e chiusura dei ventilabri, ecc.), dall'altra riduce lo strumento ad un organo "in sala prova", cioè quasi avulso dall'ambiente in cui si trova e nell'ambito del quale emette il suo suono. L'altro problema che si presenta per questo genere di presa di suono è di carattere fondamentalmente pratico. Se, infatti, questo tipo di ripresa sonora si può agevolmente effettuare in organi posti "a piano terra" o, comunque composti da corpi unici su cantorie facilmente accessibili, altrettanto non si può dire se la presa di suono si deve effettuare su organi dai piani sonori fortemente distanziati o su strumenti posti a grandi altezze (ad esempio il Kern a nido di rondine della Cattedrale di Strasburgo oppure il similare Grenzing multicorpo della Cattedrale di Bruxelles) per i quali il posizionamento di microfoni di fronte alle canne (e in questi casi di microfoni ce ne vogliono davvero tanti) a quelle altezze ed in quelle posizioni risulterebbe pressochè impossibile. Anche per questi problemi, questo tipo di presa di suono, spesso preferita negli Anni Settanta del secolo scorso, oggi non riscuote più molta considerazione e, quando succede, viene utilizzata in unione ad altri flussi sonori concomitanti che servono per dare all'incisione la necessaria spazialità.
Un'ultima differenza di pensiero che divide gli addetti ai lavori è il tipo di microfoni che si debbano utilizzare. Fermo restando che bisogna utilizzare microfoni che possano catturare tutto lo spettro delle frequenze udibili (i 20-20.000 Hz di cui parlavamo prima), la discussione riguarda le caratteristiche polari (e, quindi, la direzionalità) dei microfoni. Proprio per la specificità delle caratteristiche foniche ed ambientali dell'organo, alcuni tecnici preferiscono utilizzare microfoni omnidirezionali, che "catturano" i suoni provenienti da tutte le direzioni (spesso questi microfoni vengono sistemati anche in posizione verticale) mentre altri preferiscono i microfoni "cardioide" o, più specificatamente, quelli "supercardioide", che catturano in prevalenza i suoni provenienti dal "davanti" e solo in misura ridotta i suoni provenienti da "dietro", eliminando in questo modo quasi tutte le interferenze di eco e riverbero laterali. Personalmente, avendo ascoltato dischi realizzati con entrambi i tipi di microfono ed avendoli trovati tutti pressochè perfetti, riteniamo che non sia tanto il tipo di microfoni che si utilizzano ad essere importante, bensì il modo con cui si utilizzano e, dopo, la perizia con cui il tecnico del suono opera in fase di postproduzione.
Detto questo, e ben lungi dal pretendere di aver chiarito i molteplici aspetti di un'arte che abbisogna di enormi bagagli di professionalità ed esperienza, che noi non abbiamo, vi presentiamo di seguito due audio di brani da noi suonati sullo stesso organo (Piacentini 1882 - Oratorio di San Giovanni Battista di Ovada) utilizzando due diverse modalità di presa di suono, ravvicinata e dalle panche della chiesa. Vi proponiamo questi due esempi per dimostrare che entrambi i metodi sono sbagliati poichè in un caso si perde quasi totalmente la spazialità dello strumento mentre, nel secondo, eco e riverbero -oltre a rendere confusa l'esecuzione- ne fanno perdere una notevole parte delle caratteristiche timbriche. Come abbiamo sottolineato prima, in medio stat virtus.







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